Storia di Israele
Le prime tracce di insediamenti risalgono al Paleolitico medio (uomo di Neanderthal), sede anche delle più antiche civiltà agricole ed urbane che si conoscano (Neolitico, 8000-6000 a.C.).
L'arrivo dei popoli semiti comincia nel III millennio a.C.. Gli Ebrei, sottomessi dai Cananei, giunsero alla metà del II millennio a.C., in un periodo caratterizzato da un regime di accentuata aridità, che spingeva molte popolazioni a cercare nuovi territori per vivere. Fondarono centri di vita urbana e religiosa.
Una serie di regni e Stati ebraici ebbe vita nella regione per oltre un millennio a partire dalla metà del II millennio a.C. Ricordiamo per brevità il Regno di Israele distrutto nel 722 a.C., anno dell'invasione assira, e il Regno di Giuda (distrutto nel 586 a.C. dai Babilonesi). Questo fu poi ricostruito nel 530 a.C., e fu posto sotto protettorati diversi, dai Persiani ai Romani, fino al fallimento della grande rivolta ebraica contro l'Impero romano, che provocò la massiccia espulsione degli Ebrei dalla loro patria o il loro volontario esilio (circa il 25% della popolazione) in seguito alla distruzione del Tempio. Dopo aver soffocato la rivolta di Bar Kohba nel 135, l'imperatore Adriano cambiò nome alla Provincia Judaea chiamandola Provincia Syria Palaestina, dove Palaestina deriva dal nome biblico Phelesht[1][2] (in ebraico פלשת Pəléšeṯ, italianizzato in Filistea o Filistei), territorio costiero in origine abitato da una popolazione probabilmente indoeuropea affine ai Greci.
Gli Ebrei considerano da tempo il territorio denominato Palestina come loro patria: è per essi Terra sacra e promessa. È il luogo dove sono nati sia l'ebraismo sia il cristianesimo, e contiene molti luoghi di grande importanza spirituale per ebrei, cristiani e musulmani: per i primi in particolare il Muro del Pianto, a Gerusalemme; per i secondi il Santo Sepolcro (sempre a Gerusalemme) e la basilica della Natività di Betlemme, oltre ai luoghi in cui secondo i Vangeli visse Gesù Cristo; per i terzi, la Spianata delle moschee (ancora a Gerusalemme).
Preistoria
modificaTra i 2,6 e i 0,9 milioni d'anni fa, si conoscono almeno quattro episodi, ognuno dei quali culturalmente distinto, di Homininae che si sono dispersi dall'Africa al Levante. Gli strumenti di pietra focaia fabbricati da questi primi uomini sono stati rinvenuti nel territorio dell'attuale Stato d'Israele, inclusa Yir'on, dove sono stati riportati alla luce i più antichi strumenti di pietra mai visti al di fuori dell'Africa. Altri gruppi includono l'industria acheuleana (1,4 milioni di anni fa), il gruppo del Bizat Ruhama e quello del Gesher Bnot Ya'akov[3].
Scavi paleontologici e archeologici hanno riportato alla luce una grande quantità di fossili di uomo di Neanderthal in Palestina, risalenti al Paleolitico medio[Nota 1]. Nel raggio d'estensione del Monte Carmelo, nella Grotta di Tabun e in quella di Es Skhul, sono stati scoperti i resti di primi ominidi e di Homo neanderthalensis, tra cui lo scheletro di una donna di Neanderthal, soprannominata Tabun I, considerato essere uno dei più importanti fossili umani mai rinvenuti[4]. Gli scavi di El-Tabun hanno prodotto la più lunga stratigrafia della regione (600 000 o più anni di attività umana[5]), a partire dal Paleolitico inferiore fino ai giorni nostri, rappresentando quindi approssimativamente un milione di anni di antropogenesi[6].
Antichità
modificaPrimi Israeliti, politeismo e origini dell'Ebraismo
modificaSchema cronologico della storia antica di Israele[7] | |||
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Cronologia assoluta | Fasi archeologiche | Fasi bibliche | Fasi storiche |
3500-2800 ca. | Tardo Calcolitico | ||
2800-2000 ca. | Antico Bronzo | Prima urbanizzazione | |
2000-1550 ca. | Medio Bronzo | Età dei Patriarchi | Città-stato indipendenti |
1550-1180 ca. | Tardo Bronzo | Esodo e conquista | Dominio egiziano |
1180-900 ca. | Ferro I | Età dei Giudici e Regno unito | Etnogenesi e periodo formativo |
900-600 ca. | Ferro II | Regni divisi | Regni divisi e dominio assiro |
600-330 ca. | Ferro III | Età esilica e post-esilica | Regno neo-babilonese e Impero achemenide |
La prima documentazione del nome Israele (ysrir) si trova incisa sulla Stele di Merenptah[8], fatta erigere dal sovrano egizio Amenhotep III (regno circa 1387 a.C. - 1348 a.C.) e modificata successivamente da Merenptah (regno circa 1213 a.C. - 1203 a.C.).
