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Benandanti

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Stampa del XVI secolo: Benandanti che cavalcano animali combattendo i demoni

I Benandanti (letteralmente, "buoni camminatori" in italiano) erano membri di un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della regione storica del Friuli, durante il XVI-XVII secolo. Si trattava di piccole congreghe che si adoperavano per la protezione dei villaggi e del raccolto dei campi dall'intervento di streghe e stregoni, i "Malandanti", tramite lotte oniriche. Tra il 1575 e il 1675, nel generale contesto dei processi per stregoneria in Italia, un certo numero di Benandanti furono accusati di eresia o stregoneria dall'Inquisizione romana.

Secondo i resoconti dei processi, i Benandanti nascevano con un velo sulla testa, il sacco amniotico, che dava loro la possibilità di prendere parte a viaggi extra-corporei in specifici giorni dell'anno durante i quali i loro spiriti cavalcavano vari animali volanti per dirigersi in campagna ove partecipavano a riti/attività con altri Benandanti e combattevano i Malandanti che minacciavano la comunità agricola ed i suoi raccolti. Nella vita quotidiana, invece, i Benandanti avevano poteri taumaturgici che utilizzavano guadagnandosi da vivere come guaritori.

I Benandanti attirarono per la prima volta l'attenzione delle autorità ecclesiastiche friulane nel 1575, quando un parroco, don Bartolomeo Sgabarizza, iniziò a indagare sulle affermazioni fatte dal Benandante Paolo Gasparotto. L'indagine presto abbandonata di Sgabarizza[1] fu riaperta nel 1580 dall'inquisitore Fra' Felice da Montefalco che interrogò non solo Gasparotto ma anche una serie di altri Benandanti e medium locali, condannandone infine alcuni per eresia. Sotto pressione dell'Inquisizione, i viaggi extra-corporei dei Benandanti, spesso correlati alla paralisi del sonno, furono assimilati allo stereotipo del Sabba delle streghe, portando alla persecuzione del culto e facendo dell'etimo stesso di "benandante" un sinonimo di "strega/stregone" nel folklore friulano fino al XX secolo.

Il primo storico a studiare la tradizione dei benandanti fu l'italiano Carlo Ginzburg che, nei primi Anni '60, esaminò i verbali processuali sopravvissuti del XVI e XVII secolo e raccolse le sue tesi nel volume I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento (1966, nuova ed. 2020). Ginzburg interpretò i Benandanti come un «culto della fertilità» i cui membri erano «difensori dei raccolti e della fertilità dei campi» che discendeva da antiche tradizioni pagane contadine diffuse in tutto il Centro-Nord Europa, sia presso i Germani (si veda, in particolare, la figura mitica della Frau Holle), sia presso Slavi (vedi, in particolare i krasniki, come erano chiamati in area dalmatico-illirica i "combattenti in spirito") e Magiari (vedi in particolare i Táltos sciamanici), e che arrivò nelle regioni nord-orientali dell'Italia, in Friuli estendendosi fino a Vicenza, Verona, Istria e Dalmazia.[2][3][4] Gli storici europei hanno tendenzialmente appoggiato e sviluppato le tesi di Ginzburg mentre quelli anglosassoni sono sempre stati scettici in merito.

Etimologia

A cavallo tra XIX e XX secolo, i folkloristi italiani di varia estrazione, come G. Marcotti, E. Fabris Bellavitis, V. Ostermann, A. Lazzarini e G. Vidossi (1878–1969), impegnati nello studio delle tradizioni orali friulane, rilevarono che l'etimo "benandante" era diventato sinonimo di "strega/stregone", quasi certamente in seguito delle persecuzioni originarie della Chiesa contro l'antico culto.[5]

Esegesi delle fonti

Carlo Ginzburg (fotografia del 2013) è uno dei maggiori storici della stregoneria in Italia e in Europa.

La vicenda dei Benandanti venne allo scoperto negli Anni '60, quando un allora nemmeno trentenne Carlo Ginzburg, studiando le carte dell'Archivio arcivescovile di Udine, s'imbatté fortuitamente nei verbali dei processi dell'Inquisizione del XVI e XVII secolo documentanti gli interrogatori, tra gli altri, dei membri del culto pagano, connettendo così la «scoperta che la maggior parte degli storici sogna solo».[6]

Dagli Anni '70, la tendenza a interpretare elementi della credenza nella stregoneria dell'inizio dell'Età moderna come aventi origini antiche divenne prassi tra gli studiosi che operavano nell'Europa continentale (su tutti, Mircea Eliade, 1907–1986)[7] ma molto meno che nel bacino culturale anglosassone, ove gli studiosi erano molto più interessati a comprendere queste credenze sulla stregoneria nei loro contesti contemporanei, come la loro connessione con i rapporti di genere e di classe.[8][9] Così, se l'antropologo tedesco Hans Peter Duerr citò i Benandanti nel suo Traumzeit: Über die Grenze zwischen Wildnis und Zivilisation (1978), paragonandoli, come Ginzburg, ai Perchtenlaufen e al Lupo mannaro di Kaltenbrun,[10] sostenendo che tutti rappresentavano uno scontro tra le forze dell'Ordine e del Caos,[11] nel suo Europe's Inner Demons (1975), lo storico inglese Norman Cohn (1915–2007) affermò che non c'era «nulla di nulla» nel materiale di partenza che giustificasse l'idea di Ginzburg che i Benandanti fossero la «sopravvivenza di un antico culto della fertilità».[12]

