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Francesco Guicciardini: differenze tra le versioni

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*E ricordatevi che gli è maggiore difficultà venire di un grado basso a uno mediocre, che non è da uno mediocre venire a uno sommo. (da ''Discorsi politici'')
*E ricordatevi che gli è maggiore difficultà venire di un grado basso a uno mediocre, che non è da uno mediocre venire a uno sommo. (da ''Discorsi politici'')
*Non si potendo ottenere le cose grande senza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura. (da ''Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia'', in ''Discorsi politici'')
*Non si potendo ottenere le cose grande senza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura. (da ''Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia'', in ''Discorsi politici'')
*{{NDR|[[Ludovico il Moro]]}} principe vigilantissimo e d'ingegno molto acuto.<ref>Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini, Francesco Guicciardini, per Niccolò Conti, 1818, p. 10.</ref>
*{{NDR|[[Ludovico il Moro]]}} non manco timido nell'avversità, che immoderato nelle prosperità, come quasi sempre è congiunta in un medesimo soggetto l'insolenza con la timidità, dimostrava con inutili lagrime la sua viltà. <ref>Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini, Francesco Guicciardini, per Niccolò Conti, 1818, p. 191.</ref>


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Versione delle 00:58, 23 ott 2022

Ritratto di Francesco Guicciardini

Francesco Guicciardini (1483 – 1540), filosofo, politico e scrittore italiano.

Citazioni di Francesco Guicciardini

  • E ricordatevi che gli è maggiore difficultà venire di un grado basso a uno mediocre, che non è da uno mediocre venire a uno sommo. (da Discorsi politici)
  • Non si potendo ottenere le cose grande senza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura. (da Se 'l Gran Capitano debbe accettare la impresa di Italia, in Discorsi politici)
  • [Ludovico il Moro] principe vigilantissimo e d'ingegno molto acuto.[1]
  • [Ludovico il Moro] non manco timido nell'avversità, che immoderato nelle prosperità, come quasi sempre è congiunta in un medesimo soggetto l'insolenza con la timidità, dimostrava con inutili lagrime la sua viltà. [2]

Attribuite

  • Ché se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione.
[Citazione errata] Questa frase viene attribuita da Gianni Brera a Francesco Guicciardini, che in realtà non pronunciò né scrisse mai queste parole. Brera utilizzò questa citazione in varie opere di natura storica e in vari articoli.[3][4] Il giornalista ammise di essersi inventato la citazione in questo pezzo tratto da un suo articolo: «Il ragazzino Campanella crotonese come Milone! consola il cronista di ogni sconsiderata nequizia commessa in pedata e lo esime per una volta dal parafrasare ser Francesco Guicciardini, al quale ha fatto dire ormai da molti anni: Che se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione.»[5]

Ricordi

1. Quelli cittadini che appetiscono onore e gloria nella cittá sono laudabili e utili, pure che non la cerchino per via di sètte e di usurpazione, ma con lo ingegnarsi di essere tenuti buoni e prudenti, e fare buone opere per la patria; e Dio volessi che la republica nostra fussi prima di questa ambizione. Ma perniziosi sono quelli che appetiscono per fine suo la grandezza, perché chi la piglia per idolo non ha freno alcuno, né di giustizia, né di onestá, e farebbe uno piano di ogni cosa per condurvisi.