L'archeologo William G. Dever, specializzato nella storia del Levante, identifica questo "Israele" con un'entità culturale e politica situata nella regione montuosa centrale, il quale però sembra essere più un gruppo etnico che uno Stato organizzato[9].
Tra gli antenati degli Israeliti potrebbero esserci stati dei Semiti nativi di Canaan o che facevano parte dei Popoli del Mare[10]. McNutt dice che "sarebbe probabilmente prudente supporre che qualche volta, durante l'età del ferro, un popolo abbia cominciato a identificarsi come Israelita, differenziandosi quindi dai Cananei tramite certe indicazioni come la proibizione del matrimonio misto, un'enfasi quindi sulla storia di famiglia, sulla genealogia e sulla religione"[11].
Il primo uso di grafemi come base di scrittura si è originato nell'area, probabilmente tra i Cananei residenti in Egitto. Tutti gli alfabeti moderni derivano da queste primitive forme di scrittura. L'evidenza dell'uso scritto dell'ebraico classico risale all'incirca al 1000 a.C. Venne scritto usando l'alfabeto paleo-ebraico, un abjad (o alfabeto consonantico) di origine semitica, derivato in gran parte dall'alfabeto fenicio.
I primi villaggi Israeliti ospitavano circa 300-400 persone[12][13], che riuscivano a sopravvivere grazie ad attività quali pastorizia e pascolo di bestiame, ed erano molto auto-sufficienti[14]; prevaleva comunque lo scambio economico[15]. La scrittura era conosciuta e veniva utilizzata principalmente per la documentazione, anche in piccoli siti[16]. I ritrovamenti archeologici indicano la presenza di una società di centri-villaggio, anche se con molte poche risorse e una popolazione piuttosto scarsa[17].
Sebbene quindi gli Israeliti cercassero di distinguersi dai popoli vicini al loro territorio, essi condivisero un pantheon di numerose divinità insieme ai popoli vicini, soprattutto i Cananei. Yahweh (che dai Cananei veniva chiamato anche Yahu o Yahwi) veniva considerato un dio della guerra, al pari quindi di altre divinità simili, come ad esempio El, ed era uno dei personaggi del ciclo mitologico di Baal. Asherah, considerata spesso paredra di El, in numerose iscrizioni viene ritenuta essere invece la consorte di Yahweh[18]. Inoltre migliaia di statuette di creta riportate alla luce suggeriscono che in realtà i primi Israeliti non adoravano un solo dio, bensì una moltitudine di dei[18].
Appare quindi probabile che l'adorazione di Yahweh si sia originata nel Sud della terra di Canaan (Edom, Moab, Madian) a partire dall'età del bronzo (XIV secolo a.C.)[19] e che il suo culto sia stato diffuso a nord dalla popolazione nomade dei Cheniti. Cornelis Petrus Tiele, ideatore dell'"ipotesi Chenita" (1872), riteneva che storicamente Yahweh fosse stato una divinità dei Madianiti e che Mosè venisse attribuito per questa ragione a tale popolo; sempre secondo Tiele, sarebbe stato Mosè a portare dal Nord a Israele il culto di Yahweh. Quest'idea è basata su un'antica tradizione (Libro dei Giudici 1,16[20],4,11[21]) che vuole il padre adottivo di Mosè essere stato un sacerdote Madianita di Yahweh, il quale voleva preservare il ricordo dell'origine Madianita del dio. Mentre dagli studiosi e dagli storici moderni viene ampiamente accettato il ruolo che i Cheniti hanno avuto nel trasmettere il culto di Yahweh[22], quello di Mosè trova scarso supporto tra gli studi moderni, dal momento che Mosè viene ormai considerato anche dagli esperti dell'archeologia siro-palestinese uno dei numerosi protagonisti leggendari di saghe epico-mitologiche narrate nella Bibbia ebraica[23].
Regni d'Israele e Giuda
modificaLa Bibbia ebraica descrive una guerra costante fra Ebrei e altre tribù, tra cui i Filistei, che avevano come capitale Gaza. Intorno al 930 a.C., il Regno unificato d'Israele e Giuda si divise in due per questioni concernenti la successione al trono: a sud il Regno di Giuda e a nord quello d'Israele.
