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Ferento: differenze tra le versioni

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{{Sito archeologico
{{Sito archeologico
|Nome = Ferento
|Nome = Ferento
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<!-- Amministrazione -->
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|Ente = Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l'Etruria meridionale
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}}
I resti della città di '''Ferento''' (in latino: ''Ferentium'') si trovano a soli 6 chilometri da [[Viterbo]] (del cui comune fanno parte), sulla strada Teverina verso la [[valle del Tevere]].
'''Fèrento''' (in [[Lingua latina|latino]] ''Ferentium'') è un'antica città [[Etruschi|etrusca]], [[Civiltà romana|romana]] e [[Medioevo|medievale]] nelle vicinanze di [[Viterbo]], sulla strada Teverina verso la [[valle del Tevere]]<ref>{{Cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/ferento_(Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica)|titolo=FERENTO in "Enciclopedia dell' Arte Antica"|lingua=it|accesso=20 dicembre 2021}}</ref>.

Dalla città provenivano diverse famiglie famose, tra cui quella dell'imperatore romano [[Otone]]<ref>[[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]], [[Vite dei Cesari]], Otone, I.</ref> e [[Flavia Domitilla maggiore|Flavia Domitilla]], moglie dell'imperatore romano [[Vespasiano]].<ref>[[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]], [[Vite dei Cesari]], Vespasiano, III.</ref>


== Storia ==
== Storia ==
[[File:Ferento Italy by S F William.JPG|thumb]]
[[File:Ferento Italy by S F William.JPG|thumb]]
Ferento sorgeva sull'altura di Pianicara, dove molto probabilmente, si insediarono gli sfollati della vicina città etrusca [[Acquarossa (sito archeologico)|Acquarossa]], distrutta intorno al 500 a.C. durante le guerre di espansione di [[Tarquinia]].
La città sorgeva sull'altura di Pianicara, dove potrebbero essersi insediati gli abitanti della vicina città etrusca di [[Acquarossa (sito archeologico)|Acquarossa]], distrutta da un terremoto o da città nemiche intorno al 550-500 a.C.<ref>{{Cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/acquarossa_res-fe57b760-8c61-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica)|titolo=ACQUAROSSA in "Enciclopedia dell' Arte Antica"|lingua=it|accesso=20 dicembre 2021}}</ref> Il collegamento con la [[via Cassia]] era assicurato dalla ''via Publica Ferentiensis'' della quale sono conservati tratti del [[Basolo|basolato]].


=== Municipio romano ===
Nel "Liber coloniarum" e in un passo dei "[[Gromatici]] veteres" risalente al [[123 a.C.]] si trova la prima menzione della città di Ferento, in riferimento all'assegnazione di una colonia o forse alla spartizione di alcuni terreni demaniali.
Fu un ricco [[Municipio (storia romana)|municipio]] romano dove le attività principali erano il commercio che si svolgeva tra la costa del Tirreno e la valle del Tevere, l'agricoltura, l'allevamento, nonché l'estrazione e lavorazione di [[tufo]] e [[peperino]]. Importante era la lavorazione e il commercio del [[ferro]] che era facile da reperire in grandi quantità e soprattutto in superficie, su gran parte del territorio circostante.


In età repubblicana, era sviluppata lungo il [[decumano massimo]] della via Ferentiensis, con una disposizione urbanistica ortogonale a [[Cardine (storia romana)|cardi]] e [[Decumano|decumani]]. Nel ''Liber coloniarum'' e in un passo dei ''[[Gromatici]] veteres'' risalente al [[123 a.C.]] si trova la prima menzione della città, in riferimento alla deduzione di una [[Colonia romana|colonia]] o forse alla spartizione di alcuni terreni demaniali. Dopo la [[guerra sociale]], nel I secolo a.C., divenne ''[[Municipio (storia romana)|municipium]]''.
Dopo la [[guerra sociale]] ([[91 a.C.|91]]-[[88 a.C.]]) intorno al I secolo, Ferento risulta essere stata ''[[Municipio (storia romana)|municipium]]''.


Nella [[Alto Impero romano|prima età imperiale]], Ferento raggiunse il suo massimo splendore: infatti risale a questo periodo la costruzione dei più importanti edifici pubblici, come il [[Teatro romano (architettura)|teatro]], il [[Foro (urbanistica)|foro]] (non ancora scavato), le [[Terme romane|terme]], l'[[anfiteatro]] (a nord-est rispetto all'abitato), una fontana contornata da numerose statue e l'augusteo. Lo splendore proseguì anche nel secolo successivo e fu definita "''civitas splendidissima''", come è scritto in un'epigrafe di marmo rinvenuta nei pressi della città.
Dagli scavi effettuati, è risultato che in età repubblicana, Ferento era sviluppata lungo il [[decumano massimo]] della via Ferentiensis, con una disposizione a rettangoli dell'agglomerato urbano, da est verso ovest.


Tra gli abitanti di Ferento, spiccano alcuni nomi illustri, tra cui [[Otone|Salvio Otone]], [[Imperatore romano|imperatore]] per pochi mesi nel 69, e [[Flavia Domitilla Maggiore]], moglie dell'imperatore [[Vespasiano]] e madre di [[Tito (imperatore)|Tito]] e [[Domiziano]].
Nella prima età imperiale, Ferento raggiunse il suo massimo splendore: infatti risale a questo periodo la costruzione dei più importanti edifici pubblici, come il teatro, il foro, (che però non è stato ancora individuato) le terme, una fontana contornata da numerose statue e l'augusteo. Nel [[I secolo]] d.C., risulta essere stato costruito l'anfiteatro, posizionato nella zona nord-orientale rispetto all'abitato.