Citazioni

Serie prima

  • 14. Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di repubblica bene ordinato nella cittá nostra, Italia liberata da tutti e' Barbari, e liberato el mondo dalla tirannide di questi scelerati preti.
  • 18. È da desiderare piú l'onore e la riputazione che le ricchezze.
  • 31. Non combattete mai con la religione, né con le cose che pare che dependono da Dio; perché questo obietto ha troppa forza nella mente degli sciocchi.
  • 34 [...] La felicitá grande consiste in questo: ma maggiore ancora è la gloria in usare tanta fortuna laudabilmente, cioè essere clemente e perdonare; cosa propria degli animi generosi e eccelsi.
  • 35. Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che intendono le cose bene, che o non si ricordano o non sanno metterle in atto! Ed a chi fa così, questa intelligenzia è inutile; perché è come avere uno tesoro in una arca con obbligo di non potere mai trarlo fuora.
  • 41. Piú tengono a memoria gli uomini le ingiurie che e' benefici; [...]
  • 44. Ingegnatevi avere degli amici, perché sono buoni in tempi, luoghi e casi che tu non penseresti; [...]
  • 56. Non disegnate in su quello che non avete, né spendete in su' guadagni futuri, perché molte volte non succedono.
  • 66. Non si può biasimare lo appetito di avere figliuoli, perché è naturale, ma dico bene che è spezie di felicitá el non ne avere; perché eziandio chi gli ha buoni e savi, ha sanza dubio molto piú dispiacere da loro che consolazione.
  • 76. Quando ti viene la occasione di cosa tu desideri, pigliala sanza perdere tempo; perché le cose del mondo si variano tanto spesso che non si può dire d'avere la cosa insino non l'hai in mano.
  • 79. El medesimo Cornelio Tacito, a chi bene lo considera, insegna per eccellenzia, come s'ha a governare chi vive sotto e' tiranni.
  • 90. Credono molti che uno savio, perché vede tutti e' pericoli, non possa essere animoso; io sono di opinione contraria, che non possa essere savio chi è timido, perché giá manca di giudicio chi stima el pericolo piú che non si debbe.
  • 91. Erra chi dice che le lettere guastano e' cervelli degli uomini, perché è forse vero in chi l'ha debole; ma dove lo truovano buono, lo fanno perfetto; perché el buono naturale congiunto col buono accidentale fa nobilissima composizione.
  • 114. Le cose passate fanno lume alle future, perché el mondo fu sempre di una medesima sorte; e tutto quello che è e sará, è stato in altro tempo, e le cose medesime ritornano, ma sotto diversi nomi e colori; però ognuno non le ricognosce, ma solo chi è savio, e le osserva e considera diligentemente.
  • 126. La natura delle cose del mondo è in modo che è quasi impossibile trovarne alcuna che in ogni parte non vi sia qualche disordine e inconveniente; bisogna risolversi a torle come sono e pigliare per buono quello che ha in sé manco male.
  • 139. Non ha maggiore inimico l'uomo che sé medesimo; perché quasi tutti e' mali, pericoli e travagli superflui che ha, non procedono da altro che dalla sua troppa cupiditá.
  • 156. Le inclinazione e deliberazione de' populi sono tanto fallace, e menate piú spesso dal caso che dalla ragione, che chi regola el traino del vivere suo non in altro che in sulla speranza d'avere a essere grande col popolo, ha poco giudicio; perché a opporsi è piú ventura che senno.
  • 164. Diceva mio padre, che piú onore ti fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che n'hai spesi; parola molto da notare, non per diventare sordido, né per mancare nelle cose onorevole e ragionevole, ma perché ti sia freno a fuggire le spese superflue.
  • 175. Tanto piú si cade in quello estremo che tu fuggi, quanto piú per discostartene ti ritiri in verso l'altro estremo, non ti sapendo fermare in sul mezzo; [...]

