Femminismo in Italia

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Corteo femminista

Il femminismo in Italia ha avuto origine durante il periodo del Rinascimento italiano, a partire dal tardo XIII secolo[1]. Scrittrici Italiane come Moderata Fonte, Lucrezia Marinella e altre, svilupparono le idee teoriche che stanno dietro all'uguaglianza di genere. In contrasto con i movimenti femministi presenti in Francia e nel Regno Unito, i primi sostenitori dei diritti delle donne in Italia sottolinearono i fattori dell'educazione e del miglioramento delle condizioni sociali femminili[2].

Il femminismo italiano subì una battuta d'arresto con l'ascesa al potere di Mussolini nell'ottobre 1922, per via dell'ideologia fascista che vedeva nella procreazione il principale dovere di una donna[3]. Nel periodo post-bellico i movimenti femministi crebbero con un forte attivismo pubblico soprattutto su questioni come il divorzio e l'aborto nel corso degli anni settanta[4].

Il femminismo italiano più recente, in particolare durante i governi presieduti da Silvio Berlusconi, si focalizza nell'opporsi all'oggettivazione delle donne nei programmi televisivi nazionali e in politica[5].

Rinascimento e prime femministe moderne

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Lo stesso argomento in dettaglio: Protofemminismo.

I pensatori rinascimentali sfidarono regolarmente la saggezza convenzionale proveniente dal Medioevo e dalle epoche precedenti. L'Umanesimo divenne un modo nuovo di guardare alla politica, alla scienza, alle arti, all'istruzione e agli altri campi del sapere. L'umanesimo mise da parte il concetto cristiano medioevale di un ordine sociale gerarchico che metteva i cittadini comuni in una posizione servile rispetto ai membri del clero. L'uomo universale del Rinascimento divenne ben presto l'ideale da emulare.

Mentre gli uomini rinascimentali erano per la maggior parte tendenti all'antifemminismo[6], un ristretto numero di donne istruite ebbero l'ardire di sfidare l'idea che la donna dovesse essere rimanere sottomessa all'uomo. Nel 1404 Christine de Pizan scrisse il Livre de la Cité des Dames (Libro della Città delle Dame) dove descrisse il genere femminile come privo di inferiorità innata rispetto agli uomini; "né l'altezza né l'umiltà di una persona si trova nel corpo a seconda del sesso, ma nella perfezione di condotta e nelle virtù"[6]. Tuttavia mitigò le sue affermazioni scrivendo anche che gli uomini sono stati creati per governare, mentre le donne per seguirli.

Durante il Rinascimento, con lo sviluppo dell'istruzione superiore e delle università, le donne non venivano ammesse. Alcune potevano permettersi di ottenere una formazione in proprio, attraverso un tutore. Alcuni sostennero l'istruzione anche per le donne, come un modo per migliorare le loro virtù e farle diventare più obbedienti al marito. L'istruzione volta a creare i capi venne vista come sprecata sulle donne[7]. Rispetto all'epoca medievale, dove le donne erano state confinate in ambienti conventuali, le donne istruite cominciarono a partecipare agli ambienti intellettuali laici. Tuttavia vi fu la consuetudine di ospitare nei salotti letterari, uomini e donne d'intelletto che discutevano di letteratura, di politica e di altri argomenti di rilevanza. E in breve tempo le donne italiane istruite scrivevano "in ogni genere immaginabile, dalla corrispondenza interna alla poesia, ai dialoghi e perfino alla teologia"[8].

Donne italiane al lavoro, 1900 circa.

In un momento in cui la maggioranza delle donne apparteneva alla classe dei contadini, la maggior parte di loro erano analfabete. Le donne istruite che sapevano leggere e scrivere su vari aspetti del femminismo si trovavano in una posizione isolata. Al fine di ottenere sostenitori per le cause femministe era necessario fare un appello alle donne appartenenti a tutti i livelli della società. A partire dalla metà del XIX secolo certe donne intraprendenti cominciarono a raggiungere le donne della classe media attraverso i nuovi media di comunicazione, quali la stampa, libri per il mercato di massa e i periodici.

La legge Casati del 1859 impostò le basi per un sistema che avrebbe dovuto formare le giovani donne come insegnanti nelle scuole pubbliche; le donne finirono così col diventare la spina dorsale del sistema di istruzione in Italia e, appartenendo alle associazioni degli insegnanti, donavano la propria esperienza nell'organizzazione di protezione dei loro interessi, come i salari e le condizioni di lavoro[9].