Lo Stato moderno di Israele comprende parte del sito degli antichi regni di Israele e Giuda, parte dei vecchi Stati fenici e parte dei vecchi Stati filistei.
Un'alleanza tra Acab d'Israele e Ben Hadad II di Damasco riuscì a respingere le incursioni degli Assiri, con una memorabile vittoria alla battaglia di Qarqar (854 a.C.). Tuttavia, il Regno d'Israele alla fine venne distrutto dal re assiro Tiglatpileser III intorno al 750 a.C. Anche il Regno filisteo subì la stessa sorte. Gli Assiri inviarono la maggior parte del nord del regno israelita in esilio, causando così la dispersione di dieci tribù d'Israele. I Samaritani affermano di essere discendenti dei superstiti della conquista assira. Una rivolta Israelita (724–722 a.C.) venne congestionata dopo l'assedio e la cattura di Samaria da parte di Sargon II. Nel frattempo il re assiro Sennacherib tentò di conquistare il Regno di Giuda, ma fallì in questa impresa. Tuttavia le incisioni sul Prisma di Sennacherib sostengono che quest'ultimo abbia voluto punire Giuda per poi abbandonare l'area (lo stesso Erodoto descrive inoltre l'invasione).
Dominazione babilonese
modificaNel 586 a.C. il Re di Babilonia, Nabucodonosor II, conquistò il Regno di Giuda. Secondo la Bibbia ebraica, sarebbe stato lui a distruggere il Tempio di Salomone e a portare gli ebrei in esilio a Babilonia. La sconfitta è stata documentata anche da parte dei Babilonesi. Si è creduto che il Re di Giuda, Ioiakim, avesse commutato delle alleanze tra gli Egizi e i Babilonesi (cioè che si fosse alleato prima con gli uni e poi con gli altri) e che quindi l'invasione fosse stata in realtà una punizione da parte dei Babilonesi per essersi alleato in principio con la nemesi di Babilonia, l'Egitto. Gli Ebrei esiliati quindi potrebbero esser stati limitati a un'élite.
Età classica
modificaDominazione persiana ed età ellenistica
modificaNel 538 a.C., Ciro il Grande di Persia conquistò Babilonia e il suo impero. Ciro emise quindi un proclama che garantiva la libertà religiosa (per il testo originale vedi il Cilindro di Ciro) alle nazioni soggiogate (tra cui i Giudei). Secondo la Bibbia ebraica 50 000 Giudei, guidati da Zerubabel, tornarono a Giuda e ricostruirono il Tempio. Un secondo gruppo di 5 000, guidati da Esdra e Neemia, tornò a Giuda nel 456 a.C. anche se i non-ebrei scrissero a Ciro per cercare di indurlo a prevenire il loro ritorno. Si ritiene che le versioni finali ebraiche della Torah e i Libri dei Re risalgano a questo periodo e che gli Israeliti di ritorno da Babilonia avessero adottato un alfabeto aramaico, e che il calendario ebraico (che ricorda da vicino il calendario babilonese) risalga anch'esso a questo periodo.
Nel 333 a.C. l'Imperatore macedone, Alessandro Magno, sconfisse i Persiani e conquistò la Persia. Qualche tempo dopo, la prima traduzione della Bibbia ebraica (la Septuaginta) fu iniziata ad Alessandria d'Egitto. Dopo la morte di Alessandro, i suoi generali continuarono a combattere sul territorio che aveva conquistato. Il Regno di Giuda divenne il confine tra l'Impero seleucide e l'Egitto tolemaico, fino a diventare parte anch'esso dell'Impero seleucide. Nel II secolo a.C., Antioco IV, l'Imperatore seleucide, tentò di sradicare l'Ebraismo a favore della religione ellenistica. Questo provocò nel 174–135 a.C. la rivolta maccabea guidata da Giuda Maccabeo (la cui vittoria viene celebrata durante la festa di Chanukkah). I Libri dei Maccabei descrivono la rivolta e la fine della dominazione greca. Il partito politico ebraico degli Asidei si oppose sia all'ellenizzazione sia alla rivolta, ma alla fine diede il suo supporto ai Maccabei. Interpretazioni moderne vedono questo periodo come una guerra civile tra le forme ellenizzanti e quelle tradizionaliste dell'Ebraismo[24][25].