Ulteriore conferma delle tesi di Ginzburg arrivò da Gábor Klaniczay che inquadrò i Benandanti in una più ampia sopravvivenza di riti pre-cristiani, sottolineando la sopravvivenza di pratiche ampiamente simili, diverse nei nomi o in dettagli minori, nei Balcani, in Ungheria e in Romania nel medesimo periodo.[4]

Descrizione e poteri

Mappa del Friuli, patria dei Benandanti, del 1650 - in giallo i confini dell'epoca.

I Benandanti, sia uomini sia donne, erano individui che credevano di garantire la protezione della loro comunità e dei suoi raccolti. Riferivano di lasciare i loro corpi sotto forma di topi, gatti, conigli o farfalle. Gli uomini riferivano principalmente di volare tra le nuvole combattendo contro le streghe per garantire la fertilità alla loro comunità. Le donne riferivano più spesso di partecipare a grandi feste.[13]

Origine: i "nati con la camicia"

I Benandanti nascevano ancora avvolti nel sacco amniotico,[13][14][15][16] quelli che vengono ancor oggi definiti come i "nati con la camicia", i fortunati, i privilegiati. Ciò in linea con la convinzione, diffusa in tutta Europa, che le capacità magiche fossero o apprese o innate.[13]

La levatrice o la stessa madre, dopo il parto, s'incaricavano di conservare una piccola parte del sacco amniotico che nei mesi successivi veniva benedetta e posta in un sacchettino da appendere al collo del neonato come un amuleto benefico e protettore. Nel folklore friulano, i cauli erano intrisi di proprietà magiche, associati alla capacità di proteggere i soldati dai pericoli, di far ritirare un nemico e di aiutare gli avvocati a vincere le loro cause legali, tanto che, nei secoli successivi, una tradizione folkloristica correlata, diffusa in gran parte d'Italia, sosteneva la credenza che le streghe fossero nate con un caulo. Se però il Benandante perdeva il suo amuleto, perdeva anche i suoi poteri. Sempre dalle confessioni di un Benandante, sappiamo che: «portava quella mia camiciola al collo sempre ma la persi et dipoi che la perdei non ci son più stato alli raduni».[14]

Dalle testimonianze raccolte, i Benandanti apprendevano i loro poteri durante l'infanzia, di solito dalle loro madri.[17] Per questo motivo, Norman Cohn affermò che la tradizione dei Benandanti evidenziava come «non solo i pensieri da svegli ma anche le esperienze di trance degli individui possono essere profondamente condizionate dalle credenze generalmente accettate della società in cui vivono.»[18]

I viaggi extra-corporei

Al raggiungimento della maggiore età un Benandante era in grado, nelle notti delle Quattro tempora,[N 1] di uscire dal proprio corpo sotto forma di spirito («fiato» nelle testimonianze) durante il sonno. Sebbene queste esperienze fossero oniriche, i Benendanti le ritenevano reali.[19]

Dalla testimonianza della moglie di un Benandante, sappiamo per esempio che «suo marito più volte di notte la chiamava et con li rimedi la urtava, et lei era come morta, perché diceva che li spirito se ne era andato al suo viaggio et il corpo restava come morto».[20] Parimenti, un benandante dichiarò all'inquisitore che l'interrogava: «Signor, io dirò la verità. Io sono stato in tre stagione, cioè tre volte l'anno in uno prato [...] quale ho inteso dire da quei miei compagni, quali non conosco (perché niun si conosce, perché è il fiato che va, et il corpo resta fermo in letto) che si addimanda il prato di Josafat, come li suddetti compagni mi dicevano [...] [sono andato in questo prato] per il tempo di san Giovanni, del corpo di Nostro Signore et di san Mattia, di notte».[20]

Con l'aspetto di un piccolo animale (topo, farfalla, gatto, riccio, ecc.), oppure di una nuvola di fumo, o di altre forme, lo spirito dei Benandanti di sesso maschile raggiungeva determinati luoghi dalle varie denominazioni (il sopracitato "prato di Josafat") e combatteva contro streghe e stregoni, i "Malandanti".[21] I Benandanti combattevano con steli di finocchio, mentre i Malandanti erano armati con canne di sorgo, il materiale usato tradizionalmente per le scope delle streghe (il "sorgo delle scope" è uno dei tipi di sorgo più comuni).[22] Se gli uomini prevalevano, il raccolto sarebbe stato abbondante:[23] «Io sonno Benandante perché vò con li altri a combattere quattro volte l'anno, cioè nelle quattro tempora, di notte, invisibilmente con lo spirito et resta il corpo [...] noi con le mazza di finocchio et loro con le canne di sorgo».[21] Se in queste tenzoni prevalevano i Benandanti, sarebbero seguiti per la comunità mesi di abbondanza e prosperità, mentre se vincevano i Malandanti, i contadini sarebbero stati afflitti da periodi di fame, malattie e carestia.[23]

«Noi non andiamo a far altro se non a combater [...] Andiamo tutti insieme a combater contra tutti li strigoni, et habbiamo li nostri capitani, et quando noi si portiamo bene li strigoni ci dànno de buoni scopolotti [...] Quando il racolto vien buono, cioè della robba purasai, et bella, quell'anno è che li benandanti habbian vinto ma quando li stregoni vincono il raccolto va male.»