Anna Maria Mozzoni innescò un movimento femminile che ebbe ampia diffusione in Italia attraverso la pubblicazione di La donna e i suoi rapporti sociali in occasione della revisione del codice italiano nel 1864. Le donne che avevano partecipato alle lotte per l'unificazione del paese durante il Risorgimento furono giustamente insoddisfatte per le disuguaglianze contenute nel nuovo codice di diritto civile dello Stato, nonostante questo fosse definito da tutti "nuovo e migliore"[9].

Il libro di Mozzoni aumentò la consapevolezza delle ingiustizie presenti nel diritto di famiglia italiano che discriminava le donne; anche la campagna svolta da Mozzoni contro la regolamentazione statale delle prostituzione seguì questa scia. Ella tradusse poi il saggio di John Stuart Mill su La servitù delle donne. Nel 1881, per promuovere il suffragio femminile Mozzoni fondò la Lega per la promozione degli interessi femminili a Milano.

Il 1865 vide la maggiorità legale per le donne non sposate, così come l'uguale diritto all'eredità e, per le donne sposate, il permesso di diventare tutrici legali dei propri figli e soprattutto delle proprie proprietà, se abbandonate dai mariti[10].

Gualberta Alaide Beccari a partire dal 1868, all'età di 16 anni, cominciò a pubblicare il giornale Donne a Venezia. Beccari trascorse gran parte degli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento immersa nel compito di diffondere informazioni sul femminismo. La rivista coprì notizie riguardanti le lotte del femminismo internazionale, come ad esempio le conquiste politiche e sociali realizzate dalle donne in Francia, negli Stati Uniti d'America e in Gran Bretagna; legislatori insegnanti maschi furono tra la sua crescente schiera di lettori e nel 1877, una serie di articoli su argomenti pro-riforma ispirarono 3000 donne a firmare una petizione per il suffragio femminile[11].

Le donne sono state ammesse alle università italiane a partire dal 1876[12].

Nel 1877 le donne sono diventate in grado di servire come testimoni di atti giuridici[10].

Il primo congresso nazionale femminista in Italia fu organizzato da Per la Donna nel 1911; in esso gli oratori chiesero il diritto di divorzio per le donne e quello di poter frequentare scuole non-religiose.

Nel 1919 alle donne sposate vennero concessi i diritti di economia separata, mentre gli uffici pubblici ai livelli più bassi furono aperti alle donne[10].

Fino quasi all'avvento del fascismo, vi sono stati casi di quello che si chiamava "femminismo sociale", come nel caso di Guglielmina Ronconi: l'obiettivo era quello di elevare le donne delle classi sociali più svantaggiate tramite organizzazioni interamente femminili, che si rivolgevano alle sole donne delle periferie urbane.[13]

Donne al lavoro in una fabbrica, 1920 circa.

Le donne nell'Italia fascista (1922-1945)

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Al movimento femminista venne inferto un duro colpo nel 1922, quando Mussolini salì al potere e nel paese era in corso l'ascesa sociale del fascismo. Questo periodo è stato generalmente antifemminista; ad esempio l'ideologia fascista dettava la procreazione come il dovere principale per una donna[3]. Tuttavia nel 1925 le donne italiane ottennero il diritto di voto, anche se limitato alle elezioni locali. La riforma podestarile, entrata in vigore pochi mesi dopo e precisamente in data 4 febbraio 1926, rese però nulla tale legge poiché ogni elettorato amministrativo locale veniva annullato sostituendo al sindaco il podestà che, insieme ai consiglieri comunali, non era eletto dal popolo ma dal governo.[14] Si dovette aspettare fino al 1945 perché le donne guadagnassero il pieno suffragio[15].

Donna e bambine al pozzo, in una località imprecisata del Sud Italia, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Femminismo italiano dal dopoguerra in poi

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Come successe anche in altri paesi i primi gruppi organizzati femministi si svilupparono in Italia con l'avvio degli anni settanta, come parte della seconda ondata femminista. Nel 1970 il periodico Rivolta Femminile venne fondato a Roma e a Milano da Carla Lonzi, Carla Accardi e Elvira Banotti, con la pubblicazione di un manifesto[16].

Tra i maggiori successi del femminismo italiano in questo decennio vi fu l'introduzione di una legge per il divorzio (1970) e di una legge che regolamentava l'aborto (1978).

Nel 1975 il diritto di famiglia venne riformato per rimuovere l'adulterio dagli atti penali perseguibili, così come il fatto che i partner maschili e femminili in un matrimonio venivano di fatto considerati uguali di fronte alla legge. In particolare la legge numero 151/1975 prevedeva la parità di genere all'interno del matrimonio, abolendo così il dominio legale del marito[17][18]. Tali riforme giuridiche rimossero anche la discriminazione nei confronti dei bambini nati al di fuori dell'istituto matrimoniale[19].

