l'analisi

Ariane 6, il lancio oltre la crisi dello spazio europeo (e un successo parziale)

La prima missione del nuovo vettore dell'Esa promette di restituire all’Europa la sua sovranità extra-atmosferica. Ma i dubbi non mancano
Il primo decollo di Ariane 6 9 luglio 2024
Il primo decollo di Ariane 6, 9 luglio 2024MANUEL PEDOUSSAUT/ESA

L’era di Ariane 6 è cominciata.

Quando in Italia erano le 21 di martedì 9 luglio, i due booster a propellente solido P120C hanno incendiato l’aria dello spazioporto di Kourou, in Guyana Francese, e impresso una spinta di 900 tonnellate al corpo centrale del sistema di lancio. In quel momento, sostenuto anche dal motore Vulcain 2.1, il vettore pesante dell’Esa si è staccato dalla rampa per la prima volta e ha inaugurato una nuova epoca, almeno per lo spazio europeo.

Sebbene le fasi iniziali del lancio siano state nominali, la missione non è però stata completata: a circa due ore dal decollo, un problema non meglio identificato all’unità di propulsione ausiliaria, o Apu, ha fatto perdere la traiettoria corretta al secondo stadio del razzo e impedito la terza riaccensione del suo motore, il Vinci, una novità di Ariane 6. Il secondo stadio non è quindi rientrato in atmosfera, di fatto trasformandosi in un detrito spaziale che “cadrà” naturalmente fra qualche anno. Il funzionamento del secondo stadio era parte integrante della missione, in particolare per validare le capacità del Vinci, progettato per riaccendersi fino a quattro volte e per garantire versatilità, precisione e “pulizia delle orbite” ai trasporti nello spazio – l’ultima riaccensione del propulsore è infatti deputata al deorbiting, il rientro in atmosfera.

Nella conferenza post volo, Stéphane Israël, l’amministratore delegato di Arianespace, l'azienda che gestisce la vendita dei servizi di lancio della linea Ariane, si è detto convinto che il problema non ritarderà la prossima partenza di Ariane 6, prevista entro la fine dell’anno.

Era programmato che la missione di debutto portasse in orbita 16 fra esperimenti, cubesat e due dimostratori di capsule spaziali rientranti, queste ultime rimaste a galleggiare nello spazio sul secondo stadio. I payload erano arrivati da agenzie spaziali (Esa, ovviamente, ma anche Nasa), compagnie private e università (quella di Lisbona, quella di Montpellier e il belga Sint Pieterscollege): è stata la prima prova riuscita di quanto il nuovo lanciatore punti a un mercato composito e molto diverso rispetto al 2014, quando il progetto di Ariane 6 venne approvato nella versione decollata dalla rampa il 9 luglio.

Atteso nel 2020 e con un debutto più volte rimandato, Ariane 6 ha attraversato momenti difficili fin dal suo concepimento, nel 2010, quando idee e progetti cominciarono ad avvicendarsi in sede Esa con l’intento di ridurre del 50% i costi rispetto al predecessore, Ariane 5. Nel dicembre di quattro anni dopo, quando l’agenzia spaziale continentale approvò il progetto definitivo, si decise di investire sulla modularità di Ariane 6 – che infatti ha componenti in comune con il più leggero Vega C – e non sulla sua riutilizzabilità, proprio mentre Elon Musk faceva rientrare per la prima volta il primo stadio di un Falcon 9 su una piattaforma oceanica. Con il senno di poi, una scelta criticata da molti - “C’era un bivio e non abbiamo preso la strada giusta” ebbe a dire il Ministro francese dell’Economia e delle finanze, Bruno Le Maire.

Elementi, la concorrenzialità, i ritardi e il non completamento della missione inaugurale, che legittimano alcune perplessità, in particolare per la capacità di Ariane 6 di contendere il mercato ai Falcon 9 di SpaceX: secondo le stime – Arianespace non è stata precisa sulla questione - un lancio a bordo del nuovo vettore europeo dovrebbe costare circa 70 milioni di euro per la versione Ariane 62, e più di 100 milioni per la configurazione più potente, la 64, una proposta commerciale già oggi poco allettante rispetto a quella dei razzi rientranti dell’azienda di Musk. La quale, per di più, quando la Starship funzionerà, ridurrà d nuovo i prezzi in maniera radicale.

Sebbene non perfetto e tutt’altro che facile – il predecessore Ariane 5 debuttò con un failure spettacolare -, il debutto del vettore europeo ha comunque segnato un momento fondamentale per tutto il settore.

