Immagine cinematografica

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«Vedere è per noi una necessità. Anche per il pittore il problema è vedere. Ma mentre per il pittore si tratta di scoprire una realtà statica, o anche un ritmo se vogliamo, ma un ritmo che si è fermato nel segno, per un regista il problema è cogliere una realtà che si matura e si consuma, e proporre questo movimento, questo arrivare e proseguire come una nuova percezione.[1]»

L'immagine cinematografica (detta anche fotografia cinematografica) è l'insieme dei fotogrammi che compongono un'opera audiovisiva (come ad esempio un film, un videoclip musicale, un telefilm, ecc.).[2]

L'immagine cinematografica si differenzia dall'immagine in senso stretto perché non è statica e sempre uguale, ma si trasforma attraverso il movimento non solo degli esseri e degli oggetti ripresi, ma anche della macchina da presa, o quelli derivati dal montaggio, dalle dissolvenze, dagli stacchi, dal cambio della messa in scena.[3]

Aspetti artistici

Intorno agli anni venti l'artisticità del cinema è stata oggetto di un acceso dibattito teorico. Ogni forma d'arte possiede una peculiarità che la rende unica, che la distingue dalle altre arti. Il cinema è un'opera multimediale, nel senso che in sé racchiude diversi linguaggi artistici (come pittura, fotografia, letteratura, e successivamente anche musica), ma per essere annoverata tra le forme artistiche, per ottenere uno "statuto" che legittimasse il mezzo come una forma d'arte, bisognava ricercarne una specificità espressiva.[4]

Lo stesso argomento in dettaglio: Fotogenia.

Tale specificità venne trovata da Jean Epstein nell'immagine cinematografica: secondo lo studioso, infatti, nessun'altra forma di espressione artistica, mediante il processo di fotogenia, è in grado di offrirci una così efficace esaltazione estetica della realtà, grazie al movimento di ciò che viene ripreso della cinepresa e dagli stessi movimenti "soprannaturali", artificiosi, della macchina da presa. Il cinema, dunque, è "altamente soprannaturale", e può offrire allo spettatore percezioni e sensazioni che nella realtà non sarebbe possibile provare (l'immagine cinematografica, mediante il processo della fotogenia esalta le qualità morali ed estetiche del reale rappresentato). Epstein, inoltre, (a differenza del suo collega Louis Delluc e dei teorici che vedevano nel cinema un mezzo privilegiato per mostrare la realtà) non si oppone alla manipolazione dell'immagine cinematografica, perché tali manipolazioni possono portare all'aumento della bellezza fotogenica, facendo provare allo spettatore ulteriori nuove percezioni che nella realtà non riuscirebbe a cogliere. Un movimento mostrato al rallentatore, ad esempio, può intensificare l'aspetto drammatico di una scena o di una situazione reale già drammatica di per sé; inoltre, sempre secondo Epstein, se si realizzasse un film in moto accelerato di una persona sotto processo, la verità trasparirebbe al di là delle sue parole, "scritta" in modo semplice, unico ed evidente, e non vi sarebbe ulteriore necessità di fare un processo e né di alcuna altra prova tranne che di quella fornita dalla "profondità" dell'immagine.[4]

Aspetti semiotici

Lo stesso argomento in dettaglio: Semiotica del cinema e Semiotica dell'arte visiva.

L'immagine è una sorta di linguaggio specifico, infatti, risulta costituita da un doppio buco di entrata: da un lato e i relativi suoni ad essa collegati (voci, rumori, colonne sonore, ecc.), dall'altro la narrazione cinematografica. Mentre quest'ultima non appartiene soltanto alle opere audiovisive, dal momento che la narrazione è presente anche nelle opere letterarie, teatrali, ecc., l'immagine cinematografica è la caratteristica che distingue il cinema dagli altri linguaggi, dalle altre arti e dagli altri tipi di spettacolo.

Per meglio afferrare questo concetto si tenga presente che un conto è "guardare", un altro è "capire". Per guardare (e ascoltare), lo spettatore mette in funzione le sue capacità percettive (vista e udito), per capire la trama di un film, invece, lo spettatore deve collegare i vari dialoghi e le varie azioni in un contesto più ampio (il contesto narrativo), ovvero in una unità di significazione più vasta, mettendo in funzione le sue capacità cognitive.[3]

Secondo Gilles Deleuze, non a caso, è possibile intraprendere una ricerca di semiotica del cinema "pura" che studi l'immagine in quanto tale, senza tener conto delle caratteristiche narrative di un film o, in generale, di un qualunque prodotto audiovisivo. Per Deleuze tale ricerca troverebbe le sue fondamenta e la sua tradizione nelle teorie inerenti alla fotogenia cinematografica, perché essa approfondisce in termini estetici tutte le componenti puramente visive del cinema.[3]

Note

  1. ^ Aforisma Michelangelo Antonioni, su aforismi.meglio.it. URL consultato il 09-08-2009.
  2. ^ (EN) John Hora, The American Cinematographer Manual, 9th Edition.
  3. ^ a b c Guglielmo Pescatore, Il narrativo e il sensibile, Bologna, Alberto Perdisa Editore, 2002.
  4. ^ a b Robert Stam, Teorie del film. Dalle origini del cinema al '68, Audino, 2005.

Bibliografia

  • Guglielmo Pescatore, Il narrativo e il sensibile, Bologna, Alberto Perdisa Editore, 2002.
  • (EN) John Hora, The American Cinematographer Manual, 9th Edition.

Voci correlate

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