I Benandanti di sesso femminile svolgevano altri compiti sacri. Quando lasciavano i loro corpi, si recavano a una grande festa, dove danzavano, mangiavano e bevevano con una processione di spiriti, animali e fate, e scoprivano chi tra gli abitanti del villaggio sarebbe morto l'anno successivo. In un racconto, questa festa era presieduta da una donna, "la badessa", che sedeva in tutta la sua magnificenza sul bordo di un pozzo. Ginzburg ha paragonato queste assemblee di spiriti ad altre segnalate da gruppi simili altrove in Italia e in Sicilia (le "Donas de fuera"), anch'esse presiedute da una figura divina che insegnava magia e divinazione solitamente indicata come "Donna del gioco".[4]

I primi resoconti dei viaggi extra-corporei dei Benandanti, risalenti al 1575,[1] non contenevano nessuno degli elementi allora associati al sabba delle streghe: mancava l'adorazione del Diavolo, figura nemmeno presente, tanto quanto l'abiura del cristianesimo, il calpestamento dei crocifissi né la profanazione dei sacramenti.[24]

Nella vita quotidiana, i Benandanti combattevano le influenze malvagie anche nella vita ordinaria, curando le persone colpite da malocchio, da incantesimi e collaborando con le tante guaritrici e guaritori che popolavano la campagna friulana, perché erano molti coloro dotati dei prehenti, i poteri per il bene delle persone da risanare.

La visione dei morti

Un altro potere dei benandanti era vedere i morti in processione ed ascoltarne i messaggi. La "processione dei morti", "l'esercito furioso", o la "caccia selvaggia"[N 2] erano una tipica forma di religiosità dell'area centroeuropea. Il tema della processione dei morti si ritrova nel racconto di un episodio accaduto nel 1091 a un monaco che era senza saperlo un benandante, poiché «chi vede i morti, cioè va con loro, è un Benandante».[20] Il frate, mentre camminava in campagna, sentì dei lamenti e vide che provenivano da una processione, una sorta di danza macabra, dove riconobbe persone morte da poco guidate da un personaggio dall'aspetto selvatico armato di una clava.[N 3] Come anticipato, il potere di vedere i morti era tipico delle donne benandanti che, in particolari occasioni legate ad esempio al loro ciclo mestruale o nel giorno della Commemorazione dei defunti, nell'acqua di un catino avevano visioni di conoscenti o parenti da poco defunti.[25]

Benandanti e Malandanti

Ginzburg osservò sin da subito il distinguo confuso tra Benandanti e Malandanti, cioè streghe/stregoni, dai primi documenti ufficiali ecclesiastici. Se infatti i Benandanti dichiaravano di combattere i Malandanti e di guarire gli affatturati da stregoneria, parimenti dichiaravano d'unirsi alle streghe nei loro viaggi notturni. Il mugnaio Pietro Rotaro, interrogato nel 1575 durante la prima inchiesta ufficiale dell'Inquisizione sul fenomeno, parlò di «streghe benandanti», motivo per cui il vicario don Bartolomeo Sgabarizza, intento a registrare la testimonianza di Rotaro, descrisse i Benandanti come stregoni buoni che cercavano di proteggere le loro comunità da streghe e stregoni malvagi che minacciavano la comunità, specialmente i bambini. Questa contraddizione nel rapporto tra Benandanti e Malandanti influenzò pesantemente, come approfondiremo nel seguito, la loro persecuzione per mano dell'Inquisizione.[24]

Persecuzioni della Santa Inquisizione

Il sabba delle streghe, incisione di Hans Baldung (1508).
Soprattutto le attività notturne/oniriche dei Benandanti concorsero ad assimilarli alla stregoneria agli occhi dell'Inquisizione.

Oggetto delle prime indagini ufficiali dell'Inquisizione a partire dagli Anni 1580, con i primi casi datati al 1575, entro il 1675 i Benandanti furono ufficialmente condannati per eresia nonostante si trattasse di maghi buoni impegnati a combattere la congrega delle streghe.