Dinastia giudaica degli Asmonei
modificaLa dinastia degli Asmonei di re-sacerdoti (ebraici) governò la Giudea con i Farisei, i Sadducei e gli Esseni come principali movimenti sociali ebraici. Come parte della loro lotta contro la civiltà ellenistica, i Farisei istituirono quello che forse potrebbe esser stato il primo programma nazionale (e religioso) d'istruzione e alfabetizzazione maschile del mondo, basato intorno a case di riunione[26]. Ciò ha preposto le basi per la nascita del giudaismo rabbinico. La giustizia veniva amministrata dal Sinedrio, il cui presidente-principe era noto come Nasi. L'autorità religiosa del Nasi venne gradualmente sostituita da quella del Sommo sacerdote del Tempio (sotto gli Asmonei quest'ultimo ricopriva anche il ruolo di Re di Giuda).
Nel 125 a.C. il Re degli Asmonei, Giovanni Ircano I, soggiogò Edom e obbligò la popolazione con la forza a convertirsi al giudaismo (questo è l'unico caso noto di forzata conversione al giudaismo)[27]. Nel 64 a.C. il generale romano Pompeo conquistò la Siria e intervenne nella guerra civile degli Asmonei a Gerusalemme.
Nel 47 a.C. la vita di Giulio Cesare e della sua pupilla Cleopatra furono salvate da 3 000 truppe speciali giudee inviate dal re Giovanni Ircano II e comandate da Antipatro, i cui discendenti vennero nominati da Cesare regnanti di Giudea[28].
Regno di Erode il Grande
modificaDal 37 a.C. al 6 a.C. la dinastia erodiana, costituita da re-clienti giudaico-romani, discendenti da Antipatro, governò la Giudea. Uno di questi, Erode il Grande, ingrandì notevolmente il Tempio, rendendolo una delle più grandi strutture religiose di tutto il mondo. Nonostante la sua fama, fu in questo periodo che il giudaismo rabbinico, guidato da Hillel il Vecchio, cominciò ad assumere un rilievo talmente popolare da scapestrare il sacerdozio del Tempio.
Al Tempio ebraico a Gerusalemme venne comunque concesso un permesso speciale di non mostrare l'effigie dell'Imperatore, diventando quindi l'unica struttura religiosa nell'Impero romano a essere autonoma, sia nelle decorazioni sia nel culto. Venne perciò concessa una dispensa speciale ai cittadini giudei dell'Impero romano secondo la quale dovevano pagare una tassa per il Tempio.
Impero romano e provincia di Giudea
modificaLa Giudea divenne quindi una provincia romana nel 6, dopo la transizione della Tetrarchia di Giudea in un regno romano. Nei decenni successivi, anche se prosperosa, la società cominciò a mostrare i primi sintomi delle tensioni crescenti tra i greco-romani e le popolazioni della Giudea. Nel 66, gli ebrei di Giudea insorsero in rivolta contro Roma, denominando il loro nuovo Stato col nome di Israele[29]. Gli eventi sono stati descritti dal condottiero e storico ebreo Giuseppe Flavio, tra cui la difesa disperata di Iotapata, l'assedio di Gerusalemme (69–70) e l'eroica ultima resistenza a Masada sotto Eleazar Ben Yair, capo dei sicarii. Gran parte della città di Gerusalemme e del Tempio giacevano in rovina. Durante la rivolta ebraica la maggior parte dei cristiani, che in questo momento rappresentavano una sub-setta dell'ebraismo, se ne andarono dalla Giudea. Il movimento rabbinico-farisaico di Jochanan Ben Zakkai, che si era opposto al sacerdozio del Tempio da parte dei Sadducei, fece pace con Roma e sopravvisse.
Dopo la guerra i Romani oppressero ancor di più i Giudei compiendo azioni quali il vietare la circoncisione, continuare a imporre la tassa del fiscus iudaicus, e finanziare, con le riscossioni della tassa, la costruzione di un Tempio dedicato a Giove Capitolino proprio sopra i resti del Secondo Tempio ebraico[30]. Inoltre, a partire dal 96, l'imperatore Nerva modificò l'imposizione della tassa giudaica, esentando i cristiani dal pagarla[31]; questa probabilmente fu una delle numerose controversie che avrebbero causato la progressiva rottura tra cristianesimo ed ebraismo.
Dal 115 al 117, i Giudei di Libia, Egitto, Cipro, Mesopotamia e Lod aumentarono in rivolta contro Roma. Questo conflitto fu accompagnato da grandi massacri di Giudei e Romani. Cipro era gravemente spopolata e i Giudei erano stati banditi dal vivere lì[32].
