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*Il piccolo Federico è tardo a parlare, contempla ogni cosa con occhi gravi e rimane in silenzio. A due anni e mezzo, profferisce la prima parola. Il pastore {{NDR|suo padre}} ama questo compagno silenzioso e se lo conduce dietro volentieri nelle sue passeggiate. [[Friedrich Nietzsche|Federico Nietzsche]] non dimenticò mai il suono lontano delle campane sulla pianura immensa, cosparsa di stagni, né l'impressione della propria mano racchiusa nella grossa mano paterna.<ref>Da ''[https://archive.org/details/DanielHalevyLaVitaDiFedericoNietzsche/page/n1/mode/1up La vita di Federico Nietzsche]'', versione italiana di L. Ambrosini, Fratelli Bocca Editori, 1912, p. 2.</ref> |
*Il piccolo Federico è tardo a parlare, contempla ogni cosa con occhi gravi e rimane in silenzio. A due anni e mezzo, profferisce la prima parola. Il pastore {{NDR|suo padre}} ama questo compagno silenzioso e se lo conduce dietro volentieri nelle sue passeggiate. [[Friedrich Nietzsche|Federico Nietzsche]] non dimenticò mai il suono lontano delle campane sulla pianura immensa, cosparsa di stagni, né l'impressione della propria mano racchiusa nella grossa mano paterna.<ref>Da ''[https://archive.org/details/DanielHalevyLaVitaDiFedericoNietzsche/page/n1/mode/1up La vita di Federico Nietzsche]'', versione italiana di L. Ambrosini, Fratelli Bocca Editori, 1912, p. 2.</ref> |
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*Federico non dimenticava suo padre: egli voleva, secondo il suo esempio, e come avevano fatto tutti quelli della sua razza, diventare un pastore, uno degli eletti che vivono presso Dio e parlano nel suo nome. Non sapeva concepire vocazione più alta né più conforme al suo desiderio; per quanto giovane fosse, aveva una coscienza esigente e meticolosa. Soffriva dei più leggeri rimbrotti, e voleva essere solo a dirigere la sua condotta. Quando sentiva uno scrupolo di coscienza, si ritirava in un nascondiglio buio, si esaminava e non ripigliava i giochi con la sorella se non dopo essersi deliberatamente biasimato o giustificato. Un giorno che pioveva a dirotto, sua madre lo scorse mentre tornava da scuola, senza ombrello o mantello, a passo eguale e lento. Lo chiamò. Egli rientrò quieto. «Ci raccomandano sempre di non correre per istrada», spiegò poi. I suoi camerati l'avevano soprannominato «il piccolo pastore» e lo ascoltavano in rispettoso silenzio quando leggeva ad alta voce un capitolo della Bibbia.<ref>Da ''La vita di Federico Nietzsche'', cit., 1912, pp. 4-5.</ref> |
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*Nietzsche trovò a Basilea stessa un confidente migliore della sua inquietudine. Lo storico [[Jacob Burckhardt|Jacopo Burckhardt]], grande conoscitore di arti e di civiltà, era triste; ogni brutalità gli era odiosa; detestava la guerra e le sue distruzioni. Cittadino dell'ultima città in Europa che mantenga la sua indipendenza e il costume antico, fiero di questa indipendenza e di questo costume, Jacopo Burckhardt, borghese di Basilea, non amava le nazioni di trenta o quaranta milioni di anime che vedeva costituirsi. Ai disegni di Bismarck e di Cavour preferiva il consiglio di Aristotele: «Fate in modo che il numero dei cittadini non superi i diecimila, o se no, non potrebbero più riunirsi sulla piazza pubblica». Aveva studiato Atene, Venezia, Firenze e Siena. Teneva in altissimo conto le discipline antiche e latine, in conto molto mediocre le germaniche: aveva paura di un'egemonia tedesca.<ref>Da ''La vita di Federico Nietzsche'', cit., 1912, p. 76.</ref> |
*Nietzsche trovò a Basilea stessa un confidente migliore della sua inquietudine. Lo storico [[Jacob Burckhardt|Jacopo Burckhardt]], grande conoscitore di arti e di civiltà, era triste; ogni brutalità gli era odiosa; detestava la guerra e le sue distruzioni. Cittadino dell'ultima città in Europa che mantenga la sua indipendenza e il costume antico, fiero di questa indipendenza e di questo costume, Jacopo Burckhardt, borghese di Basilea, non amava le nazioni di trenta o quaranta milioni di anime che vedeva costituirsi. Ai disegni di Bismarck e di Cavour preferiva il consiglio di Aristotele: «Fate in modo che il numero dei cittadini non superi i diecimila, o se no, non potrebbero più riunirsi sulla piazza pubblica». Aveva studiato Atene, Venezia, Firenze e Siena. Teneva in altissimo conto le discipline antiche e latine, in conto molto mediocre le germaniche: aveva paura di un'egemonia tedesca.<ref>Da ''La vita di Federico Nietzsche'', cit., 1912, p. 76.</ref> |
Versione delle 18:20, 4 gen 2025
Daniel Halévy (1872 – 1962), storico e saggista francese.