Serie seconda

  • 1. Quello che dicono le persone spirituali, che chi ha fede conduce cose grandi e, come dice lo Evangelio, chi ha fede può comandare a' monti ecc., procede perché la fede da ostinazione. Fede non è altro che credere con openione ferma, e quasi certezza le cose che non sono ragionevole, o, se sono ragionevole, crederle con più resoluzione che non persuadono le ragione. Chi adunche ha fede diventa ostinato in quello che crede, e procede al cammino suo intrepido e resoluto, sprezzando le difficultà e pericoli, e mettendosi a soportare ogni estremità: donde nasce che, essendo le cose del mondo sottoposte a mille casi e accidenti, può nascere per molti versi nella lunghezza del tempo aiuto insperato a chi ha preseverato nella ostinazione, la quale essendo causata dalla fede, si dice meritamente: chi ha fede ecc.[6]
  • 23. Lasciare uno bene presente per paura di uno male futuro è el piú delle volte pazzia.
  • 56. Non consiste tanto la prudenzia della economica in sapersi guardare dalle spese, perché sono molte volte necessarie, quanto in sapere spendere con vantaggio, cioè uno grosso per 24 quattrini.
  • 79 [...] Quando sei in partiti difficili, o in cose che ti sono moleste, allunga e aspetta tempo quanto puoi, perché quello spesso ti illumina o ti libera.
  • 104 [...] Ma perché non si può negare che la non sia bella, io loderei chi ordinariamente avessi el traino suo del vivere libero e schietto, usando la simulazione solamente in qualche cosa molto importante, le quali accaggiono rare volte. Cosí acquisteresti nome di essere libero e reale, e ti tireresti drieto quella grazia che ha chi è tenuto di tale natura: e nondimeno nelle cose che importassino piú, caveresti utilitá della simulazione, e tanto maggiore quanto, avendo fama di non essere simulatore, sarebbe piú facilmente creduto alle arti tue.
  • 133. È grandissima prudenzia e da molti poca osservata, sapere dissimulare le male satisfazione che hai di altri, quando el fare cosí non sia con tuo danno ed infamia; perché accade spesso che in futuro viene occasione di averti a valere di quello. Il che difficilmente ti riesce, se lui già sa che tu sia male satisfatto di lui. Ed a me è intervenuto molte volte che io ho avuto a ricercare persone, contro alle quali ero malissimo disposto; e loro credendo el contrario, o almeno non si persuadendo questo, m'hanno servito prontissimamente.
  • 164. La buona fortuna degli uomini è spesso el maggiore inimico che abbino, perché gli fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti; però è maggiore paragone di uno uomo el resistere a questa che alle avversitá.
  • 168. Che mi rilieva me, che colui che mi offende lo facci per ignoranzia e non per malignità? Anzi, è spesso molto peggio, perché la malignità ha e' fini suoi determinati e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può; ma la ignoranzia non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dá mazzate da ciechi.
  • 171. Quasi sempre in Firenze, per la dapocaggine degli uomini, quando uno ha fatto con violenzia uno scandolo publico, non si è fatto pruova di punirlo, ma cercato a gara di deliberargli la impunità, pure che deponga l'arme, e non ne faccia più; modi non da reprimere gli insolenti, ma da fare diventare lioni gli agnelli.
  • 176. Pregate Dio sempre di trovarvi dove si vince, perché vi è data laude di quelle cose ancora di che non avete parte alcuna; come per el contrario chi si truova dove si perde, è imputato di infinite cose delle quali è inculpabilissimo.
  • 207. Della astrologia, cioè di quella che giudica le cose future, è pazzia parlare; o la scienza non è vera, o tutte le cose necessarie a quella non si possono sapere, o la capacitá degli uomini non vi arriva; ma la conclusione è, che pensare di sapere el futuro per quella via è uno sogno. Non sanno gli astrologi quello dicono, non si appongono se non a caso; in modo che se tu pigli uno pronostico di qualunque astrologo, e di uno di un altro uomo fatto a ventura, non si verificherá manco di questo che di quello.

Storia d'Italia

Storia d'Italia

Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia, dappoi che l'armi de' franzesi, chiamate da' nostri prìncipi medesimi, cominciorono con grandissimo movimento a perturbarla: materia, per la varietà e grandezza loro, molto memorabile e piena di atrocissimi accidenti; avendo patito tanti anni Italia tutte quelle calamità con le quali sogliono i miseri mortali, ora per l'ira giusta d'Iddio ora dalla empietà e sceleratezze degli altri uomini, essere vessati.