La fine della crisi?

La missione di ieri è infatti stata la prima per un vettore spaziale made in Europe dal luglio del 2023, quando complici la dismissione di Ariane 5, lo stop tuttora ininterrotto del nuovo razzo medio-leggero Vega C e l’impossibilità di ricorrere ai Sojuz russi dopo l’interruzione della collaborazione fra Esa e Roscosmos, l’Europa ha perso la sua autonomia di accesso all’orbita.

Per capire quanto la cosiddetta “crisi dei lanciatori” abbia inciso rispetto alla sovranità del Vecchio continente, basterebbe ricordare come sia stata necessaria SpaceX per portare in orbita, il 28 aprile, due nuovi satelliti della costellazione Galileo, l’equivalente europeo del Global Positioning System statunitense (il Gps). Un fatto sonoramente ribadito, il 29 maggio, anche dalla missione EarthCARE, forse la più ambiziosa fra quelle scientifiche dell’Esa nell’anno in corso: anche il satellite che promette di migliorare l’indagine della complessa interazione fra gli aerosol, le nuvole e le radiazioni solari – e quindi la comprensione della temperatura planetaria – ha raggiunto la sua orbita operativa decollando dalla base militare di Vandenberg, in California, a bordo di un Falcon 9 di SpaceX (peraltro al suo settimo lancio, giusto per ricordare come sulla riusabilità l’Europa sconti un ritardo pernicioso).

Ariane 6 sulla rampa di lancio a Kourou poco prima del liftoff (foto: Esa/L. Bourgeon)

Esa/L.Bourgeon

Significa che da ieri la famigerata “crisi dei lanciatori” europei è conclusa? No, e non lo sarà nemmeno con l’auspicabile pieno successo della prossima missione Ariane, né dopo l’anelato ritorno in rampa del lanciatore leggero Vega C, atteso per fine anno. Il ricco backlog di entrambi i sistemi, così come le nuove esigenze dei Paesi membri dell’Esa, per la cui soddisfazione Ariane 6 e Vega C sono stati finanziati, impongono che i vettori dimostrino massima affidabilità e permettano una frequenza di lancio al passo con le richieste.

Sono due obiettivi che richiederanno tempo per essere centrati, e non meno fiducia da parte di chi ha creduto ai sistemi addirittura prima che venissero costruiti. A ribadirlo, creando non poco scompiglio, è stato proprio uno dei clienti più importanti, Eumetsat: secondo un’anticipazione (non smentita) del francese Le Monde diffusa dieci giorni prima del “décollage” di Ariane 6, l’organizzazione intergovernativa europea nata con lo scopo di fornire dati satellitari per la meteorologia, il clima e l’ambiente ha fatto sapere di voler spostare il satellite meteorologico Mtg-S1 dal terzo lancio di Ariane 6 a un Falcon 9. Philippe Babpiste, il presidente del Cnes, l’agenzia spaziale francese, ha lanciato un grido d’allarme su LinkedIn e sostenuto che la decisione richiederà alla Commissione Europea un provvedimento, quand’anche si trattasse di imporre a istituzioni continentali l’utilizzo di “small and large european launchers”.

Una presa di posizione che evoca la dura reazione alle conclusioni del recente Space Summit fra l’Esa e l’Unione europea da parte di Asd Eurospace, l’associazione di categoria dell’industria spaziale continentale. Nella dichiarazione, Eurospace lamenta “che le attuali sfide del settore spaziale europeo non siano seriamente valutate né affrontate: nonostante una posizione molto forte nel mercato globale e una competenza acclamata a livello mondiale, l'intera catena del valore spaziale europea è compromessa e la sua sostenibilità è minacciata [..] l'attuale ritmo di trasformazione globale richiede più di strategie industriali sovranazionali, intergovernative e nazionali disgiunte. Altri poteri spaziali come gli Stati Uniti hanno istituito programmi adeguati per supportare l'innovazione e la sostenibilità della loro base industriale. È giunto il momento di agire in modo deciso per dotare l'Europa degli strumenti necessari per ascendere come una vera ‘potenza spaziale’, commisurata alla sua statura globale prevista”.