Per parte loro, i Benandanti, durante i processi, a loro difesa cercarono di affermare la netta distinzione fra le loro azioni benefiche e quelle malefiche delle streghe, presentandosi come veri e propri milites Christi schierati contro le malvagità che le streghe infliggevano ai villaggi ed ai loro raccolti e insistendo che soltanto i loro poteri potevano proteggere i poveri contadini. Era comunque difficile che la Chiesa accettasse questa distinzione riconoscendo il ruolo positivo dei Benandanti che si rifacevano a credenze pagane. Tuttavia, proprio un inquisitore riconobbe che: «È stato dichiarato che dopo aver apposto delle formule magiche su di una mano di un popolano a protezione delle streghe e dei demoni gli atti nocivi del diavolo sono cessati, d'altro canto essi, come i loro presunti avversari demoniaci, hanno preso parte a riunioni misteriose (circa le quali non vogliono parlare neanche sotto tortura), dove venivano utilizzati lepri, gatti e ad altri animali.»[26]

Per sfuggire all'Inquisizione, i Benandanti accusarono gli stessi contadini di compiere riti di stregoneria: fu quello un inutile tentativo per discolparsi che servì soltanto a far decadere la loro reputazione agli occhi del popolo. Verso la fine del Seicento, tuttavia, l'Inquisizione allentò le sue inchieste sui Benandanti dovendo, con la diffusione della Riforma protestante, preoccuparsi meno di stregoneria e più di vera e propria eresia. Il coinvolgimento nei processi dell'Inquisizione portò però i Benandanti ad essere assimilati a streghe e stregoni affiliati al Diavolo e quindi perseguibili come idolatri eretici, sporcando in maniera irrevocabile la loro fama. Nonostante le prove portate a carico delle loro colpe, nessuno dei processi ai Benandanti si concluse però con un'esecuzione capitale.

L'indagine di Don Sgabarizza (1575)

All'inizio del 1575, Paolo Gasparotto, un Benandante che viveva nel villaggio di Iassico (Giassico, località di Cormons), diede un amuleto a un mugnaio di Brazzano, Pietro Rotaro, per guarirne il figlio, oppresso da una malattia sconosciuta. La cosa giunse all'attenzione del prete locale, Don Bartolomeo Sgabarizza, che fu incuriosito dall'uso di tale magia popolare e chiamò Gasparotto per saperne di più. Questi spiegò al prete che il bambino malato era «stato posseduto dalle streghe» ma che era stato salvato da morte certa dai Benandanti o "Vagabondi" com'erano anche conosciuti.[22] Gasparotto, proclamatosi Benandante, raccontò anche al prete che «il giovedì durante le Quattro Tempora dell'anno [i Benandati] erano costretti ad andare con queste streghe in molti luoghi, come Cormons, davanti alla chiesa di Giassìcco, e persino nella campagna intorno a Verona», dove «combattevano, giocavano, saltavano e cavalcavano vari animali», oltre a prendere parte a un'attività durante la quale «le donne picchiavano gli uomini che erano con loro con steli di sorgo, mentre gli uomini avevano solo mazzi di finocchio».[22]

«A volte vanno in una regione di campagna e a volte in un'altra, forse a Gradisca o persino lontano come Verona, e si presentano insieme a giostrare e giocare; e [...] gli uomini e le donne che sono i malfattori portano e usano gli steli di sorgo che crescono nei campi, e gli uomini e le donne che sono Benandanti usano steli di finocchio; e vanno ora un giorno e ora un altro, ma sempre il giovedì, e [...] quando fanno le loro grandi dimostrazioni vanno alle fattorie più grandi, e hanno giorni stabiliti per questo; e quando escono gli stregoni e le streghe è per fare del male, e devono essere perseguitati dai Benandanti per impedirgli, e anche per impedir loro di entrare nelle case, perché se non trovano acqua chiara nelle secchie vanno nelle cantine e guastano il vino con certe cose, buttando sporcizia nei buchi del cocchiume.»

Don Sgabarizza si preoccupò di tali discorsi di stregoneria e il 21 marzo 1575 si presentò come testimone sia al vicario generale, monsignor Jacopo Maracco, sia all'inquisitore Fra' Giulio d'Assisi dell'Ordine dei frati minori conventuali, presso il convento di San Francesco di Cividale del Friuli, nella speranza che potessero offrirgli indicazioni su come procedere in questa situazione. Portò con sé Gasparotto che prontamente fornì maggiori informazioni all'inquisitore, raccontando che dopo aver preso parte ai loro giochi, «le streghe, gli stregoni e i vagabondi» passavano davanti alle case delle persone, alla ricerca di «acqua pulita e limpida» che poi avrebbero bevuto. Secondo Gasparotto, se le streghe non riuscivano a trovare acqua pulita da bere, «andavano nelle cantine e rovesciavano tutto il vino».[27]