Citazioni

  • [...] è certamente cosa verissima che non sempre gli uomini savi discernono o giudicano perfettamente: bisogna che spesso si dimostrino segni della debolezza dello intelletto umano. (lib. I, cap. III)
  • [...] non sempre per il rimuovere delle cagioni si rimuovono gli effetti i quali da quelle hanno avuto la prima origine. (lib. I, cap. III)
  • [...] le deliberazioni fatte per timore paiono, a chi teme, inferiori al pericolo [...]. (lib. I, cap. III)
  • [...] alle deliberazioni precipitose si conduce non meno agevolmente il timido per la disperazione che si conduca il temerario per la inconsiderazione [...]. (lib. I, cap. V)
  • [...] è senza dubbio molto pericoloso il governarsi con gli esempli se non concorrono, non solo in generale ma in tutti i particolari, le medesime ragioni, se le cose non sono regolate con la medesima prudenza, e se, oltre a tutti gli altri fondamenti, non v'ha la parte sua la medesima fortuna. (lib. I, cap. XIV)
  • [...] gli uomini, quando si approssimano i loro infortuni, perdono principalmente la prudenza, con la quale arebbono potuto impedire le cose destinate [...]. (lib. I, cap. XV)
  • Niuna cosa è certamente più necessaria nelle deliberazioni ardue, niuna da altra parte più pericolosa, che 'l domandare consiglio; né è dubbio che manco è necessario agli uomini prudenti il consiglio che agli imprudenti; e nondimeno, che molto più utilità riportano i savi del consigliarsi. Perché chi è quello di prudenza tanto perfetta che consideri sempre e conosca ogni cosa da se stesso? e nelle ragioni contrarie discerna sempre la migliore parte? Ma che certezza ha chi domanda il consiglio d'essere fedelmente consigliato? Perché chi dà il consiglio, se non è molto fedele o affezionato a chi 'l domanda, non solo mosso da notabile interesse ma per ogni suo piccolo comodo, per ogni leggiera sodisfazione, dirizza spesso il consiglio a quel fine che più gli torna a proposito o di che più si compiace; e essendo questi fini il più delle volte incogniti a chi cerca d'essere consigliato, non s'accorge, se non è prudente, della infedeltà del consiglio. (lib. I, cap. XVI)
  • [...] il regnare depende spesso dalla fortuna ma l'essere re che si proponga per unico fine la salute e la felicità de' popoli suoi depende solamente da se medesimo e dalla propria virtù. (lib. I, cap. XIX)
  • [...] come da uno giudice incapace e imperito non si possono aspettare sentenze rette così da uno popolo che è pieno di confusione e di ignoranza non si può aspettare, se non per caso, elezione o deliberazione prudente o ragionevole. (lib. II, cap. II)
  • [...] persuadendoci che di ragione tutti, in tutte le cose, dobbiamo essere eguali, si confonderanno, quando sarà in facoltà della moltitudine, i luoghi della virtù e del valore; e questa cupidità [degli onori] distesa nella maggiore parte farà potere più quegli che manco sapranno o manco meriteranno, perché essendo molto più numero aranno più possanza, in uno stato ordinato in modo che i pareri s'annoverino non si pesino. (lib. II, cap. II)
  • [...] è natura degli uomini, quando si partono da uno estremo nel quale sono stati tenuti violentemente, correre volonterosamente, senza fermarsi nel mezzo, all'altro estremo. Così chi esce da una tirannide, se non è ritenuto, si precipita a una sfrenata licenza; la quale anche si può giustamente chiamare tirannide, perché e un popolo è simile a un tiranno quando dà a chi non merita, quando toglie a chi merita, quando confonde i gradi e le distinzioni delle persone; ed è forse tanto più pestifera la sua tirannide quanto è più pericolosa l'ignoranza, perché non ha né peso né misura né legge che la malignità, che pure si regge con qualche regola con qualche freno con qualche termine. (lib. II, cap. II)
  • [...] è grandissima (come ognuno sa) in tutte l'azioni umane la potestà della fortuna, maggiore nelle cose militari che in qualunque altra, ma inestimabile immensa infinita ne' fatti d'arme; dove uno comandamento male inteso, dove una ordinazione male eseguita, dove una temerità, una voce vana, insino d'uno piccolo soldato, traporta spesso la vittoria a coloro che già parevano vinti; dove improvisamente nascono innumerabili accidenti i quali è impossibile che siano antiveduti o governati con consiglio del capitano. (lib. II, cap. IX)
  • [...] facilmente da' prìncipi sono riputati savi quegli consigli che si conformano più alla loro inclinazione. (lib. II, cap. XII)
  • [...] nell'antiche e gravi inimicizie è difficile stabilire fedele reconciliazione, perché è impedita o dal sospetto o dalla cupidità della vendetta [...]. (lib. III, cap. XI)
  • [...] sono inutili i consigli diligenti e prudenti quando l'esecuzione procede con negligenza e imprudenza. (lib. IV, cap. IV)
  • [...] poco si aspetta sincerità o opere fedeli da chi è venuto in concetto degli uomini di essere solito a governarsi con duplicità e con artifici. (lib. IV, cap. VII)