Dal III secolo le notizie su Ferento si fanno più rare. Dal ''[[Liber pontificalis]]'' si evince che in quel periodo in città si praticava il culto per [[Eutizio di Ferento|sant'Eutizio]], morto nei pressi di [[Soriano nel Cimino]] durante le persecuzioni messe in atto dall'imperatore [[Aureliano]] nel 269. La città viene citata nel IV secolo all'epoca dell'imperatore [[Costantino]], e altre menzioni sono sotto i papi [[papa Silvestro I|Silvestro]] (314-355) e [[papa Damaso I|Damaso]] (366-384), nei ''Tituli constituiti''.
Lo splendore di Ferento proseguì anche nel secolo successivo e fu definita "''civitas splendidissima''", come è scritto in una epigrafe di marmo rinvenuta nei pressi della città.


=== Sede vescovile ===
Tra gli abitanti di Ferento, spiccano alcuni nomi illustri, come [[Salvio Otone]], imperatore di Roma per pochi mesi nel [[69]] d.C., e [[Flavia Domitilla Maggiore]] figlia di [[Flavio Liberale]] e moglie dell'imperatore [[Vespasiano]], dalla cui unione, nacquero [[Flavia Domitilla Minore]] e gli imperatori [[Tito (imperatore romano)|Tito]] e [[Domiziano]].

Dal III secolo d.C. le notizie su Ferento, si fanno più nebulose. Dal "''[[Liber pontificalis]]''", si evince che in quel periodo in città si praticava il culto per [[Eutizio di Ferento|sant'Eutizio]] morto nei pressi di [[Soriano nel Cimino]] durante le persecuzioni messe in atto dall'imperatore [[Aureliano]] nel [[269]].

La città viene citata nel IV secolo all'epoca dell'imperatore [[Costantino]] e altre menzioni sono sotto i papi [[papa Silvestro I|Silvestro]] (314-355) e [[papa Damaso I|Damaso]] (366-384), nei "''Tituli constituiti''".

=== Economia ===
Ferento fu un ricco municipio romano dove le attività principali erano il commercio, l'agricoltura, l'allevamento, nonché l'estrazione e lavorazione di [[tufo]] e [[peperino]]. Importante era la lavorazione e la commercializzazione del [[ferro]] che era facile da reperire in grandi quantità e soprattutto in superficie, su gran parte del territorio circostante.

Per questi motivi Ferento divenne una città molto ricca, abitata da artigiani e commercianti che controllavano i traffici delle merci che si spostavano dalla costa del Tirreno all'entroterra e viceversa.

Visti i comfort ed i servizi che la città offriva, erano molte le famiglie romane che la sceglievano per trascorrere i propri periodi di vacanza, aumentando così l'importanza e la fama della città.

=== Ferento sede vescovile ===
{{vedi anche|Diocesi di Ferento}}
{{vedi anche|Diocesi di Ferento}}
Dalla fine del [[V secolo]] alla metà del [[VII secolo]], Ferento risulta essere [[Diocesi di Ferento|diocesi]] ed il primo vescovo, dovrebbe essere stato san Dionisio nel [[III secolo]].
Fino alla metà del [[VII secolo]] Ferento è stata una [[Diocesi di Ferento|diocesi]], di cui il primo vescovo dovrebbe essere stato san Dionisio nel [[III secolo]]. Informazioni più precise si hanno invece dei vescovi Massimino nel 487, Bonifacio (probabilmente 519-530), Redento (567-568), Marziano (595-601) e Bonito (649).
Informazioni più precise si hanno invece dei vescovi Massimino nel 487, Bonifacio (probabilmente 519-530), Redento (567-568), Marziano (595-601) e Bonito nel 649.


=== Le prime crisi ===
=== Alto Medioevo ===
[[File:Ferento Italy 2 by S F William.JPG|thumb]]
[[File:Ferento Italy 2 by S F William.JPG|thumb]]
Durante la guerra greco-gotica prima e nella guerra detta dei trent'anni (575-603) tra [[Bizantini]] e [[Longobardi]], la città di Ferento non fu risparmiata, come gran parte dei centri dell'Etruria meridionale.
Nel VI e VII secolo, durante la [[Guerra gotica (535-553)|guerra gotica]] e le [[Guerre longobardo-bizantine|guerre tra Bizantini e Longobardi]], la città di Ferento non fu risparmiata, come gran parte dei centri dell'Etruria meridionale. La popolazione subì un forte calo demografico e si ritirò a ovest dell'antica città, cercando di fortificare la zona con delle recinzioni murarie, circoscrivendo un'area di circa {{M|30000|ul=m2}}.
La popolazione, subì un forte calo demografico e si ritirò ad ovest dell'antica città, cercando di fortificare la zona con delle recinzioni murarie, circoscrivendo un'area di circa 30.000&nbsp;m<sup>2</sup>.

Anche la sede vescovile venne spostata nel VII secolo da Ferento a [[Bomarzo]], che si trovava in una più favorevole posizione per il controllo della [[valle del Tevere]].
I Longobardi, nel riassetto dei confini della [[Tuscia]], divisero il territorio ferentano in tre parti che andarono a finire in tre diocesi diverse, quella di [[Diocesi di Bagnoregio|Bagnoregio]], quella di [[Diocesi di Bomarzo|Bomarzo]] e quella di [[Diocesi di Tuscania|Tuscania]].