Inizialmente Sgabarizza non credette all'affermazione di Gasparotto secondo cui questi eventi si erano effettivamente verificati. In risposta all'incredulità del prete, Gasparotto invitò lui e l'Inquisitore a unirsi ai Benandanti nel loro prossimo viaggio, sebbene si rifiutò di fornire i nomi di altri membri della sua confraternita, affermando che sarebbe stato «duramente picchiato dalle streghe» se lo avesse fatto.[28] Non molto tempo dopo, il lunedì successivo a Pasqua, Sgabarizza visitò Giassicco per dire Messa alla congregazione riunita e, seguendo il rituale, rimase tra la gente del posto per una festa tenuta in suo onore.[29] Durante e dopo il pasto, Sgabarizza discusse ancora una volta dei viaggi dei Benandanti sia con Gasparotto sia con il mugnaio Pietro Rotaro e in seguito scoprì l'identità di un altro autoproclamato Benandante, il banditore pubblico Battista Moduco di Cividale, che gli offrì maggiori informazioni su quanto accadeva durante le loro visioni notturne. Alla fine, Sgabarizza e l'inquisitore Giulio d'Assisi decisero di chiudere quest'iniziale indagine sui Benandanti senza procedere. Ginzburg avanza a questo proposito la tesi che avessero ritenuto queste storie di voli notturni e battaglie contro le streghe «racconti inverosimili e nient'altro».[29]

Le inchieste di Fra' Montefalco (1580-1582)

Cinque anni dopo l'inchiesta del vicario Sgabarizza, il nuovo inquisitore di Cividale, Fra' Felice da Montefalco, decise di riaprire il caso dei Benandanti.

Gasparotto e Moduco

Il 27 giugno 1580, Fra' Felice ordinò pertanto che Gasparotto fosse condotto a lui per sottoporlo ad interrogatorio durante il quale Gasparotto, questa volta, negò ripetutamente d'essere un Benandante, affermando che il coinvolgimento in tali pratiche era contro Dio, contraddicendo le precedenti affermazioni che aveva fatto a Sgabarizza diversi anni prima. Dopo l'interrogatorio, Gasparotto fu imprigionato.[30] Lo stesso giorno, anche Battista Moduco fu arrestato ed interrogato a Cividale ma, a differenza di Gasparotto, ammise apertamente a Montefalco d'essere un Benandante e gli descrisse i suoi viaggi visionari in cui combatteva le streghe per proteggere i raccolti della comunità. Denunciando con veemenza le azioni delle streghe, affermò che i Benandanti stavano combattendo «al servizio di Cristo» e pertanto Montefalco decise di lasciarlo libero.[31]

«Io sono un Benandante perché vado con gli altri a combattere quattro volte l'anno, cioè durante le Quattro Tempora, di notte; Io vado invisibilmente in spirito e il corpo rimane indietro; noi andiamo avanti al servizio di Cristo e delle streghe del diavolo; noi combattiamo l'un l'altro, noi con fasci di finocchio e loro con steli di sorgo.»

Il 28 giugno, Gasparotto fu nuovamente sottoposto a interrogato e questa volta ammise d'essere un Benandante, sostenendo di essere stato troppo spaventato per farlo nell'interrogatorio precedente per paura che le streghe lo picchiassero per punizione. Gasparotto a questo punto accusò due individui, uno di Gorizia e l'altro di Valdichiana, di essere stregoni, dopodiché fu rilasciato da Montefalco a condizione che tornasse per ulteriori interrogatori in una data successiva.[32] Ciò avvenne il 26 settembre, sempre presso il convento francescano di Udine. Questa volta, Gasparotto aggiunse un elemento al suo racconto, sostenendo che un angelo lo aveva convocato per unirsi ai Benandanti. L'introduzione di quest'elemento portò Montefalco a sospettare che le azioni di Gasparotto fossero eretiche e sataniche, pertanto lo incalzò, nell'interrogatorio, avanzando l'idea che l'angelo fosse in realtà un dèmone travestito.[33]

La tesi di Ginzburg è che, a questo punto, Montefalco abbia intenzionalmente deformato la testimonianza di Gasparotto sui viaggi onirici dei Benandanti per adattarli all'immagine clericale consolidata del sabba delle streghe, mentre lo stesso Gasparotto, ormai vittima degli eventi, andava perdendo la sua sicurezza e iniziando a mettere in discussione «la realtà delle sue convinzioni».[34] Diversi giorni dopo, infatti, Gasparotto confessò a Montefalco che credeva che «l'apparizione di quell'angelo fosse in realtà il diavolo che mi tentava, poiché mi hai detto che può trasformarsi in un angelo». Quando anche Moduco fu riconvocato da Montefalco, il 2 ottobre 1580, anch'egli proclamò che il Diavolo l'aveva ingannato, convincendolo ad intraprendere il viaggio notturno che credeva fosse stato compiuto per il bene.[35]

Avendo sia Gasparotto sia Moduco confessato a Montefalco che i loro viaggi notturni erano stati causati dal Diavolo, furono rilasciati in attesa della sentenza per il loro crimine in una data successiva. A causa di un conflitto di giurisdizione tra il commissario di Cividale e il vicario del patriarca, la pronuncia della punizione di Gasparotto e Moduco fu rinviata al 26 novembre 1581. Entrambi denunciati come eretici, furono risparmiati dalla scomunica ma condannati a sei mesi di prigione e inoltre fu loro ordinato di offrire preghiere e penitenze a Dio in determinati giorni dell'anno, tra cui le Tempora, per il perdono dei loro peccati. Tuttavia, le loro pene furono presto condonate, a condizione che rimanessero nella città di Cividale per quindici giorni.[36]