  • [...] l'esperienza dimostra essere verissimo che rare volte succede quel che è desiderato da molti; perché dipendendo comunemente gli effetti delle azioni umane dalla volontà di pochi, ed essendo l'intenzioni e i fini di questi quasi sempre molto diversi dall'intenzioni e da' fini de' molti, possono difficilmente succedere le cose altrimenti che secondo la intenzione di coloro che danno loro il moto. (lib. V, cap. X)
  • [...] con disavvantaggio grande si fa la guerra con chi non ha che perdere. (lib. V, cap. XIV)
  • [...] sono vani e fallaci i pensieri degli uomini [...]. (lib. VI, cap. IV)
  • [...] niuno più facilmente inganna gli altri che chi è solito e ha fama di mai non gli ingannare [...]. (lib. VI, cap. V)
  • [...] come alla sostentazione di uno corpo non basta solamente il bene essere del capo ma è necessario che gli altri membri faccino lo ufficio suo, così non basta che il principe sia senza colpa delle cose se ne' ministri suoi non è proporzionatamente la debita diligenza e virtù. (lib. VI, cap. VII)
  • [...] l'imitazione del male supera sempre l'esempio come per il contrario l'imitazione del bene è sempre inferiore [...]. (lib. VI, cap. X)
  • [È] più difficile, senza comparazione, conservare, eziandio da' minori pericoli, quel che rimane, a chi ha cominciato a declinare che non è a chi, sforzandosi di conservare la degnità e il grado suo, si volge prontamente, senza fare segno alcuno di volere cedere, contra chi cerca di opprimerlo. (lib. VIII, cap. I)
  • [...] nelle cose che dopo lungo desiderio s'ottengono non truovano quasi mai gli uomini né la giocondità né la felicità che prima s'aveano immaginata [...]. (lib. VIII, cap. IX)
  • [...] la difesa è, secondo la legge della natura, comune a tutti gli uomini e approvata dal sommo Iddio e dal consentimento di tutte le nazioni; nata insieme col mondo e duratura quanto il mondo, e alla quale non possono derogare né le leggi civili né le canoniche fondate in su la volontà degli uomini, e le quali, scritte in sulle carte, non possono derogare a una legge non fatta dagli uomini ma dalla stessa natura, e scritta scolpita e infissa ne' petti e negli animi di tutta la generazione umana. (lib. X, cap. VI)
  • [...] la neutralità nelle guerre degli altri essere cosa laudabile, e per la quale si fuggono molte molestie e spese, quando non sono sì deboli le forze che tu abbia da temere la vittoria di ciascuna delle parti; perché allora ti arreca sicurtà, e bene spesso, la stracchezza loro, facoltà di accrescere il tuo stato. Né essere sicuro fondamento il non avere offeso alcuno, il non avere data giusta cagione di querelarsi; perché rarissime volte, e forse non mai, si raffrena dalla giustizia o dalle discrete considerazioni l'insolenza del vincitore; né reputarsi, per queste ragioni, meno ingiuriati i prìncipi grandi quando è negato loro quel che desiderano, anzi sdegnarsi contro a ciascuno che non séguita la volontà loro e che con la fortuna di essi non accompagna la fortuna propria. (lib. X, cap. VIII)
  • [...] non è male alcuno nelle cose umane che non abbia congiunto seco qualche bene [...]. (lib. XII, cap. VII)
  • [...] accade quasi sempre, per il giudicio corrotto degli uomini, che ne' re è più lodata la prodigalità, benché a quella sia annessa la rapacità, che la parsimonia congiunta con la astinenza della roba di altri. (lib. XII, cap. XIX)
  • [...] non hanno gli uomini maggiore inimico che la troppa prosperità, perché gli fa impotenti di se medesimi, licenziosi e arditi al male e cupidi di turbare il bene proprio con cose nuove. (lib. XIV, cap. I)
  • [...] è considerato comunemente dagli uomini l'evento delle cose; per il quale, ora con laude ora con infamia, secondo che è o felice o avverso, si attribuisce sempre a consiglio quel che spesso è proceduto dalla fortuna. (lib. XIV, cap. IX)
  • [La pace] è desiderabile e santa, quando assicura da' sospetti, quando non augumenta il pericolo, quando induce gli uomini a potersi riposare e alleggierirsi dalle spese; ma quando partorisse gli effetti contrari è, sotto nome insidioso di pace, perniciosa guerra; è, sotto nome di medicina salutifera, pestifero veleno. (lib. XV, cap. II)
  • [...] i savi medici [...], quando i rimedi che si fanno per sanare la indisposizione degli altri membri accrescono la infermità del capo o del cuore, posposto ogni pensiero de' mali più leggieri e che aspettano tempo, attendono con ogni diligenza a quello che è più importante e più necessario alla salute dello infermo. (lib. XVI, cap. III)
  • [...] più facilmente si induce a perdonare chi è offeso che a restituire chi possiede [...]. (lib. XVI, cap. III)
  • [...] gli uomini si persuadono spesso che se si fusse fatta o non fatta una cosa tale sarebbe succeduto certo effetto, che se si potesse vederne la esperienza si troverebbeno molte volte fallaci simili giudizi. (lib. XVIII, cap. VIII)
  • [...] è più presente la ingratitudine e la calunnia che la rimunerazione e la laude alle buone opere [...]. (lib. XVIII, cap. VII)