Il re longobardo [[Liutprando]] nel 740 lasciò la città di Ferento e si spostò in [[Umbria]] dove nei pressi della [[Cascata delle Marmore]], fondò un piccolo borgo, al quale diede poi il nome di [[Ferentillo]] in ricordo della città lasciata.


Anche la sede vescovile venne spostata nel VII secolo da Ferento a [[Bomarzo]], che si trovava in una più favorevole posizione per il controllo della [[valle del Tevere]]. I Longobardi, nel riassetto dei confini della [[Tuscia]], divisero il territorio ferentano in tre diocesi diverse: [[Diocesi di Bagnoregio|Bagnoregio]], [[Diocesi di Bomarzo|Bomarzo]] e [[Diocesi di Tuscania|Tuscania]].
Nel [[787]]/[[788]] [[Carlo Magno]] consegnò Ferento a [[papa Adriano I]], a seguito della "''Promissio donationis''" del [[744]] di [[Pipino il Breve]].


Il re longobardo [[Liutprando]] nel 740 lasciò la città di Ferento e si spostò in [[Umbria]] dove nei pressi della [[Cascata delle Marmore]] fondò un piccolo borgo, al quale diede poi il nome di [[Ferentillo]] in ricordo della città lasciata.
Nel [[940]], Ferento, risulta far parte di una circoscrizione amministrativa nominata "''Comitato ferentensis''".


Nel 787-788 [[Carlo Magno]] consegnò Ferento a [[papa Adriano I]], a seguito della ''Promissio donationis'' del 744 di [[Pipino il Breve]].
=== La Ferento medievale ===
Dei secoli [[XI secolo|XI]] e [[XII secolo|XII]], non si hanno molte notizie, comunque alcuni documenti fanno pensare che Ferento si fosse organizzata in un'autonomia comunale ed in ogni caso, è certo che, nonostante tutto, l'abitato si fosse lentamente ripopolato allargandosi ad est del Teatro, dentro una nuova cinta muraria che delimitava circa {{M|70000|-|m2}}.


Nel 940 Ferento risulta far parte di una circoscrizione amministrativa nominata ''Comitato ferentensis''.
In questo periodo, fu costruita una torre di guardia all'interno del Teatro e sotto le arcate dello stesso furono sistemate varie botteghe artigiane.


=== Comune medievale ===
Nel [[XVI secolo]] sorse lungo la strada principale un piccolo sobborgo che prese il nome di "''borgus Ferenti''", divenuto poi Borgo di Ferento.
Dei secoli [[XI secolo|XI]] e [[XII secolo|XII]] non si hanno molte notizie, sebbene alcuni documenti facciano pensare che Ferento si fosse organizzata come [[Età comunale|comune]] autonomo, riprendendo a crescere economicamente e di importanza. L'abitato si è certamente ripopolato allargandosi ad est del Teatro, dentro una nuova cinta muraria che delimitava circa {{M|70000|ul=m2}}; fu costruita una torre di guardia all'interno del teatro romano, e sotto le sue arcate furono sistemate varie botteghe artigiane.


{{Senza fonte|Nel XVI secolo sorse lungo la strada principale un piccolo sobborgo che prese il nome di "borgus Ferenti", divenuto poi Borgo di Ferento.}}
Intorno al X-XI secolo, Ferento riprese a crescere economicamente e di importanza, attirando così le poco rassicuranti attenzioni della vicina [[Viterbo]] che era in piena fase espansionistica, con una politica volta al totale controllo della [[Tuscia]].


=== Il declino della città ===
=== Distruzione ===
La distruzione della città per opera della vicina [[Viterbo]], allora in grande espansione nella [[Tuscia]], è oggetto di diverse leggende e ipotesi.
Il declino e la successiva distruzione della città di Ferento, sembrano essere scaturiti da un episodio del [[1169]] che alcune cronache<ref>{{Cita libro|autore = Feliciano Bussi|titolo = historia della città di viterbo|anno = 1742|editore = |città = |p = 98|p = 2|ISBN = }}</ref> riportano con una certa confusione, infatti sembrerebbe che i Ferentani avessero chiesto a Viterbo un aiuto per la lotta contro la città di [[Nepi]] (ma si parla anche del contrario). Tuttavia mentre l'esercito viterbese attendeva gli alleati sui [[Monti Cimini]], i ferentani, arrivati davanti alle mura di Viterbo, si fecero aprire la [[porta Sonsa]] e misero la città a sacco.
La popolazione impaurita si rifugiò presso la chiesa di Santa Cristina e l'arciprete, venuto a conoscenza dell'accaduto partì subito a cavallo verso i soldati viterbesi i quali, appresa la notizia presero subito a rincorrere i ferentani già sulla via del ritorno.
Arrivati addosso al nemico, i viterbesi scatenarono una feroce carneficina che non risparmiò nessuno e tanti furono i morti sparsi in quel luogo, che prese il nome di "Carnajola" o "Carnaio".
Una leggenda dice che da quel giorno, le acque del fosso sottostante iniziarono a depositare sul fondo una scia rossa, dovuta al sangue dei ferentani morti (in realtà le acque contengono materiale ferroso che imprime alle rocce una colorazione rossastra).
Questa versione dei fatti, è quella chi ci viene tramandata dai viterbesi, senza nessuna documentazione che possa darci una controversione ferentana, certo è che i viterbesi, erano determinati ad avere il totale controllo del territorio e dovevano a tutti i costi togliersi di mezzo la città di Ferento, che posta in quella zona così strategica, non poteva che essere sottomessa.