Anna la Rossa, Donna Aquilina e Caterina la Guercia

Verso la fine del 1581, Montefalco venne a conoscenza d'una vedova che viveva a Udine di nome Anna la Rossa. Sebbene non affermasse di essere una Benandante, sosteneva di poter vedere e comunicare con gli spiriti dei morti, così Montefalco la fece interrogare il 1° gennaio 1582. Inizialmente, la donna negò all'inquisitore le sue capacità medianiche ma alla fine crollò e raccontò di come credeva di poter vedere i morti e di come vendeva i loro messaggi ai membri della comunità locale disposti a pagare, usando il denaro per alleviare la povertà della sua famiglia. Sebbene Montefalco intendesse interrogarla nuovamente, il processo rimase incompiuto.[37]

Nel medesimo anno, Montefalco s'interessò anche alle affermazioni riguardanti la moglie di un sarto di Udine che avrebbe avuto il potere di vedere i morti e di curare le malattie con l'uso d'incantesimi e pozioni. Conosciuta tra la gente del posto come Donna Aquilina, si diceva fosse diventata relativamente ricca offrendo i suoi servigi di guaritrice. Quand'ella seppe d'essere sospettata dall'Inquisizione, fuggì dalla città e Montefalco inizialmente non la fece cercare. Più avanti nell'anno, il 26 agosto 1583, Montefalco si recò a casa di Aquilina per interrogarla ma lei fuggì nuovamente, nascondendosi in una casa vicina. Fu infine arrestata e tradotta per l'interrogatorio che si svolse il 27 ottobre. Aquilina difese le sue pratiche ma affermò di non essere una Benandante né una strega.[38]

Nel 1582, Montefalco aveva anche iniziato a indagare su una vedova cividalese di nome Caterina la Guercia che aveva accusato di praticare «varie arti malefiche». Interrogata il 14 settembre, ammise di conoscere diversi amuleti che usava per curare le malattie dei bambini ma di non essere una Benandante. Aggiunse tuttavia che il suo defunto marito, Andrea di Orsaria, di Premariacco, era stato un Benandante e che era solito entrare in trance in cui il suo spirito abbandonava il corpo e si univa alle «processioni dei morti».[39]

Denunce, inchieste e delazioni (1583–1629)

Nel 1583, un individuo anonimo denunciò un pastore, Toffolo di Buri di San Canzian d'Isonzo, al Sant'Uffizio di Udine. Il villaggio di Pieris era vicino a Monfalcone, dall'altra parte dell'Isonzo e quindi fuori dal Friuli ma comunque all'interno della arcidiocesi di Aquileia. La fonte anonima affermò che Toffolo era un auto-dichiarato Benandante, che usciva di notte per i suoi viaggi visionari per combattere le streghe e che si confessava regolarmente, ammettendo che le sue attività come Benandante erano contrarie agli insegnamenti della Chiesa cattolica ma che non era in grado di interrompere il viaggio. L'Inquisizione di Udine si riunì il 18 marzo per discutere della situazione: si chiese al sindaco di Monfalcone, Antonia Zorzi, l'arresto di Toffolo e la sua estradizione ad Udine. Zorzi catturò Toffolo ma non disponendo di uomini per tradurlo ad Udine lo lasciò andare. Nel novembre 1586, l'inquisitore di Aquileia decise di riesaminare la questione e si recò a Monfalcone ma scoprì che Toffolo era irreperibile da più di un anno.[40]

Il 1° ottobre 1587, il sacerdote Vincenzo Amorosi di Cesana denunciò una levatrice di nome Caterina Domenatta all'inquisitore di Aquileia e Concordia, Fra' Giambattista da Perugia, come «strega colpevole» che aveva incoraggiato le madri a mettere i loro bambini appena nati allo spiedo per evitare che diventassero Benandanti. L'inquisitore si recò a Monfalcone nel gennaio 1588 per ottenere deposizioni contro l'ostetrica. La stessa Domenatta non negò le accuse e fu pertanto condannata a pubblica penitenza ed abiura.[41]

Nel 1600, una donna di nome Maddalena Busetto di Valvasone fece due deposizioni riguardanti i Benandanti del villaggio di Moruzzo a Fra Francesco Cummo di Vicenza, il commissario dell'Inquisizione nelle diocesi di Aquileia e Concordia. Affermando di volersi liberare la coscienza, Busetto informò il commissario di aver visitato, presso il villaggio, un'amica il cui figlio era rimasto ferito a causa della Benandante Pascutta Agrigolante.[42] Busetto non sapeva cosa fossero i Benandanti, quindi chiese ulteriori informazioni e la Agrigolante le parlò dei viaggi notturni e le indicò altri Benandanti della zona, tra cui il prete del villaggio ed una donna di nome Narda Peresut. Busetto interrogò la Peresut che ammise di essere una Benandante e di aver eseguito la sua magia curativa a Gao per evitare l'inquisizione. Busetto concluse informando il commissario di non credere al alcuna di queste affermazioni. Questi s'impegnò a portare avanti un'inchiesta ma non ci sono prove che l'abbia mai fatto.[43] Nello stesso anno, un altro autoproclamato Benandante, Bastian Petricci di Percoto, fu denunciato al Sant'Uffizio ma non si trova traccia di eventuali azioni intraprese contro di lui.[44]