Citazioni sulla Storia d'Italia

  • Guicciardini è il primo vero storico che sciolga la storia dal collegamento con un determinato stato. Per la prima volta dà un quadro esatto della politica internazionale, non solo perché la conobbe e la comprese per pratica, ma perché non ne comunicò semplici frammenti come è inevitabile che accada in una storia territoriale. La reciproca dipendenza degli stati, il nesso della politica interna con quella estera, l'influenza delle operazioni militari su quelle politiche e viceversa – tutti questi tipici tratti della politica, specialmente di quella europea, il Guicciardini li ha fissati con mano sicura nelle linee imperiture della sua Storia d'Italia. (Eduard Fueter)

Incipit di alcune opere

Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio

Nel primo Discorso è vera la distinzione che tutte le cittá sono edificate o da forestieri o da uomini nativi del luogo, ed in questo secondo membro cade Vinegia ed Atene; cadeci ancora Roma, ma diversamente da Atene e da Vinegia, perché queste furono edificate dagli incoli per necessitá di avere o uno ricetto sicuro o uno reggimento commune, ma Roma, sanza alcuna di queste necessitá, fu piú presto edificata come colonia di Alba, cioè da uomini o albani o sudditi allo imperio di Alba, per amore di quelli luoghi dove erano nutriti, o per ambizione di reggersi per sé stessi; né può Roma per rispetto di Enea applicarsi al membro de' forestieri, perché è uno cercare le origine troppo da lontano, le quali non s'hanno a referire a' primi antecessori di chi ha edificato.

Consolatoria, Accusatoria, Defensoria

Consolatoria

Fatta di settembre 1527 a Finocchieto
tempore pestis.

Io non mi maraviglio, Francesco, benché io ti cognosca di animo fermo e virile, che tu ti truovi ripieno di grandissimo dispiacere, perché sono concorsi in uno tempo medesimo troppi accidenti a perturbarti; né è solo la roba in che tu patisci, ma di più la grandezza, la degnità, e quello che io credo che ti pesi sopra tutte le cose, l'onore. Hai per la ruina del pontefice perduto la presidenzia di Romagna, luogo che ti dava grandissima utilità e tanta riputazione, che ogni uomo grande e nato in maggiore grado che privato, se ne sarebbe onorato; hai perduto uno pontefice che t'aveva singulare affezione, ma molto maggiore confidenzia, e che voleva che ordinariamente tu stessi apresso a lui e consigliassi e trattassi tutte le faccende importante e segrete dello stato, e ne' tempi della guerra t'aveva proposto a eserciti con tanta autorità che maggiore non aveva riservata a sé.

Oratio accusatoria

Non si doveva pregare più Dio di cosa alcuna, giudici, nessuna in questo tempo poteva essere più a proposito della republica, che esserci data occasione che questa nuova legge dell'accusare, ordinata con quello ardore che voi sapete di coloro che favoriscono la nostra libertà, fussi ne' suoi princìpi confermata con qualche notabile esempio; la quale poi che si è offerta più opportuna ancora e maggiore che non aremo saputo immaginare, non può essere dubio a persona che non consiglio ed opera alcuna di uomini, ma la divina voluntà e disposizione ce l'ha mandata.

Defensoria contra precedentem

Cognosco non essere conveniente, giudici, che chi si sente innocente e con la conscienzia purgata, tema o si perturbi per le accusazione false, perché debbe sperare che Dio giustissimo giudice sia suo protettore e defensore, né comporti che la verità sia suffocata dalle calunnie. Nondimeno queste cose insolite che mi si presentano innanzi agli occhi mi commuovono non mediocremente l'animo, vedendomi qui in mezzo di tanta multitudine, la quale tutta guarda me solo ed è testimone delle mie molestie; e che doppo una legge nuova, una nuova forma di cognoscere la causa ed udire le parte publicamente, io sia el primo chiamato in giudicio e riguardato da tutti quasi per esemplo, pieno di travagli abbia in pericolo tutto quello bene che ha e possa avere uno cittadino; e dove pochi mesi innanzi pareva che io avessi tanta felicità che fussi quasi invidioso agli amici, ora mi truovi sì afflitto che sia nonché altro, miserabile agli inimici.