Il declino e la successiva distruzione della città di Ferento, sembrano essere scaturiti da un episodio del 1169 che alcune cronache<ref>{{Cita libro|autore = Feliciano Bussi|titolo = historia della città di viterbo|anno = 1742|editore = |città = |p = 2,98|ISBN = }}</ref> riportano con una certa confusione, infatti sembrerebbe che i ferentani avessero chiesto a Viterbo un aiuto per la lotta contro la città di [[Nepi]] (ma si parla anche del contrario). Tuttavia mentre l'esercito viterbese attendeva gli alleati sui [[Monti Cimini]], i ferentani, arrivati davanti alle mura di Viterbo, si fecero aprire la [[porta Sonsa]] e misero la città a sacco. La popolazione impaurita si rifugiò presso la chiesa di Santa Cristina e l'arciprete, venuto a conoscenza dell'accaduto partì subito a cavallo verso i soldati viterbesi i quali, appresa la notizia presero subito a rincorrere i ferentani già sulla via del ritorno. Arrivati addosso al nemico, i viterbesi scatenarono una feroce carneficina che non risparmiò nessuno e tanti furono i morti sparsi in quel luogo, che prese il nome di "Carnajola" o "Carnaio". Una leggenda dice che da quel giorno, le acque del fosso sottostante iniziarono a depositare sul fondo una scia rossa, dovuta al sangue dei ferentani morti (in realtà le acque contengono materiale ferroso che imprime alle rocce una colorazione rossastra). Questa versione dei fatti, è quella chi ci viene tramandata dai viterbesi, senza nessuna documentazione che possa darci una controversione ferentana, certo è che i viterbesi, erano determinati ad avere il totale controllo del territorio e dovevano a tutti i costi togliersi di mezzo la città di Ferento, che posta in quella zona così strategica, non poteva che essere sottomessa.
Un'altra versione dei fatti, che invece si tramanda a [[Grotte Santo Stefano]], dice che i viterbesi, usarono il pretesto dell'aiuto per la lotta contro Nepi, semplicemente per far uscire l'esercito ferentano dalla città e quando questo giunse allo scoperto, i viterbesi scatenarono l'attacco che portò alla carneficina, in quel luogo che come già detto prese il nome di "Carnajola".


Un'altra versione dei fatti, che invece si tramanda a [[Grotte Santo Stefano]], dice che i viterbesi usarono il pretesto dell'aiuto per la lotta contro Nepi, semplicemente per far uscire l'esercito ferentano dalla città e quando questo giunse allo scoperto, i viterbesi scatenarono l'attacco che portò alla carneficina, in quel luogo che come già detto prese il nome di "Carnajola".
Nel [[1170]], Viterbo attaccò Ferento e dopo averla saccheggiata, la diede alle fiamme.
Dopo questo assalto Ferento, fortemente indebolita, fu costretta a giurare sottomissione a Viterbo nel [[1171]]. Alla fine dello stesso anno la popolazione tuttavia si rivoltò e Viterbo, con l'aiuto della vicina [[Celleno]] reagì duramente: la notte del 1º gennaio [[1172]], con il favore del buio e con il pretesto di [[eresia]], l'esercito viterbese alleato con i cellenesi, attaccò a sorpresa la città addormentata, uccise uomini, donne, vecchi e bambini e finito il massacro, appiccò il fuoco distrugendo tutto<ref>{{citazione necessaria|In una cronaca quattrocentesca vengono descritti il primo saccheggio del 1170 ("...la città ....già mezza sino ai Cercini (le arcate del Teatro) era tutta una ruina...") e la distruzione del 1172 ("...l'incauta città posava immersa nella quiete notturna..." e ancora, "...tanto bastò perché l'ira dei viterbesi traboccasse; allistirono un esercito e venuti sull'indomabile città, che, smurata e già distrutta, potea a mala pena difendersi, tutta la guastorno e ne rasero al suolo le case dopo averla furiosamente abbottinata...")}}</ref>.


Nel 1170, Viterbo attaccò Ferento e dopo averla saccheggiata, la diede alle fiamme. Dopo questo assalto Ferento, fortemente indebolita, fu costretta a giurare sottomissione a Viterbo nel 1171. Alla fine dello stesso anno la popolazione tuttavia si rivoltò e Viterbo, con l'aiuto della vicina [[Celleno]] reagì duramente: la notte del 1º gennaio 1172, con il favore del buio e con il pretesto di [[eresia]], l'esercito viterbese alleato con i cellenesi, attaccò a sorpresa la città addormentata, uccise uomini, donne, vecchi e bambini e finito il massacro, appiccò il fuoco distruggendo tutto<ref>{{Senza fonte|In una cronaca quattrocentesca vengono descritti il primo saccheggio del 1170 ("...la città ....già mezza sino ai Cercini (le arcate del Teatro) era tutta una ruina...") e la distruzione del 1172 ("...l'incauta città posava immersa nella quiete notturna..." e ancora, "...tanto bastò perché l'ira dei viterbesi traboccasse; allistirono un esercito e venuti sull'indomabile città, che, smurata e già distrutta, potea a mala pena difendersi, tutta la guastorno e ne rasero al suolo le case dopo averla furiosamente abbottinata...")}}</ref>.
I viterbesi risparmiarono alcuni ferentani di nobili famiglie e li concentrarono a Viterbo presso la zona di San Faustino, mentre altri ferentani che si salvarono dalla strage, perché erano fuori della città e guardare le greggi (nelle fredde notti invernali, erano frequenti gli attacchi dei lupi), si allontanarono dirigendosi verso la valle del Tevere.
Lungo il percorso, trovarono riparo in alcune grotte di origine etrusca, presso le quali si stabilirono definitivamente, usandole come abitazioni, dando così origine a [[Grotte Santo Stefano]].