Nel 1606, Giambattista Valento, un artigiano di Palmanova, andò dal sovrintendente generale della Patria del Friuli, dal 1420 parte della Terraferma veneziana, Andrea Garzoni, e l'informò della sua convinzione che la moglie fosse stata stregata. Garzoni era preoccupato e inviò l'inquisitore generale, Fra' Gerolamo Asteo, a Palmanova per indagare e questi scoprì che gli abitanti del villaggio erano ampiamente concordi nel ritenere la moglie di Valento vittima di stregoneria e che un Benandante, un commesso diciottenne di nome Gasparo, fosse implicato. Parlando con Gasparo, Asteo ascoltò le storie dei viaggi notturni ma il giovane insisteva sul fatto che servivano Dio e non il Diavolo. Gasparo indicò inoltre all'inquisitore alcuni abitanti del villaggio come streghe e stregoni ma l'inquisitore non gli credette e chiuse il caso.[45] Nel 1609 seguì la denuncia di un altro Benandante, un contadino di nome Bernardo di Santa Maria la Longa, alle autorità religiose. Nel 1614, una donna di nome Franceschina di Frattuzze arrivò al monastero di San Francesco a Portogruaro per denunciare una maga popolare di nome Marietta Trevisana di Giai come strega: sebbene non descritta come una Benandante, la difesa della stessa di combattere la stregoneria potrebbe aver indicato che si considerasse tale.[46] Nel 1621, il ricco Alessandro Marchetto di Udine presentò un promemoria al Sant'Uffizio accusando sia un ragazzo di quattordici anni sia un pastore locale di nome Giovanni, cui s'era rivolto per curare il proprio cugino, ritenuto affatturato, d'essere Benandanti.[47]

Interessante il caso di una donna di Latisana, Maria Panzona, che nel 1618 fu arrestata per furto. Mentre era in prigione, si scoprì che si definiva una Benandante e guaritrice professionista anti-stregoneria. La Panzona accusò poi un certo numero di indigene di stregoneria ma quando fu interrogata approfonditamente, nel gennaio 1619, confessò d'aver omaggiato il Diavolo per ottenere poteri che usava per aiutare le persone.[48] Successivamente fu trasferita a Venezia per esservi processata per eresia innanzi il Sant'Uffizio. Al processo furono convocate anche due donne che la Panzona aveva accusato di stregoneria. Durante gli interrogatori in Laguna, la Benandante negò d'aver mai onorato il Diavolo, insistendo che lei e gli altri Benandanti servivano Gesù Cristo.[49] Gli inquisitori non credettero alla veridicità delle su storie, perciò liberarono le due presunte streghe e la condannarono a tre anni di prigione per eresia.[50]

Partendo dal caso della Panzona, Ginzburg avanza la tesi che, negli Anni 1620, i Benandanti si fossero fatti più audaci nelle accuse pubbliche contro presunte streghe:[51] per esempio, nel febbraio 1622, l'inquisitore di Aquileia, Fra' Domenico Vico di Osimo, fu informato dal mendicante e Benandante Lunardo Badou della presenza di diverse streghe e stregoni nella zona di Gagliano, Cividale del Friuli e Rualis ma il delatore, divenuto molto impopolare in loco in ragione della sua delazione, non fu però preso sul serio dall'inquisitore;[52] nel 1623 e di nuovo nel 1628-1629 fu ripetutamente denunciato un contadino e Benandante di Percoto, Gerolamo Cut, che aveva guarito diversi individui ritenuti affatturati, il quale, per tutta risposta, aveva accusato vari compaesani di stregoneria ma, anche in questo caso, le accuse non portarono ad ulteriori sviluppi.[53] Nel maggio del 1629 Francesco Brandis, funzionario di Cividale, inviò una lettera all'inquisitore di Aquileia per informarlo che un ventenne Benandante era stato arrestato per furto e che pertanto sarebbe stato trasferito a Venezia.[54]

Persecuzione (post 1630)

Nei suoi otto anni di servizio come inquisitore di Aquileia e Concordia (1675–1682), il francescano romano Giulio Missini (1608–1654) processò 414 persone, nella maggior parte dei casi per magia e stregoneria, accanendosi contro i benandanti[55] che proprio in questo periodo persero il loro connotato benefico divenendo streghe e stregoni perseguibili dall'Inquisizione.[26]

Interpretazione antropologica

Una sopravvivenza sciamanica pre-cristiana?