Il 1981 vide l'abrogazione della legge italiana che prevedeva la pena mitigata in caso di delitto d'onore: prima di allora la legge diceva all'Art. 587: "Colui che provoca la morte di un coniuge, figlia, o sorella dopo aver scoperto la sua relazione carnale illegittima e nel calore della passione introdotto dalla colpa al suo onore o quello della sua famiglia sarà condannato da tre a sette anni. La stessa pena si applica a chi, nelle circostanze di cui sopra, provoca la morte della persona coinvolta nelle relazioni carnali illegittime con la moglie, la figlia o la sorella"[20][21].

A Roma nel 1992 un istruttore di guida quarantacinquenne venne accusato di stupro; quando una ragazza diciottenne prese con lui la sua prima lezione di guida egli l'avrebbe violentata per un'ora, poi le disse che se voleva denunciarlo l'avrebbe uccisa. Più tardi quella notte, raccontò il fatto ai suoi genitori ed essi accettarono di aiutarla. Mentre il presunto violentatore è stato condannato, la Corte suprema di cassazione ha annullato la condanna nel 1998 perché la vittima indossava dei jeans stretti. È stato sostenuto che lei deve aver necessariamente dovuto aiutare il suo aggressore a toglierle i suoi jeans, rendendo così l'atto consensuale ("perché la vittima indossava i jeans molto stretti, ha dovuto aiutarlo a rimuoverli... e rimuovendo il jeans... non si trattava più di stupro, ma di sesso consensuale"). La Suprema Corte italiana ebbe a dichiarare nella sua decisione che "è un fatto di esperienza comune che è quasi impossibile sfilarsi i jeans stretti, anche in parte, senza la collaborazione attiva della persona che li indossa"[22].

Questa sentenza ha suscitato una diffusa protesta femminista. Il giorno dopo la decisione, le donne presenti nel Parlamento italiano protestarono indossando i jeans e tenendo cartelli con la scritta “Jeans: Un alibi per lo stupro”. Come segno di sostegno il Senato della California ne seguì l'esempio. Presto Patricia Giggans, direttore esecutivo della Commissione di Los Angeles sulle aggressioni contro le donne, (oggi la Peace Over Violence) ha promosso il Denim Day come evento annuale.

A partire dal 2011 almeno 20 stati degli Stati Uniti riconoscono ufficialmente il Denim Day nel mese di aprile. I Jeans da portare in questo giorno sono diventati un simbolo internazionale di protesta contro gli atteggiamenti errati e distruttivi sulla violenza sessuale. A partire dal 2008 la Corte di Cassazione italiana ha ribaltato le proprie sentenze e da allora non c'è più una difesa dei "jeans" per l'accusa di stupro.

Nel 1996 l'Italia ha modificato la legge sullo stupro, con un inasprimento della pena per l'aggressione sessuale e la riclassificazione da reato contro la morale a crimine penale contro la persona[23].

Dopo un paio di casi di infibulazione praticata da medici compiacenti all'interno della comunità degli immigrati africani i fatti sono venuti a conoscenza del pubblico attraverso la copertura mediatica, la Legge nº 7/2006 è stata approvata in Italia il 9/1/2006, divenendo efficace su 28/01/2006, recante "Misure di prevenzione e il divieto di qualsiasi pratica di mutilazioni genitali femminili".

La legge è anche conosciuta come la Legge Consolo dal nome del suo primo promotore, il senatore Giuseppe Consolo. L'articolo 6 della legge integra il codice penale italiano con gli articoli 583-bis e 583-ter, che punisce qualsiasi pratica di mutilazione genitale femminile "non giustificabile sotto esigenze terapeutiche o mediche" con la reclusione da 4 a 12 anni (da 3 a 7 anni per qualsiasi mutilazione di tipo diverso, o meno grave, come la clitoridectomia, l'escissione o infibulazione). La pena può essere ridotta fino a 2/3 se il danno causato è di modesta entità (cioè se parzialmente o completamente senza successo), ma possono anche essere elevati fino a 1/3 se la vittima è un minore o se il reato è stato commesso per profitto.

Un cittadino italiano o un cittadino straniero residente legalmente in Italia possono essere puniti ai sensi della presente legge, anche se il fatto è commesso all'estero; la legge potrà così valere per qualsiasi individuo di qualsiasi cittadinanza in Italia, anche se presente illegalmente o provvisoriamente. La legge impone anche che qualsiasi medico riconosciuto colpevole in virtù di tali disposizioni abbia la sua licenza di medicina revocata per un minimo di sei ad un massimo di dieci anni[24].

Il femminismo italiano è diventato più importante di recente, in particolare durante l'amministrazione dell'ex presidente del Consiglio Berlusconi, con una particolare attenzione all'opposizione nei confronti della crescente oggettivazione delle donne nei programmi televisivi nazionali e nella politica[5].