I viterbesi risparmiarono alcuni ferentani di nobili famiglie e li concentrarono a Viterbo presso la zona di San Faustino, mentre altri ferentani che si salvarono dalla strage, perché erano fuori della città e guardare le greggi (nelle fredde notti invernali, erano frequenti gli attacchi dei lupi), si allontanarono dirigendosi verso la valle del Tevere. Lungo il percorso, trovarono riparo in alcune grotte di origine etrusca, presso le quali si stabilirono definitivamente, usandole come abitazioni, dando così origine a [[Grotte Santo Stefano]].
I viterbesi fin dal 1158 si erano alleati all'imperatore [[Federico Barbarossa|Federico I]] detto il Barbarossa e avevano scatenato molte guerre nei confronti di vari castelli della Tuscia, senza però avere il consenso dell'imperatore, che mise così la città al bando. Il bando venne tuttavia tolto nel 1174 e Cristiano, arcivescovo di [[diocesi di Magonza|Magonza]] assicurò la non riedificazione di Ferento, riassegnando il territorio di quest'ultima al contado di Viterbo.


Tutti i possedimenti delle due più ricche chiese di Ferento, San Bonifacio e San Gemini, furono poi assegnati nel 1202 alle chiese viterbesi, Santo Stefano e San Matteo in Sonza.
I viterbesi fin dal 1158 si erano alleati all'imperatore [[Federico Barbarossa|Federico I]] detto il Barbarossa e avevano scatenato molte guerre nei confronti di vari castelli della Tuscia, senza però avere il consenso dell'imperatore, che mise così la città al bando. Il bando venne tuttavia tolto nel 1174 e Cristiano, arcivescovo di [[diocesi di Magonza|Magonza]] assicurò la non riedificazione di Ferento, riassegnando il territorio di quest'ultima al contado di Viterbo. Tutti i possedimenti delle due più ricche chiese di Ferento, San Bonifacio e San Gemini, furono poi assegnati nel 1202 alle chiese viterbesi, Santo Stefano e San Matteo in Sonza.[[File:Ferento Italy 4 by S F William.JPG|thumb]]
Il simbolo della città di Ferento era una palma e quello di Viterbo un leone, e per evidenziare l'annientamento della città rivale, i viterbesi aggiunsero la palma al leone dando origine allo stemma comunale viterbese che ancora oggi è così rappresentato.
[[File:Ferento Italy 4 by S F William.JPG|thumb]]
Il simbolo della città di Ferento, era una palma e quello di Viterbo un leone, e per evidenziare l'annientamento della città rivale, i viterbesi aggiunsero la palma al leone dando origine allo stemma comunale viterbese che ancora oggi è così rappresentato.


Negli statuti comunali viterbesi degli anni 1237-38 e 1251-52 erano previste sanzioni gravissime per chiunque avesse tentato di ripopolare la città di Ferento, vietando persino ogni tipo di coltivazione e addirittura, nello statuto del 1251-52, era prevista la totale distruzione del teatro e di tutto ciò che c'era intorno, che però non venne attuata.
Negli statuti comunali viterbesi degli anni 1237-38 e 1251-52 erano previste sanzioni gravissime per chiunque avesse tentato di ripopolare la città di Ferento, vietando persino ogni tipo di coltivazione e addirittura, nello statuto del 1251-52, era prevista la totale distruzione del teatro e di tutto ciò che c'era intorno, che però non venne attuata.


A cavallo del XIV e XV secolo, le rovine di Ferento, furono utilizzate dagli eserciti di passaggio per accamparsi e nonostante [[papa Martino V]] avesse incaricato [[Cristoforo D'Andrea]] di [[Siena]] di riedificare e ripopolare il sito, i viterbesi, riuscirono nuovamente ad impedirlo.
A cavallo del XIV e XV secolo, le rovine di Ferento furono utilizzate dagli eserciti di passaggio per accamparsi e nonostante [[papa Martino V]] avesse incaricato [[Cristoforo D'Andrea]] di [[Siena]] di riedificare e ripopolare il sito, i viterbesi riuscirono nuovamente a impedirlo.


== Ritrovamenti archeologici ==
== Scavi archeologici ==
Il "re archeologo" [[Gustavo VI Adolfo di Svezia]] per diversi anni lavorò per riportare alla luce i resti della città, sia di età romana che medioevale: tra questi merita una menzione particolare il [[teatro]] romano, ancora oggi sede di spettacoli estivi.
Il "re archeologo" [[Gustavo VI Adolfo di Svezia]] per diversi anni lavorò per riportare alla luce i resti della città, sia di età romana sia medioevale. Oggi gli scavi sono affidati alle campagne promosse dall'[[Università della Tuscia]], ma solo una piccola parte dell'abitato è stato scavato ed è visitabile, mentre altre aree sono state indagate e ricoperte, tra cui l'area del foro sopra il quale sorge un'azienda agricola.<ref>{{cita web|titolo=Ferento ricerche archeologiche|url=http://scaviferento.unitus.it/index.php?option=com_content&view=article&id=63&Itemid=77&lang=en|accesso=15 marzo 2023}}</ref>
Oggi gli scavi sono affidati alle campagne promosse dall'[[Università della Tuscia]].