Per una sovranità (spaziale) duratura

Affinché l’autonomia di accesso allo spazio sia preservata, oltre a validare e garantire la piena operatività di Ariane 6 e Vega C, l’Europa sta mettendo in campo misure rilevanti: anzitutto cambiando l’approccio degli investitori, anche pubblici come Esa e governi, nei confronti di iniziative commerciali e imprese indipendenti. Oggi, tramite finanziamenti privati o programmi nazionali, si punta a stimolare la crescita di aziende pronte ad animare il settore dei lanciatori – gli scettici suggeriscono “frammentare”, come fece sulle pagine de l’Espresso Morena Bernardini, ai tempi vice presidente Strategia e innovazione di ArianeGroup. È successo in particolare in Spagna e Germania, poco coinvolte nei programmi Ariane e Vega, e in Francia, dove l’intento è diversificare i propri finanziamenti e ampliare le opportunità di lancio.

Rientrano in questo tipo di iniziative, il programma di supporto Boost! e la European Launcher Challenge, una competizione per selezionare e finanziare fino a 150 milioni di euro i sistemi di lancio commerciali del futuro, la cui prima fase si è conclusa a fine giugno, nonché la risoluzione adottata dal Consiglio dell’Esa il 5 luglio, sui servizi di lancio europei e sulla continuità dell’accesso europeo allo spazio, che ha peraltro posto le basi per la commercializzazione del lanciatore Vega da parte del suo prime contractor, l’italiana Avio, responsabile anche della costruzione dei booster P120C.

De facto, Avio ha avuto il via libera per rendersi autonoma da Arianspace, che ne gestiva la commercializzazione dei servizi di lancio. Arianespace e Avio si sono accordati affinché la prima rimanga fornitore dei servizi di lancio e operatore per Vega e Vega C fino al volo Vega 29, previsto per il quarto trimestre del 2025. In seguito, sarà offerta ai clienti che hanno contratti con Arianespace la possibilità di trasferirli ad Avio.

La risoluzione dell’Esa del 5 luglio ha anche incluso la definizione di cosa costituisca un “servizio di lancio europeo” nonché introdotto, come fondamentali, considerazioni sulla nazionalità del fornitore di servizi e la localizzazione dello sviluppo, della produzione e delle operazioni di lancio del sistema. È il modo con cui l’Esa prova a garantire un rientro degli investimenti sul territorio europeo svicolandosi dalla stringente formula del “georitorno”, quel sistema, istituito dalla Convenzione dell’agenzia, grazie al quale è garantito il ritorno alle industrie nazionali degli Stati membri di quanto da questi investito in programmi spaziali (tolti i costi di gestione). Un principio cui va il merito di avere creato e strutturato geograficamente il settore spaziale europeo, ma che oggi tradisce limiti sempre più evidenti, soprattutto per l’avvento di applicazioni e programmi commerciali.

Proprio Ariane 6 dovrebbe aver segnato la fine di questo approccio. È già stato garantito che, proprio come fa la Nasa da qualche anno, nel futuro l’Esa acquisterà servizi di lancio da compagnie private, senza finanziare e guidare lo sviluppo dei sistemi utilizzati. Il che non significa che l’agenzia escluda di supportare progetti nati in maniera autonoma, come sta già dimostrando con il programma boost! destinato a razzi commerciali di piccole dimensioni.

Parte di quanto stabilito nella risoluzione del 5 luglio afferisce invece al secondo tipo di iniziative messe in campo dall’Europa per evitare di ritrovarsi senza accesso autonomo all’extra-atmosfera: l’aumento dei siti di lancio.

Per superare il vincolo logistico e strategico allo sviluppo di nuovi lanciatori europei costituito dalle sole quattro rampe in Guyana Francese, peraltro specifiche per i vettori esistenti, nel 2025 sempre a Kourou inizieranno le attività da un launchpad dedicato ai lanciatori di piccole dimensioni. Con la sua risoluzione, il Consiglio dell'Esa ha infatti autorizzato l'utilizzo del poligono dello spazioporto in Guyana Francese da parte di quattro fra micro e mini-lanciatori realizzati da Isar Aerospace, MaiaSpace, PLD Space e Rocket Factory Augsburg, tutti produttori europei.

L’impianto andrà ad affiancarsi ai tre nuovi siti di lancio già inaugurati in Nord Europa (per il raggiungimento di orbite polari): l’Esrange Spaceport, nei pressi di Kiruna, in Svezia, il VaxaVord Spaceport nelle Isole Shetland, al largo della costa settentrionale della Scozia, e sull’isola norvegese di Andøya, all’interno del Circolo Polare Artico.