Nel suo I benandanti (1966), Ginzburg sostiene che il fenomeno era collegato a «un complesso più ampio di tradizioni» diffuse «dall'Alsazia all'Assia e dalla Baviera alla Svizzera» e ruotanti attorno al «mito degli incontri notturni» presieduti da una figura divina, variamente nota come Perchta, Holda, Abundia, Satia, Erodiade, Venere o Diana, e che credenze «quasi identiche» si rilevavano in Livonia, suffragando così che «potrebbe non essere troppo audace suggerire che nell'antichità queste credenze potrebbero aver un tempo coperto gran parte dell'Europa centrale».[56] Lo storico della religione rumeno Mircea Eliade concordò con Ginzburg, descrivendo i Benandanti come «un culto segreto popolare e arcaico della fertilità».[7]

Come anticipato, gli storici anglosassoni furono invece scettici sulle teorie di Ginzburg. Oltre alle summenzionate asserzioni di Norman Cohn del 1975,[12] ancora nel 1999 lo storico inglese Ronald Hutton affermò che la tesi di Ginzburg secondo cui le tradizioni visionarie dei Benandanti erano una sopravvivenza di pratiche pre-cristiane poggiava su «fondamenti materiali e concettuali imperfetti»[57] poiché «i sogni non costituiscono di per sé dei rituali, e le immagini oniriche condivise non costituiscono un "culto"» e la tesi Ginzburgiana secondo cui «ciò che si sognava nel sedicesimo secolo era stato in realtà agito in cerimonie religiose» risalenti a «tempi pagani» era interamente «una sua inferenza», tacciandola come una «sorprendente applicazione tardiva» della «teoria rituale del mito» dello screditato "gruppo di Cambridge" di Jane Ellen Harrison e a Sir James Frazer.[58]

Tradizioni correlate

I temi associati ai benandanti (lasciare il corpo in spirito, forse sotto forma di animale; combattere per la fertilità della terra; banchettare con una regina o una dea; bere e sporcare le botti di vino nelle cantine) si ritrovano in altre parti d'Europa presso congreghe e sette parimenti oggetto di attenzioni da parte dell'Inquisizione del corso dell'Età moderna: gli Armier dei Pirenei; i seguaci della Donna del gioco nella Milano di fine XIV secolo e dai seguaci di Richella e "la saggia Sibillia" nell'Italia settentrionale del XV secolo; in Livonia (v.si nel seguito); i krasniki della Dalmazia; gli zduhać della Serbia; i Táltos in Ungheria, i Călușari in Romania e i burkudzauta d'Ossezia.[4]

Ginzburg ha postulato una relazione tra il culto dei benandanti e lo sciamanesimo delle culture baltico-slave, risultato della diffusione da un'origine centrale dell'Eurasia, forse 6.000 anni fa. Ciò spiegherebbe, a suo avviso, le somiglianze tra i benandanti friulani il caso del summenzionato "Lupo mannaro di Kaltenbrun".[59] Nel 1692 a Jürgensburg (attuale Zaube, in Livonia), sul Mar Baltico, un vecchio di nome Theiss fu processato come lupo mannaro. Si difese sostenendo che il suo spirito (e quello di altri suoi compagni) si trasformava in lupo per combattere i dèmoni ed impedir loro di rubare il grano dal villaggio ma fu condannato (10 ottobre) a dieci colpi di frusta con l'accusa di superstizione e idolatria.[10] Ginzburg ha dimostrato che gli argomenti di Thiess e la sua negazione di appartenere a un setta satanica corrispondevano a quelli usati dai benandanti negli interrogatori dell'Inquisizione. Il 10 ottobre 1692, Theiss fu condannato a dieci colpi di frusta con l'accusa di superstizione e idolatria.[59]

Nella cultura popolare

Note

Esplicative

  1. ^ Nel calendario liturgico del rito romano, prima della riforma avviata dal Concilio Vaticano II, le "Quattro Tempora" erano quattro distinti periodi di tre giorni - mercoledì, venerdì e sabato - di una stessa settimana, approssimativamente equidistanti nel ciclo dell'anno, destinati al digiuno e alla preghiera. Questi giorni erano considerati particolarmente idonei per l'ordinazione del clero. Le tempora d'inverno cadevano fra la terza e la quarta domenica di Avvento, le tempora di primavera fra la prima e la seconda domenica di Quaresima, le tempora d'estate nella settimana fra Pentecoste e la solennità della Santissima Trinità e le tempora d'autunno fra la terza e la quarta domenica di settembre, cioè dopo l'Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre.
  2. ^ Il mito della "caccia selvaggia" consiste nell'avvistamento di un corteo notturno di esseri sovrannaturali e mitologici che attraversano il cielo in una furiosa battuta di caccia, con tanto di cavalli, segugi e via dicendo.
  3. ^ Il selvaggio, secondo alcuni studiosi, simboleggerebbe le antiche divinità contadine pagane dei boschi - v.si Frazer 1995.

Bibliografiche

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  50. ^ Ginzburg 2020, pp. 102-106.
  51. ^ Ginzburg 2020, p. 89.
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  55. ^ Dario Visintin, L'attività dell'inquisitore Fra Giulio Missini in Friuli (1645–1653): L'efficienza della normalità, Trieste-Montereale Valcellina, Università di Trieste [e] Circolo culturale Menocchio, 2008.
  56. ^ Ginzburg 2017, pp. xx, 44
  57. ^ Hutton 1999, p. 278
  58. ^ Hutton 1999, p. 277
  59. ^ a b Ginzburg 2017, pp. 28–32.

Bibliografia

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