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Campo di concentramento di Flossenbürg

Coordinate: 49°44′08″N 12°21′21″E
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Mappa di localizzazione: Germania
Flossenbürg
Flossenbürg
Posizione del Campo di concentramento di Flossenbürg fra Norimberga e Praga

Il Campo di concentramento di Flossenbürg fu un campo di concentramento nazista realizzato a circa metà strada fra Norimberga e Praga. Dal 1938 fino al 1945 faceva parte del territorio comunale di Flossenbürg, presso la città extracircondariale di Weiden in der Oberpfalz, a nord-est della Baviera.

Himmler ricevette l'incarico di costruire il campo per espressa volontà di Hitler. I lavori iniziarono il 16 maggio 1938 principalmente ad opera di circa 400 prigionieri provenienti dal lager di Dachau, accanto ad un giacimento di granito di proprietà della DEST, l'azienda delle SS. Hitler aveva richiesto l'erezione di un campo di concentramento vicino a Bayreuth per il fabbisogno di granito e di manodopera per i suoi progetti architettonici sulla città e il suo teatro; Bayreuth era la città scelta da Richard Wagner per la rappresentazione delle sue opere, considerata uno dei cuori pulsanti della Kultur del III Reich. Hitler, fanatico della musica wagneriana e devoto amico dei parenti di Wagner, voleva che la città diventasse palcoscenico dell'ideologia nazista in esaltazione del Genio tedesco. Mai mancò l'appuntamento annuale con il Festival di Bayreuth. I progetti furono eseguiti ma a quale prezzo di vite e sofferenze umane; stride fortemente il contrasto violento tra la città d'arte e di musica e il vicino campo di sterminio.

In seguito Flossenbürg conobbe una grande espansione; divenne lo Stammlager, Campo Madre di 97 sottocampi dove si praticò con sadismo feroce lo sterminio tramite il lavoro. Non vi risultano camere a gas e i selezionati per invalidità al lavoro venivano uccisi con iniezioni di fenolo al cuore, fucilati o impiccati o con uno dei tanti modi in uso nel lager.

Flossenbürg fu la tomba principalmente di polacchi e di militari sovietici, questi ultimi prigionieri di guerra non protetti dalla Convenzione di Ginevra e perciò più facilmente sterminabili nei lager nazisti. Il genocidio dei popoli slavi era uno dei compiti svolti dai lager della morte per la pulizia etnica dei territori dell'est europeo in vista dell'insediamento tedesco secondo i piani del Lebensraum (spazio vitale).

Un forno crematorio era sito in basso rispetto al campo, in quella che veniva chiamata la Valle della morte. Il forno ardeva giorno e notte ma non era sufficiente e allora si smaltivano i cadaveri in fosse comuni e cimiteri nei dintorni. Nel dopoguerra si volle riportare queste salme nel sacrario all'interno del recinto del lager.


Subito dopo la liberazione del campo, il Generale Patton fece riesumare 800 corpi di prigionieri di guerra sovietici vittime di un massacro in un bosco vicino e costrinse la popolazione locale a prendere visione del crimine. Con le pietre delle torri di guardia demolite si costruì una chiesa dentro il lager.

Su di uno dei pilastri dell'ingresso vi era apposta una lapide in pietra con incisa in gotico la tristemente famosa scritta "Arbeit macht frei", il lavoro rende liberi, dove invece si sterminava con il lavoro.

Dai registri del campo risultano 111.400 immatricolazioni, di cui 95.400 uomini e 16.000 donne; secondo alcuni storici le vittime che non ressero alle sevizie e alla tortura del lavoro furono 73.296.[1] Altri fissano a 30.000 il numero delle vittime ma l'elenco è destinato a rimanere parziale perché dal 1944 in poi non si contarono più i decessi nel campo.

Dai sopravvissuti si sono raccolte testimonianze di avvenimenti raccapriccianti sugli orrori di Flossenbürg.

Nel campo agiva, tra gli altri, un piccolo sergente SS 53 enne, un certo Karl Weihe, un sadico sessuale che si macchiò di numerosi delitti e atrocità. Impiccò personalmente donne incinte e bambine, sparava in testa a così tanti deportati che la pistola talvolta si surriscaldava e si inceppava; dopo i massacri correva al bordello del campo perché la vista del sangue lo eccitava. A Natale 1944 fece erigere un Albero di Natale nel piazzale dell'appello decorandolo con una forca, a cui fece impiccare due prigionieri con grossi sacchi di carta colorati sulla testa. Gli piaceva insultare fortemente chi stava per essere ucciso; tra l'altro sporcava e stracciava davanti a loro persino le foto dei loro cari. Amava assassinare i deportati appendendoli a ganci da macellaio.[2] Al termine del conflitto riuscì a far perdere le sue tracce.[3]

I prigionieri

Le categorie destinate al campo furono inizialmente quelle degli asociali e dei criminali comuni, segnalati rispettivamente con i triangoli neri e verdi, condannati a lavorare nelle cave di pietra circostanti, come a Mauthausen. Ai primi prigionieri si aggiunsero successivamente altri 1300 internati provenienti sia da Buchenwald che da Sachsenhausen.