Il terzo aspetto cruciale per il futuro spaziale europeo è costituito dalla crescente domanda di accesso all’orbita e dalla contestuale riduzione dei costi. Il ricorso a megacostellazioni e, insieme, la miniaturizzazione delle tecnologie e quindi l’impiego di cubesat, nanosat, micro e minisat affidabili, sta alimentando un mercato fino a pochi anni fa inesistente, e che promette di crescere negli anni a venire. Circoscrivendo la questione al mercato e agli interessi europei, potrebbe confermare questa tendenza l'imminenza dell’imponente costellazione satellitare Iris², risposta europea a Starlink e Kuiper.

Non ultima, la riutilizzabilità dei razzi anima progetti in via di finalizzazione o sviluppo anche di chi potrebbe vedere minacciata la sua preminenza sul mercato: il colosso franco-tedesco ArianeGroup, oltre a finanziare imprese come MaiaSpace pronte a dire la propria nel mercato dei lanciatori di piccole dimensioni, promette di testare il dimostratore riutilizzabile Themis e il suo propulsore Prometheus già il prossimo anno, mentre Avio, oltre all’evoluzione della sua linea Vega con il prossimo Vega E, è già al lavoro su un razzo a due stadi con propulsione a metano.

Le caratteristiche di Ariane 6

A oggi costato circa 4 miliardi di euro, il nuovo lanciatore pesante europeo sfrutta una struttura a tre stadi, alta complessivamente e a seconda del fairing fra i 56 e i 62 metri, larga cinque e mezzo, e costituta dal lower main stage, dall’upper stage e da due o quattro booster a propellente solido. Il main stage è equipaggiato con il propulsore Vulcain 2.1, una versione migliorata e sviluppata da Arianegroup del motore di Ariane 5, alimentata a ossigeno e idrogeno liquido (conservati rispettivamente a -183 e -253 gradi centigradi) e in grado di sviluppare una spinta di 1370 kN (circa 137 tonnellate) per quasi 8 minuti (468 secondi); al decollo contiene 150 tonnellate di propellenti, che vengono bruciati con un ritmo di 327 chilogrammi ogni secondo.

Ariane 6 nel mobile gantry (foto: E. Cozzi)

Manuel Pedoussaut

Il secondo stadio, con il nuovo motore Vinci a idrogeno e ossigeno liquido, è progettato per riaccendersi fino a quattro volte – nella missione del 9, l’ha fatto solo due -, sviluppando una spinta di 180 kN (circa 18 tonnellate) per 15 minuti in tutto. Grazie a lui, come fatto già al debutto, Ariane 6 può trasportare carichi diversi in orbite diverse, e consentire soluzioni ride-share, che permettono a più clienti di condividere lo stesso lancio e ridurne, così, i costi.

Una volta a regime, Ariane 6 potrà sfruttare due configurazioni: la prima, chiamata Ariane 62, monta due P120C, cioè i booster in comune con Vega C. È stata questa la configurazione nella missione del 9 luglio. La seconda, Ariane 64, impiegherà quattro booster. Ogni P120C è capace di sviluppare una spinta di 4500 kN (circa 450 tonnellate) per 130 secondi, separandosi dal core centrale a una quota di 53 chilometri.

Con un peso al decollo di 540 tonnellate e una spinta di 8000 kN, Ariane 62 può trasportare in orbita bassa (o Leo, fra i 300 e i 1000 chilometri di quota) carichi fino a 10 tonnellate e 300 chili. Riuscirà invece a lanciare in orbita geostazionaria (o Geo, a 36mila chilometri di quota) pesi fino a 4 tonnellate e mezzo. Ariane 64, che al decollo peserà 870 tonnellate e sfrutterà una spinta di 15400 kN, potrà spedire in orbite Leo fino a 21 tonnellate e 600 chili, mentre in orbita Geo arriverà a lanciare 11 tonnellate e mezzo.

Programma dell’Esa – che è responsabile dell’architettura complessiva del sistema di lancio e del finanziamento dell’intero programma - Ariane 6 è stato supportato economicamente dalla Francia per il 55,6% del suo costo, per il 20,8% dalla Germania, per il 7,7% dall’Italia e per il resto da altri dieci Paesi europei. In qualità di capocommessa industriale e di autorità di progettazione del lanciatore, ArianeGroup è responsabile del suo sviluppo e della sua produzione con i suoi partner industriali, nonché della sua commercializzazione attraverso la filiale Arianespace. Il Cnes, l’agenzia spaziale francese, è capocommessa e autorità di progettazione del complesso di lancio Ariane 6, nonché responsabile della costruzione e della gestione della rampa a Kourou.