Diario del viaggio in Spagna

Noi ci partimo di Firenze a dì 29 di gennaio 1511 e la sera andamo a Pistoia a casa Gualtieri Panciatichi, dove come fussimo trattati non accade riferire, perché el principio fu di qualità che se e' mezzi e gli effetti corrispondessino meriteremo troppa invidia.
Da Pistoia ne venimo a dì 30 a Lucca discosto a Pistoia venti miglia, delle qualità della quale non possiamo molto parlare perché ne vedemo più fuora che drento, conciosiaché giunti per la via di Pescia alle mura, l'avemo a girare più che mezza innanzi che trovassimo la porta; nondimeno la terra ci parve maninconica, che è in piano ma molto sotto a' monti; el contado verso Pisa e Pescia è poco; distendesi verso Pietrasanta ed è buono e bene cultivato, e benché da quella banda fussi la pace di Ottaviano, pure vi si stette con poco riposo, perché tutta la notte sentimo campane e gridi di guardie non altrimenti che se fussimo in mezzo la guerra. A Dio piaccia ridurgli in termini che e' non abbino a pensare più alla guardia della terra; e la dichiarazione di queste parole si stenda a senno del savio nostro.

Discorsi politici

Massimiano re de' romani, innanzi che fussi fatta la lega di Cambrai, nella dieta di Costanza, sotto titulo di rimettere Massimiano Sforza, ricercava e' viniziani di lega per venire in Italia per la corona dello imperio ed a' danni de' franzesi, allora signori di Milano, offerendo loro partiti grandi. Trattavasi nel senato suo quid agendum; fu parlato da uno senatore per la parte affermativa in questo modo:
Tutta la difficultá di questa consulta, onorevoli senatori, consiste in considerare se el re de' romani si unirá co' franzesi in caso che noi rifiutiamo le dimande sue; perché avendo noi ora pace piacevole ed onorevole ed anche assai sicura, nessuna ragione può essere bastante a farci pigliare una guerra di travaglio e spesa assai, ogni volta che noi non dubitiamo che loro si unischino.

Memorie di famiglia

L'avere notizia de' maggiori suoi e massime quando e' sono stati valenti, buoni ed onorati cittadini, non può essere se non utile a' descendenti, perché è uno stimulo continuo di portarsi in modo che le laude loro non abbino a essere suo vituperio; e per questo rispetto io ho disposto fare qualche memoria delle qualità de' progenitori nostri, non tanto per ricordo mio, quanto etiam per coloro che hanno a venire; e faccendolo non per pompa ma per utilità, dirò la verità delle cose che mi sono venute a notizia, etiam de' difetti ed errori loro, acciò che chi leggerà s'accenda non solo a imitare le virtù che hanno avute, ma etiam a sapere fuggire e' vizi.

Scritti minori

Lorenzo de' Medici morí lo anno 1492 a' dí... di aprile essendo di etá di anni 43 vel circa. Cosimo avolo suo, uomo di singulare prudenzia e di grandissima ricchezza, ebbe tanta autoritá nel governo della republica fiorentina, quanta possi avere uno cittadino in una cittá libera. Morto lui, rimase Piero suo figliolo e padre di Lorenzo nella medesima grandezza, el quale fu uomo claro per bontá di natura e per essere clementissimo.

Storie Fiorentine dal 1378 al 1509

Nel 1378 sendo gonfaloniere di giustizia Luigi di messer Piero Guicciardini successe la novità de' Ciompi, di che furno autori gli otto della guerra, e' quali per essere stati raffermati piú volte in magistrato, s'avevano recata adosso grande invidia e grande contradizione da' cittadini potenti, e per questo si erano rivolti a' favori della moltitudine; e però procurorono questo tumulto, non perché e' Ciompi avessino a essere signori della città ma acciò che col mezzo di quegli, sbattuti e' potenti ed inimici sua loro rimanessino padroni del governo.