I primi deportati non tedeschi furono politici cecoslovacchi e polacchi, giunti a partire dai primi mesi del 1940 e alla fine dello stesso anno giunsero anche i prigionieri di guerra sovietici, confinati in isolamento.

Quanto alle nazionalità dei prigionieri, polacchi e sovietici furono circa 60% del totale, seguiti da ungheresi (9%), francesi (7%) e tedeschi (5%), mentre gli ebrei passati per Flossenbürg furono circa 10.000. Inoltre, nel lager di Flossenbürg e dipendenze, vi persero la vita anche 3431 italiani, tra deportati politici e soldati fatti prigionieri. Spiace notare il silenzio commemorativo delle autorità italiane per le numerose vittime italiane di Flossenbürg, mentre le stesse autorità, sia detto anche con una vena un poco polemica, per eccidi molto minori (giustamente ricordati) hanno fatto visibilità piena. Per gli italiani che qui patirono sofferenze inaudite e i 3431 che vi morirono nulla. Oggi in questo lager-museo non esiste neanche una guida in lingua italiana.

Un elenco di circa mille deportati italiani morti a Flossenbürg dal settembre 1944 al 19 aprile 1945 venne prodotto nascostamente dal maggiore Ubaldo Pesapane, detenuto con funzioni di scrivano che aveva accesso ai registri del campo, e salvato al momento dello sgombero del campo; è oggi conservato, insieme a memoriali e carteggi del maggiore Pesapane, presso l'Archivio di Stato di Bolzano; cfr. G. Pesapane, Un uomo del Novecento. Ubaldo Pesapane, Milano 2014.

Flossenbürg campo di sterminio con il lavoro

Il campo in una foto del 1945.


Flossenbürg fu uno dei circa 20.000 campi di concentramento o di sterminio, costruiti dalla Germania dal 1933 al 1945, gestiti dalle SS e camuffati da campi di lavoro (Arbeitslager). Lo sterminio in essi iniziò, più precisamente, a partire dal 1940-41, usando come micidiale strumento di morte il lavoro stesso, sotto-alimentando cioè il prigioniero con cibo scarsamente calorico, in modo che la sua sopravvivenza nel lager non superasse i due o tre mesi al massimo. In qualunque momento, dall'arrivo ai lager in poi, chi non poteva più lavorare veniva ucciso subito.

A Flossenbürg non mancarono neanche esecuzioni di massa mirate, in particolare nei confronti dei prigionieri di guerra sovietici e polacchi. Ciò per attuare la pulizia etnica dagli Slavi dei territori dell'Europa orientale, in vista della colonizzazione tedesca.

Agli inizi del 1942 vennero aperti sottocampi, che arrivarono ad essere 97, destinati alla produzione di armamenti (tra cui gli aerei Messerschmitt Bf 109).

All'arrivo i deportati, nel passaggio sotto l'arco d'ingresso, venivano contati bastonandoli in testa fortemente con una lunga pertica; poi tramite gli interpreti, il Capocampo diceva loro: "Siete arrivati in un lager tedesco dove sarete adibiti ai lavori necessari per la vittoria del Grande Reich; dovete solo lavorare ed ubbidire perché questo è il vostro dovere; non avete nessun diritto se non quello di morire per la Germania; da oggi non sarete più chiamati per nome ma solamente con il vostro numero di matricola".[4]

Il lavoro massacrante si svolgeva tra botte frequenti e morsi dai cani addestrati dalle SS di guardia. Dodici ore di lavoro al giorno (con una sola sosta alle 12.00 per il pasto delle SS), dalle 6.00 del mattino alle 18.00 di sera. Si veniva mandati a lavorare nelle cave o in fabbriche meccaniche, nella stessa fabbrica di motori per aerei Messerschmitt, contigua al campo di Flossenbürg, o in altri campi dipendenti.