I reperti più significativi sono esposti nel [[Museo nazionale etrusco Rocca Albornoz]], presso [[Rocca Albornoziana (Viterbo)|Rocca Albornoz]], in particolare, alcune statue in marmo raffiguranti i personaggi della tragedia e della commedia greco-romana che presumibilmente erano posizionate nel frontescena del teatro. Inoltre è presente una piccola ricostruzione in legno del teatro ferentano.
I reperti più significativi sono esposti nel [[Museo nazionale etrusco Rocca Albornoz]] a [[Viterbo]], in particolare alcune statue in marmo raffiguranti i personaggi della tragedia e della commedia greco-romana che presumibilmente erano posizionate nel frontescena del teatro, oltre a una piccola ricostruzione in legno del teatro romano.


== Teatro romano di Ferento ==
A pochi chilometri da Ferento, il sito di "[[Acquarossa (sito archeologico)|Acquarossa]]" sviluppatosi tra l'VIII ed il VI secolo a.C. è stato oggetto di importanti ritrovamenti [[archeologici]] fatti tra il [[1956]] ed il [[1978]] dall'Istituto Svedese di [[Roma]].
Il [[teatro]] romano, completamente riportato alla luce, è sede di spettacoli estivi.


== Note ==
== Note ==
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* {{Cita pubblicazione |autore=Elisabetta De Mincis |url=http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/2010_1-2/cap7_de-minicis.pdf |titolo=Ferento nel medioevo |formato=pdf}}
* {{Cita pubblicazione |autore=Elisabetta De Mincis |url=http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/2010_1-2/cap7_de-minicis.pdf |titolo=Ferento nel medioevo |formato=pdf}}
* {{Cita pubblicazione |autore=Salvatore Medaglia |autore2=Carmelo Marino |autore3=Fabrizio Trentacoste |titolo=Note sull'acquedotto romano di Ferento (Viterbo) |pubblicazione=Daidalos |numero=11 |anno=2011 |pp=33–62}}
* {{Cita pubblicazione |autore=Salvatore Medaglia |autore2=Carmelo Marino |autore3=Fabrizio Trentacoste |titolo=Note sull'acquedotto romano di Ferento (Viterbo) |pubblicazione=Daidalos |numero=11 |anno=2011 |pp=33–62}}
*Giovanna Ottavianelli, ''Ferento. La città splendidissima,'' Antiqua Res, Ceccarelli, 2020.
* {{Cita pubblicazione |autore=Joselita Raspi Serra |url=http://www.persee.fr/doc/mefr_0223-5110_1976_num_88_1_2344 |titolo=Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia |formato=pdf}}
* {{Cita pubblicazione |autore=Joselita Raspi Serra |url=http://www.persee.fr/doc/mefr_0223-5110_1976_num_88_1_2344 |titolo=Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia |formato=pdf}}
* {{Cita pubblicazione |autore=Marcello Spanu |titolo=Ferento romana |rivista=Atlante tematico di topografia antica|pubblicazione= |volume=24|numero= |anno=2014 |pp=121-144}}
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* Edoardo Galli, [http://www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1344606517277_04_-_Edoardo_Galli_p._213.pdf ''I primi risultati degli scavi governativi nel teatro romano di Ferento''], Bollettino d'Arte, 6, 1911
* Edoardo Galli, [http://www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1344606517277_04_-_Edoardo_Galli_p._213.pdf ''I primi risultati degli scavi governativi nel teatro romano di Ferento''], Bollettino d'Arte, 6, 1911.


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Ferento
Ferentium
Il teatro romano di Ferentium
Civiltàetrusca e romana
UtilizzoCittà
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
ComuneViterbo
Amministrazione
EnteSoprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l'Etruria meridionale
ResponsabileValeria D'Atri
Visitabile
Sito webwww.beniculturali.it/luogo/area-archeologica-antica-citta-di-ferento
Mappa di localizzazione
Map

Fèrento (in latino Ferentium) è un'antica città etrusca, romana e medievale nelle vicinanze di Viterbo, sulla strada Teverina verso la valle del Tevere[1].

Dalla città provenivano diverse famiglie famose, tra cui quella dell'imperatore romano Otone[2] e Flavia Domitilla, moglie dell'imperatore romano Vespasiano.[3]

La città sorgeva sull'altura di Pianicara, dove potrebbero essersi insediati gli abitanti della vicina città etrusca di Acquarossa, distrutta da un terremoto o da città nemiche intorno al 550-500 a.C.[4] Il collegamento con la via Cassia era assicurato dalla via Publica Ferentiensis della quale sono conservati tratti del basolato.

Municipio romano

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Fu un ricco municipio romano dove le attività principali erano il commercio che si svolgeva tra la costa del Tirreno e la valle del Tevere, l'agricoltura, l'allevamento, nonché l'estrazione e lavorazione di tufo e peperino. Importante era la lavorazione e il commercio del ferro che era facile da reperire in grandi quantità e soprattutto in superficie, su gran parte del territorio circostante.