Citazioni su Francesco Guicciardini

  • È storiografo diligente e dal quale, a mio parere, con più esattezza che da qualsiasi altro, si può apprendere la verità sugli affari del suo tempo: del resto nella maggior parte di essi è stato attore lui stesso, e in posizione onorevole. Non c'è alcun indizio che per odio, adulazione o vanità, abbia travisato le cose: e di ciò fanno fede i liberi giudizi che dà dei grandi, e specialmente di coloro dai quali era stato portato avanti e rivestito di cariche, come del papa Clemente VII. Quanto alla parte di cui sembra voler farsi più forte, cioè le digressioni e i ragionamenti, ce ne sono di buoni, e ricchi di bei tratti; ma se n'è troppo compiaciuto. Di fatto, per non voler tralasciare nulla, avendo in mano un argomento così ricco ed ampio, e quasi infinito, diventa prolisso e sa un po' di chiacchiera scolastica. Ho notato anche questo, che di tanti animi e di tanti fatti che giudica, di tanti impulsi e disegni, non ne attribuisce mai neppure uno alla virtù, allo scrupolo e alla coscienza, come se tali qualità fossero completamente estinte nel mondo; e di tutte le azioni, per quanto belle appaiano in se stesse, ne rimanda la causa a qualche movente vizioso o a qualche mira d'interesse. È impossibile immaginare che nell'infinito numero di azioni che giudica, non ve ne sia stata qualcuna compiuta per un giusto motivo. Nessuna corruzione può aver soggiogato gli uomini tanto universalmente che qualcuno non sfugga al contagio; questo mi fa temere che ci sia qui un po' del vizio del suo temperamento; e può essere accaduto che egli abbia giudicato gli altri secondo se stesso. (Michel de Montaigne)
  • Francesco Guicciardini [...] nello storiare pochi ebbe eguali, superiore nessuno. Egli con ragione reputar si può lo Zenofonte Fiorentino, per aver descritte con somma maestria quelle cose, nel governo delle quali ebbe gran parte. Comeché vivesse in tempi dissoluti e tirannici insieme, pure concepì la nobile idea di censurare non solo i privati cittadini, ma anche i Principi, assolvendo questo, quell'altro dannando, colle laudi esaltando le virtù de' pochi inorrotti animi, e in abbominio ponendo la fellonesca depravazione dell'universale. (Francesco Lomonaco)
  • Il Guicciardini è forse il solo storico tra i moderni, che abbia e conosciuti molto gli uomini, e filosofato circa gli avvenimenti attenendosi alla cognizione della natura umana, e non piuttosto a una certa scienza politica, separata dalla scienza dell’uomo, e per lo più chimerica, della quale si sono serviti comunemente quegli storici, massime oltramontani ed oltramarini, che hanno voluto pur discorrere intorno ai fatti, non contentandosi, come la maggior parte, di narrarli per ordine, senza pensare più avanti. (Giacomo Leopardi)
  • In Guicciardini è costante il timore di quel teorizzare che per essere troppo generale scivola nell'astrattezza e non riesce più a connettere la realtà con i principî. Machiavelli, nonostante il suo richiamo alla «realtà effettuale» aveva troppo amato la generalizzazione astratta; Guicciardini è preoccupato di conservare l'umiltà di fronte ai fatti, che sono gli unici a noi cogniti e rappresentano per noi l'unico mezzo di orientamento. (Eugenio Garin)
  • Le profonde somiglianze del pensiero del Guicciardini con quello del Machiavelli sono state rilevate così di frequente che vana sarebbe ogni insistenza in proposito: non inutile, invece, notare quanto il consueto paragone fra i due nuoccia piuttosto che giovare alla comprensione dell'atteggiamento guicciardiniano, a proposito del quale troppo si è insistito sulla valutazione del «particulare» quasi segno di mentalità analitica e scarsamente costruttiva. (Eugenio Garin)

Note

  1. Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini, Francesco Guicciardini, per Niccolò Conti, 1818, p. 10.
  2. Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini, Francesco Guicciardini, per Niccolò Conti, 1818, p. 191.
  3. Da Nella dannata piscina picchia solo Moby Dick, la Repubblica, 1º agosto 1984.
  4. Da La mascotte diviso tre, la Repubblica, 21 novembre 1986.
  5. Da Quelle omeriche risate, la Repubblica, 20 settembre 1988, p. 3.
  6. Questo paragrafo risulta essere l'Incipit nell'edizione: Ricordi, introduzione di Mario Fubini, premessa al testo e bibliografia di Ettore Barelli, breve glossario ideologico di Carlo Pedretti, Fabbri Editori, 2001.

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