Utile
L'utile, in economia aziendale, è definito come differenza tra ricavi e costi, se tale differenza è positiva (in caso contrario si parla di differenza tra costi e ricavi, definita perdita). Nel campo delle attività economiche viene comunemente chiamato profitto
Le aziende, anche per adempiere ad obblighi legali, devono rilevare l'utile periodicamente. Di solito il periodo al termine del quale si procede alla redazione del bilancio e quindi alla rilevazione dell'utile o della perdita è definito esercizio. Pertanto si definisce più correttamente utile d'esercizio la differenza tra i ricavi ed i costi che - secondo il principio della competenza economica - si riferiscono al periodo considerato. In altre parole, l'utile rappresenta l'incremento del patrimonio dell'azienda prodotto tramite la gestione nel corso dell'esercizio. Quando non ci si trova all'interno di un'azienda ma di singoli affari, l'utile può essere determinato come differenza tra ricavi e spese al termine dell'operazione.
L'utile è soggetto ad imposizione fiscale. Nelle imprese individuali l'utile è considerato reddito d'impresa del titolare e sottoposto all'imposta sul reddito (IRPEF). Lo stesso meccanismo si applica in proporzione alle quote sociali, ai soci delle società di persone. Una tassazione autonoma in capo alla società è prevista per le società soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES), che pagano un'aliquota del 27,5%. In tutti i casi l'utile soggetto ad imposte può differire da quello del bilancio a causa dei diversi criteri di valutazione previsti. È per questo che dato l'utile lordo cioè quello precedente le imposte, non è detto nemmeno nelle società di capitali che l'utile netto dopo le imposte sia il 67% (100-33%) di quello lordo.
Destinazione degli utili
L'utile può essere destinato all'autofinanziamento dell'azienda quando viene reinvestito nell'impresa stessa oppure può essere prelevato dall'imprenditore o distribuito tra i soci, in proporzione alla quota o al numero di azioni possedute. Per le società di capitali, la legge italiana e spesso gli statuti delle stesse società impongono di destinare obbligatoriamente una quota dell'utile ad autofinanziamento, tramite accantonamenti a riserve del patrimonio. Nelle imprese individuali e nelle società di persone la destinazione dell'utile è lasciata alla volontà dell'imprenditore e dei soci.
Alcune imprese distribuiscono quote azionarie ai propri dipendenti alla pari o a un prezzo incentivato. Si tratta di un meccanismo con effetti simili a quelli delle stock option conferite ai dirigenti. La partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa consente di:
- collegare meglio gli obiettivi di profitto individuali con quelli dell'azienda e premiare la produttività con un meccanismo simile a una retribuzione variabile: se l'azienda aumenta gli utili, automaticamente viene distribuito anche ai dipendenti un maggiore dividendo per azione;
- avere una partecipazione attiva dei dipendenti alla gestione dell'impresa, non legata solo alle rappresentanze sindacali, in virtù dei diritti di voto nell'Assemblea degli Azionisti;
- ammettere i lavoratori alla proprietà dell'azienda, rappresentata e suddivisa nelle quote azionarie.
Il codice civile (artt. 2101, 2102 e 2554) prevede il diritto dei prestatori di lavoro alla partecipazione agli utili d'impresa, salvo diversa disposizione interna.
Altre imprese ancora distribuiscono i propri utili, in libertà, (1/3) per aiutare gli indigenti, (1/3) per l'autofinanziamento e (1/3) per formare uomini che condividano questo nuovo paradigma economico. Queta tipologia di distribuzione degli utili viene praticata dalle imprese aderenti al progetto di Economia di Comunione.