Condividendo la notizia, 1904, di Eugenio De Blaas.
  1. ^ Sarah Gwyneth Ross, The Birth of Feminism: Woman As Intellect in Renaissance Italy and England, Harvard University Press, 2009, ISBN 978-0-674-03454-9.
  2. ^ Pilar Ballarín, Women’s Politics: The Feminist Movement, su Women in the History of Europe, Xantippa. URL consultato il 22 luglio 2012.
  3. ^ a b Miguel Malagreca, Lottiamo Ancora 1: Reviewing One Hundred and Fifty Years of Italian Feminism (PDF), in Journal of International Women’s Studies, vol. 7, n. 4, May 2006. URL consultato il 22 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2012).
  4. ^ Madelaine Johnson, Italy: Where did All the Feminism Go?, su womenmakenews.com, Women Make News. URL consultato il 22 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 20 agosto 2011).
  5. ^ a b Eloisa Morra Pucacco, Combating Berlusconi’s Vision of Women: Italian Feminism 2.0, in The WIP, 16 novembre 2010. URL consultato il 23 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 16 maggio 2012).
  6. ^ a b Chase, Myrna, and James R. Jacob, Margaret C. Jacob, Theodore H. Von Laue, Western Civilization: Ideas, Politics, and Society, Cengage Learning, 2012, p. 303, ISBN 978-1-111-83168-4.
  7. ^ Chase, Myrna, and James R. Jacob, Margaret C. Jacob, Theodore H. Von Laue, Western Civilization: Ideas, Politics, and Society, Cengage Learning, 2012, pp. 303, 305, ISBN 978-1-111-83168-4.
  8. ^ Sarah Gwyneth Ross, The Birth of Feminism: woman as intellect in Renaissance Italy and England, Harvard University Press, 2010, p. 3, ISBN 978-0-674-05453-0.
  9. ^ a b Robin Morgan, Sisterhood is Global: The International Women's Movement Anthology, Feminist Press at CUNY, 1996, p. 369, ISBN 978-1-55861-160-3.
  10. ^ a b c Judith Jeffrey Howard, "The Civil Code of 1865 and the Origins of the Feminist Movement in Italy", in The Italian Immigrant Woman in North America, eds. Betty Boyd Caroli, Robert F. Harney and Lydio F. Thomasi (Toronto: The Multicultural History Society of Ontario, 1977)
  11. ^ Helen Rappaport, Encyclopedia of Women Social Reformers, Volume 1, ABC-CLIO, 2001, pp. 60–1, ISBN 978-1-57607-101-4.
  12. ^ Helene Lange, Higher Education of Women in Europe, su books.google.com, 2010, ISBN 978-3-86741-434-0. URL consultato il 10 aprile 2016.
  13. ^ Rossini, Daniela. Donne e propaganda internazionale. Percorsi femminili tra Italia e Stati Uniti nell’età della Grande Guerra: Percorsi femminili tra Italia e Stati Uniti nell’età della Grande Guerra. Vol. 19. FrancoAngeli, 2015.
  14. ^ Giulia Galeotti, La sconfitta di Atena, in Storia del voto alle donne in Italia, Roma, Biblink, 2006.
  15. ^ Copia archiviata, su lomb.cgil.it. URL consultato il 27 marzo 2009 (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2008).
  16. ^ Peter Bondanella, Julia Conway Bondanella e Jody Robin Shiffman, Cassell Dictionary of Italian Literature, A&C Black, 1º gennaio 2001, p. 207, ISBN 978-0-304-70464-4.
  17. ^ https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/join/2014/493052/IPOL-FEMM_NT%282014%29493052_EN.pdf
  18. ^ http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/RegularSession/Session20/A-HRC-20-16-Add2_en.pdf
  19. ^ Paul Ginsborg, A History of Contemporary Italy: Society and Politics, 1943-1988, Palgrave Macmillan, 1º gennaio 2003, pp. 369–370, ISBN 978-1-4039-6153-2.
  20. ^ http://www.surt.org/gvei/docs/national_report_italy.pdf
  21. ^ Omicidio e lesione personale a causa di onore, su Diritto24. URL consultato il 10 aprile 2016.
  22. ^ Benedetta Faedi, Rape, Blue Jeans, and Judicial Developments in Italy, in Columbia Journal of European Law, 2009. URL consultato il 26 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 28 agosto 2011).
  23. ^ Ruling on Tight Jeans and Rape Sets Off Anger in Italy, su The New York Times, 16 febbraio 1999.
  24. ^ Italian Law nº 7 1/9/2006, Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, accessed 23 March 2009.

Voci correlate

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