In età repubblicana, era sviluppata lungo il decumano massimo della via Ferentiensis, con una disposizione urbanistica ortogonale a cardi e decumani. Nel Liber coloniarum e in un passo dei Gromatici veteres risalente al 123 a.C. si trova la prima menzione della città, in riferimento alla deduzione di una colonia o forse alla spartizione di alcuni terreni demaniali. Dopo la guerra sociale, nel I secolo a.C., divenne municipium.

Nella prima età imperiale, Ferento raggiunse il suo massimo splendore: infatti risale a questo periodo la costruzione dei più importanti edifici pubblici, come il teatro, il foro (non ancora scavato), le terme, l'anfiteatro (a nord-est rispetto all'abitato), una fontana contornata da numerose statue e l'augusteo. Lo splendore proseguì anche nel secolo successivo e fu definita "civitas splendidissima", come è scritto in un'epigrafe di marmo rinvenuta nei pressi della città.

Tra gli abitanti di Ferento, spiccano alcuni nomi illustri, tra cui Salvio Otone, imperatore per pochi mesi nel 69, e Flavia Domitilla Maggiore, moglie dell'imperatore Vespasiano e madre di Tito e Domiziano.

Dal III secolo le notizie su Ferento si fanno più rare. Dal Liber pontificalis si evince che in quel periodo in città si praticava il culto per sant'Eutizio, morto nei pressi di Soriano nel Cimino durante le persecuzioni messe in atto dall'imperatore Aureliano nel 269. La città viene citata nel IV secolo all'epoca dell'imperatore Costantino, e altre menzioni sono sotto i papi Silvestro (314-355) e Damaso (366-384), nei Tituli constituiti.

Sede vescovile

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Lo stesso argomento in dettaglio: Diocesi di Ferento.

Fino alla metà del VII secolo Ferento è stata una diocesi, di cui il primo vescovo dovrebbe essere stato san Dionisio nel III secolo. Informazioni più precise si hanno invece dei vescovi Massimino nel 487, Bonifacio (probabilmente 519-530), Redento (567-568), Marziano (595-601) e Bonito (649).

Alto Medioevo

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Nel VI e VII secolo, durante la guerra gotica e le guerre tra Bizantini e Longobardi, la città di Ferento non fu risparmiata, come gran parte dei centri dell'Etruria meridionale. La popolazione subì un forte calo demografico e si ritirò a ovest dell'antica città, cercando di fortificare la zona con delle recinzioni murarie, circoscrivendo un'area di circa 30000 .

Anche la sede vescovile venne spostata nel VII secolo da Ferento a Bomarzo, che si trovava in una più favorevole posizione per il controllo della valle del Tevere. I Longobardi, nel riassetto dei confini della Tuscia, divisero il territorio ferentano in tre diocesi diverse: Bagnoregio, Bomarzo e Tuscania.

Il re longobardo Liutprando nel 740 lasciò la città di Ferento e si spostò in Umbria dove nei pressi della Cascata delle Marmore fondò un piccolo borgo, al quale diede poi il nome di Ferentillo in ricordo della città lasciata.

Nel 787-788 Carlo Magno consegnò Ferento a papa Adriano I, a seguito della Promissio donationis del 744 di Pipino il Breve.

Nel 940 Ferento risulta far parte di una circoscrizione amministrativa nominata Comitato ferentensis.

Comune medievale

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Dei secoli XI e XII non si hanno molte notizie, sebbene alcuni documenti facciano pensare che Ferento si fosse organizzata come comune autonomo, riprendendo a crescere economicamente e di importanza. L'abitato si è certamente ripopolato allargandosi ad est del Teatro, dentro una nuova cinta muraria che delimitava circa 70000 ; fu costruita una torre di guardia all'interno del teatro romano, e sotto le sue arcate furono sistemate varie botteghe artigiane.

Nel XVI secolo sorse lungo la strada principale un piccolo sobborgo che prese il nome di "borgus Ferenti", divenuto poi Borgo di Ferento.[senza fonte]

La distruzione della città per opera della vicina Viterbo, allora in grande espansione nella Tuscia, è oggetto di diverse leggende e ipotesi.

Il declino e la successiva distruzione della città di Ferento, sembrano essere scaturiti da un episodio del 1169 che alcune cronache[5] riportano con una certa confusione, infatti sembrerebbe che i ferentani avessero chiesto a Viterbo un aiuto per la lotta contro la città di Nepi (ma si parla anche del contrario). Tuttavia mentre l'esercito viterbese attendeva gli alleati sui Monti Cimini, i ferentani, arrivati davanti alle mura di Viterbo, si fecero aprire la porta Sonsa e misero la città a sacco. La popolazione impaurita si rifugiò presso la chiesa di Santa Cristina e l'arciprete, venuto a conoscenza dell'accaduto partì subito a cavallo verso i soldati viterbesi i quali, appresa la notizia presero subito a rincorrere i ferentani già sulla via del ritorno. Arrivati addosso al nemico, i viterbesi scatenarono una feroce carneficina che non risparmiò nessuno e tanti furono i morti sparsi in quel luogo, che prese il nome di "Carnajola" o "Carnaio". Una leggenda dice che da quel giorno, le acque del fosso sottostante iniziarono a depositare sul fondo una scia rossa, dovuta al sangue dei ferentani morti (in realtà le acque contengono materiale ferroso che imprime alle rocce una colorazione rossastra). Questa versione dei fatti, è quella chi ci viene tramandata dai viterbesi, senza nessuna documentazione che possa darci una controversione ferentana, certo è che i viterbesi, erano determinati ad avere il totale controllo del territorio e dovevano a tutti i costi togliersi di mezzo la città di Ferento, che posta in quella zona così strategica, non poteva che essere sottomessa.