Citazioni di Daniel Halévy
- Il piccolo Federico è tardo a parlare, contempla ogni cosa con occhi gravi e rimane in silenzio. A due anni e mezzo, profferisce la prima parola. Il pastore [suo padre] ama questo compagno silenzioso e se lo conduce dietro volentieri nelle sue passeggiate. Federico Nietzsche non dimenticò mai il suono lontano delle campane sulla pianura immensa, cosparsa di stagni, né l'impressione della propria mano racchiusa nella grossa mano paterna.[1]
- Federico non dimenticava suo padre: egli voleva, secondo il suo esempio, e come avevano fatto tutti quelli della sua razza, diventare un pastore, uno degli eletti che vivono presso Dio e parlano nel suo nome. Non sapeva concepire vocazione più alta né più conforme al suo desiderio; per quanto giovane fosse, aveva una coscienza esigente e meticolosa. Soffriva dei più leggeri rimbrotti, e voleva essere solo a dirigere la sua condotta. Quando sentiva uno scrupolo di coscienza, si ritirava in un nascondiglio buio, si esaminava e non ripigliava i giochi con la sorella se non dopo essersi deliberatamente biasimato o giustificato. Un giorno che pioveva a dirotto, sua madre lo scorse mentre tornava da scuola, senza ombrello o mantello, a passo eguale e lento. Lo chiamò. Egli rientrò quieto. «Ci raccomandano sempre di non correre per istrada», spiegò poi. I suoi camerati l'avevano soprannominato «il piccolo pastore» e lo ascoltavano in rispettoso silenzio quando leggeva ad alta voce un capitolo della Bibbia.[2]
- Nietzsche trovò a Basilea stessa un confidente migliore della sua inquietudine. Lo storico Jacopo Burckhardt, grande conoscitore di arti e di civiltà, era triste; ogni brutalità gli era odiosa; detestava la guerra e le sue distruzioni. Cittadino dell'ultima città in Europa che mantenga la sua indipendenza e il costume antico, fiero di questa indipendenza e di questo costume, Jacopo Burckhardt, borghese di Basilea, non amava le nazioni di trenta o quaranta milioni di anime che vedeva costituirsi. Ai disegni di Bismarck e di Cavour preferiva il consiglio di Aristotele: «Fate in modo che il numero dei cittadini non superi i diecimila, o se no, non potrebbero più riunirsi sulla piazza pubblica». Aveva studiato Atene, Venezia, Firenze e Siena. Teneva in altissimo conto le discipline antiche e latine, in conto molto mediocre le germaniche: aveva paura di un'egemonia tedesca.[3]
Note
- ↑ Da La vita di Federico Nietzsche, versione italiana di L. Ambrosini, Fratelli Bocca Editori, 1912, p. 2.
- ↑ Da La vita di Federico Nietzsche, cit., 1912, pp. 4-5.
- ↑ Da La vita di Federico Nietzsche, cit., 1912, p. 76.
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