Ai deportati condannati per reati politici venivano assegnate punizioni corporali supplementari; dovevano portare sulle spalle una pietra di 20 chili con dipinto in rosso il loro numero di matricola in andata e ritorno dal lavoro al blocco e ad un giorno prestabilito del mese, ricevere 25 bastonate sulle natiche, sferrate con tutta forza; il deportato doveva contarle in tedesco e non sbagliare o svenire, sennò si ricominciava daccapo.[4]

Man mano che i giorni passavano molti cadevano sfiniti o malati e chiedevano di essere ricoverati nell'ospedale del campo. Ecco come l'ex deportato Italo Geloni, nel suo libro "Ho fatto solo il mio dovere." (Pag.21), ricorda il suo ingresso in ospedale: "Un fetore indescrivibile che faceva rivoltare anche lo stomaco più forte. Sporcizia da tutte le parti, bende di carta che erano state tolte a cancerosi piene di pus ma soprattutto fui mosso da una grande compassione nel vedere i poveri Compagni distesi in quelle piccole buche sistemati a due o tre per giaciglio e con una sola coperta e nudi. Erano dei cadaveri viventi, si capiva da quel poco di respirazione che filtrava attraverso la bocca spalancata, che ancora non erano pronti per il crematorio.“Tu krematorium”, ci dicevano continuamente, per renderci ancor più consapevoli che quella e solo quella, era la nostra liberazione".

Da questo racconto emerge che nel campo vi era una fissazione comune a tutti, quella di controllare continuamente e maniacalmente lo stato di rimanenza di vita di un deportato, cioè quanto gli restava da vivere prima di diventare "Krematorium"; ad esempio Geloni si "rassicura" dei suoi compagni nell'ospedale, pur vedendoli cadaveri viventi e ansimare a bocca spalancata, giudica che non erano ancora pronti per il crematorio secondo la sua esperienza; questo fa capire come la vita, nei lager della morte, si era attaccata anche all'ultimo assurdo, infinitesimo, brandello di speranza. Ma se il riconoscere la possibilità di vita rimasto nei compagni di sventura era in qualche modo sinonimo di speranza, la stessa cosa per medici, SS e kapòs voleva dire invece la fine di tale speranza; scrutare continuamente le file e al momento giusto estrapolare per l'uccisione quello che non dimostrava di poter lavorare ancora un solo giorno in più, era vanto di bravura degli aguzzini.

A Flossenbürg i morti venivano accatastati nelle latrine di ogni baracca in attesa di essere portati al crematorio. I prigionieri nell'espletare i loro bisogni dovevano passarvici sopra. Succedeva che i corpi restavano lì per giorni e giorni in attesa che il forno fosse disponibile e allora si propagava un tanfo di putrefazione e di morte che era foriero di infezioni ed epidemie.

Successivamente i corpi venivano ammassati in una buca di muri posta al limite del campo sopra la Valle della Morte, a cui corrispondeva un sottostante carrello su binario posto su un terrapieno che terminava dopo un ripido pendio dentro al crematorio. Con una corda si calava il carrello carico di cadaveri al forno recuperandolo, sempre con la corda, per il carico seguente.

Due ex deportati, Italo Geloni ed Evelino Casanova Borca ci raccontano rispettivamente questi due episodi, che ci aiutano a capire cosa fu Flossenbürg:

"Ci comandarono di portare i cadaveri al Sonderkommando del crematorio. Uno dei miei compagni riconobbe il fratello tra i morti, lo riconobbe in verità solo dal numero di matricola che era quello immediatamente dopo il suo (e non poteva essere stato altrimenti, tanto era sfigurato) e alla vista del fratello svenne. Le SS di scorta dissero che anche lui era morto e doveva essere messo nel forno. Riuscii a dir loro che era solamente svenuto alla vista del fratello morto. Non volevano sentire ragioni: dovevamo ad ogni costo, pur essendo vivo, gettarlo nel forno. Ci rifiutammo tutti e tre ed allora iniziarono a colpirci con il calcio dei fucili fino a che tutti non sanguinammo. Fino a quel momento non capimmo quale era il loro proponimento. Sveltamente le due SS presero il povero Compagno svenuto, lo misero sulla barella in ferro e lo introdussero vivo nel forno: un urlo straziante poi più nulla. Dopo solo pochi minuti (il calore interno del forno era di circa 1200 gradi) era ridotto in cenere e prima ancora di suo fratello. Il ricordo di quel fatto (ce ne sarebbero stati altri e più atroci) ci sconvolse. Quando rientrammo al lavoro e raccontammo l'accaduto ai compagni e tanto fu lo sconforto..."