Un'altra versione dei fatti, che invece si tramanda a Grotte Santo Stefano, dice che i viterbesi usarono il pretesto dell'aiuto per la lotta contro Nepi, semplicemente per far uscire l'esercito ferentano dalla città e quando questo giunse allo scoperto, i viterbesi scatenarono l'attacco che portò alla carneficina, in quel luogo che come già detto prese il nome di "Carnajola".

Nel 1170, Viterbo attaccò Ferento e dopo averla saccheggiata, la diede alle fiamme. Dopo questo assalto Ferento, fortemente indebolita, fu costretta a giurare sottomissione a Viterbo nel 1171. Alla fine dello stesso anno la popolazione tuttavia si rivoltò e Viterbo, con l'aiuto della vicina Celleno reagì duramente: la notte del 1º gennaio 1172, con il favore del buio e con il pretesto di eresia, l'esercito viterbese alleato con i cellenesi, attaccò a sorpresa la città addormentata, uccise uomini, donne, vecchi e bambini e finito il massacro, appiccò il fuoco distruggendo tutto[6].

I viterbesi risparmiarono alcuni ferentani di nobili famiglie e li concentrarono a Viterbo presso la zona di San Faustino, mentre altri ferentani che si salvarono dalla strage, perché erano fuori della città e guardare le greggi (nelle fredde notti invernali, erano frequenti gli attacchi dei lupi), si allontanarono dirigendosi verso la valle del Tevere. Lungo il percorso, trovarono riparo in alcune grotte di origine etrusca, presso le quali si stabilirono definitivamente, usandole come abitazioni, dando così origine a Grotte Santo Stefano.

I viterbesi fin dal 1158 si erano alleati all'imperatore Federico I detto il Barbarossa e avevano scatenato molte guerre nei confronti di vari castelli della Tuscia, senza però avere il consenso dell'imperatore, che mise così la città al bando. Il bando venne tuttavia tolto nel 1174 e Cristiano, arcivescovo di Magonza assicurò la non riedificazione di Ferento, riassegnando il territorio di quest'ultima al contado di Viterbo. Tutti i possedimenti delle due più ricche chiese di Ferento, San Bonifacio e San Gemini, furono poi assegnati nel 1202 alle chiese viterbesi, Santo Stefano e San Matteo in Sonza.

Il simbolo della città di Ferento era una palma e quello di Viterbo un leone, e per evidenziare l'annientamento della città rivale, i viterbesi aggiunsero la palma al leone dando origine allo stemma comunale viterbese che ancora oggi è così rappresentato.

Negli statuti comunali viterbesi degli anni 1237-38 e 1251-52 erano previste sanzioni gravissime per chiunque avesse tentato di ripopolare la città di Ferento, vietando persino ogni tipo di coltivazione e addirittura, nello statuto del 1251-52, era prevista la totale distruzione del teatro e di tutto ciò che c'era intorno, che però non venne attuata.

A cavallo del XIV e XV secolo, le rovine di Ferento furono utilizzate dagli eserciti di passaggio per accamparsi e nonostante papa Martino V avesse incaricato Cristoforo D'Andrea di Siena di riedificare e ripopolare il sito, i viterbesi riuscirono nuovamente a impedirlo.

Scavi archeologici

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Il "re archeologo" Gustavo VI Adolfo di Svezia per diversi anni lavorò per riportare alla luce i resti della città, sia di età romana sia medioevale. Oggi gli scavi sono affidati alle campagne promosse dall'Università della Tuscia, ma solo una piccola parte dell'abitato è stato scavato ed è visitabile, mentre altre aree sono state indagate e ricoperte, tra cui l'area del foro sopra il quale sorge un'azienda agricola.[7]

I reperti più significativi sono esposti nel Museo nazionale etrusco Rocca Albornoz a Viterbo, in particolare alcune statue in marmo raffiguranti i personaggi della tragedia e della commedia greco-romana che presumibilmente erano posizionate nel frontescena del teatro, oltre a una piccola ricostruzione in legno del teatro romano.

Teatro romano di Ferento

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Il teatro romano, completamente riportato alla luce, è sede di spettacoli estivi.

  1. ^ FERENTO in "Enciclopedia dell' Arte Antica", su treccani.it. URL consultato il 20 dicembre 2021.
  2. ^ Svetonio, Vite dei Cesari, Otone, I.
  3. ^ Svetonio, Vite dei Cesari, Vespasiano, III.
  4. ^ ACQUAROSSA in "Enciclopedia dell' Arte Antica", su treccani.it. URL consultato il 20 dicembre 2021.
  5. ^ Feliciano Bussi, historia della città di viterbo, 1742, p. 2,98.
  6. ^ In una cronaca quattrocentesca vengono descritti il primo saccheggio del 1170 ("...la città ....già mezza sino ai Cercini (le arcate del Teatro) era tutta una ruina...") e la distruzione del 1172 ("...l'incauta città posava immersa nella quiete notturna..." e ancora, "...tanto bastò perché l'ira dei viterbesi traboccasse; allistirono un esercito e venuti sull'indomabile città, che, smurata e già distrutta, potea a mala pena difendersi, tutta la guastorno e ne rasero al suolo le case dopo averla furiosamente abbottinata...")[senza fonte]
  7. ^ Ferento ricerche archeologiche, su scaviferento.unitus.it. URL consultato il 15 marzo 2023.

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