A Flossenbürg chi non poteva lavorare diventava zavorra umana, da eliminare immediatamente; questa testimonianza del sopravvissuto Borca lo conferma:

" Un giorno mi costrinsero a portare un uomo, con una gamba fratturata, fino all'edificio del forno. Lo sostenni finché non fummo arrivati e lo lasciai seduto lì davanti. Probabilmente fu cremato. Non dimenticherò mai quell'orribile scena della porta che si apriva e poi si richiudeva alle spalle di un uomo condannato a essere bruciato." Il testimone non seppe quale morte fece il povero prigioniero portato dentro il crematorio ancora vivo e solo per una gamba rotta, quando la porta si richiuse alle sue spalle; dice solo che "probabilmente fu cremato" lasciando intuire una atroce cremazione diretta, sapendo che orrori simili non erano sporadici a Flossenbürg.

Nel campo furono eseguite anche condanne a morte legate all'attentato contro Hitler, come quella del teologo e filosofo Dietrich Bonhoeffer e dell'ammiraglio Wilhelm Canaris.

Al termine del 1944 il sistema di campi di Flossenbürg internava circa 40.000 prigionieri, di cui 11.000 donne. Nel 1945 furono deportati prigionieri provenienti da Auschwitz, Gross-Rosen e Buchenwald, nelle tristemente famose "marce della morte".

Prima della fine della guerra, i prigionieri risultavano 45.813.

Il campo principale fu liberato il 23 aprile 1945 e vi si trovavano ancora 1.500 prigionieri, per lo più malati o impossibilitati a muoversi.

Prigionieri speciali

Nel campo di Flossenbürg erano internate numerose personalità del tempo, tra i quali:

  • Filippo d'Assia, marito di Mafalda di Savoia;
  • Francesco di Baviera, principe ereditario del Regno di Baviera;
  • Ammiraglio Canaris, capo del Servizio Segreto tedesco dal 1935 al 1944, che fu eliminato sul posto;
  • Eugenio Pertini, fratello del futuro presidente della Repubblica Sandro, che fu fucilato il 25 aprile 1945[5];
  • Hjalmar Schacht, economista, presidente della Reichsbank, la banca centrale tedesca, e ministro dell'Economia nella Germania nazionalsocialista dal 1935 al 1937.
  • Don Nicola Ricchini, parroco di Aggio (Genova) è riuscito a scappare con l'aiuto degli americani perché venne definito dai tedeschi un moribondo.
  • Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano tedesco protagonista della resistenza al nazismo.

Lista dei comandanti di Flossenbürg

  • SS-Sturmbannführer - Jacob Weiserborn - Maggio 1938 - Gennaio 1939
  • SS-Obersturmbannführer - Karl Kunstler - Gennaio 1939 - Luglio 1942
  • SS Hauptstrumführer - Karl Frizsch - Luglio 1942 - Settembre 1942
  • SS-Sturmbannführer - Egon Zill - Settembre 1942 - Aprile 1943
  • SS-Sturmbannführer - Max Kögel - Aprile 1943 - Aprile 1945

Lista dei sottocampi di Flossenbürg

Note

  1. ^ Cifre riportate dallo storico della Shoah, Maurizio Agostinelli
  2. ^ Testimonianza del Vice Console danese Mogensen, recluso a Flossenbürg
  3. ^ Wolfgang Büscher, Deutschland, eine Reise, p.210
  4. ^ a b Testimonianza dell'ex internato Italo Geloni, matricola 21569 di Flossenbürg.
  5. ^ CESP - Video Intervista

Bibliografia

Memorie di deportati italiani

Segue una bibliografia di testimonianze dirette di italiani prigionieri nel Lager di Flossenbürg[1]:

  • Pino Da Prati, Il triangolo rosso del deportato politico n. 6017, Gastaldi, Milano-Roma 1946
  • Giannantonio Agosti da Romallo, Nei lager vinse la bontà. Memorie dell'internamento nei campi di eliminazione tedeschi, Segretariato provinciale per le missioni estere, Milano 1960
  • Pietro Pascoli, I deportati. Pagine di vita vissuta, 2. ed. rived. e ampl., La nuova Italia, Firenze 1961
  • Antonio Scollo, I campi della demenza, Vangelista, Milano 1975
  • Franco Varini, Un numero, un uomo, Vangelista, Milano 1982
  • Goffredo Ponzuoli, E il ricordo continua... Memorie di un ex deportato nei campi di sterminio nazisti, Graphotecnica, Genova 1987
  • Sergio Rusich De Moscati, Il mio diario. A vent'anni nei campi di sterminio nazisti. Flossenburg 40301, ECP, 1992
  • Gaetano Cantaluppi, Flossenburg. Ricordi di un generale deportato, Mursia, Milano 1995
  • Gianfranco Mariconti, Memoria di vita e di inferno. Percorso autobiografico dalla spensieratezza alla responsabilità, Il papiro, Sesto San Giovanni 1995
  • Italo Geloni, Ho fatto solo il mio dovere..., 2002

Altri progetti

Collegamenti esterni

Voci correlate

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