Nel 131, l'Imperatore romano Adriano rinominò Gerusalemme Aelia Capitolina e costruito un Tempio a Giove sul sito dell'ex Tempio ebraico. Agli Ebrei venne vietato di vivere nella stessa Gerusalemme (un divieto che ha persistito fino alla conquista araba) e nella provincia romana di Giudea, la quale, fino ad allora conosciuta come Iudaea, venne rinominata Palaestina; nessun'altra rivolta portò alla rinominazione di una provincia da parte dei Romani[33]. I nomi Palestina (in italiano) e Filistin (in arabo) sono derivati da questo nuovo nome. Dal 132 al 136, un pretendente al trono dell'ormai decaduto Regno di Giuda (trasformato in Regno di Giudea), Simon Bar Kokheba, che si era autoproclamato Messia e Nasi, scatenò un'altra grande rivolta contro i Romani, rinominando nuovamente il paese Israele[34]. La rivolta di Bar Kochba, rispetto alle altre guerre giudaiche, aveva una connotazione fortemente religiosa e nazionalistica allo stesso tempo, tant'è che Bar Kochba venne riconosciuto come l'individuo che avrebbe portato a compimento le profezie bibliche[35] e acclamato re dei Giudei da rabbini influenti e di grande stima tra cui rabbi Akiva[36]. I giudeo-cristiani, che non consideravano come loro Messia nessun altro all'infuori di Gesù di Nazareth, si rifiutarono di partecipare alla rivolta e vennero "condannati a essere puniti duramente a meno che non disconoscessero Gesù come Messia e maledicessero il suo nome"[37], fatto che viene riportato anche da Giustino[38]. È a partire da questo momento che gli Ebrei iniziarono a considerare il cristianesimo come una religione separata[39]. La rivolta di Bar Kokhba, dopo due anni di indipendenza giudaica, fu infine fermata dallo stesso Adriano. Sebbene sia una visione della storia con pochi fondamenti, durante la rivolta di Bar Kochba sarebbe avvenuto il presunto concilio di Jamnia, un'ipotetica assemblea di maestri farisei che fra l'altro avrebbe fissato il canone della Bibbia ebraica (Tanakh) intorno al 95. Il concilio, secondo i fautori di tale ipotesi, avrebbero rigettato i libri apocrifi e della versione greca dei Settanta, compresi quelli che i cristiani cattolici chiamano deuterocanonici[40]. Tale ipotesi, che presuppone il concilio, è stata formulata per la prima volta dallo studioso Heinrich Graetz nel 1871. Essa ha avuto il consenso della maggior parte degli studiosi fino agli anni sessanta, ma in seguito è stata rigettata da alcuni di essi. Di sicuro a Jamnia è esistita una scuola giudeo-farisaica.
Dopo la soppressione della rivolta di Bar Kochba, i Romani consentirono la costituzione di un Patriarca rabbinico ereditario (dalla Casa di Hillel) per rappresentare i giudei nei rapporti con i Romani. Il primo e più famoso di questi fu Judah haNasi. I seminari ebraici continuarono a produrre gli studiosi e i migliori di questi divennero membri del Sinedrio[41]. La Mishnah, un importante testo religioso ebraico, venne completata in questo periodo. Tuttavia Adriano non era soddisfatto di aver ripreso il controllo della provincia e per risolvere il "problema dei giudei" decise di emanare dei decreti con i quali si impediva di professare il giudaismo o anche solo di insegnare la Torah[42]. La pena poteva comprendere anche la condanna a morte: a questo periodo appartengono i Dieci Martiri[Nota 2], cioè rabbini torturati o uccisi anche pubblicamente per impartizione delle leggi romane, che volevano distruggere il giudaismo una volta per tutte; il più celebre di questi martiri è rabbi Akiva[43].
Prima della rivolta di Bar Kochba, circa 2/3 della popolazione di Galilea e circa 1/3 della regione costiera erano ebrei[44]. Tuttavia, la persecuzione e la crisi economica che colpirono l'Impero romano nel III secolo portarono a un'ulteriore immigrazione ebraica dalla Palestina verso l'Impero sasanide (più tollerante), dove esisteva già una prospera comunità ebraica nella zona di Babilonia. Tuttavia, con l'ascesa al trono imperiale di Antonino Pio, i Giudei tornarono a esser ben visti e trattati con benevolenza dai Romani[45]. Completamente diverso l'atteggiamento verso i cristiani, che infatti videro inasprirsi le accuse e le persecuzioni nei propri confronti; dopo il dominio di Decio, l'Impero romano si era coalizzato contro il cristianesimo, perpetrando atrocità di ogni genere[46]. Questa disuguaglianza di potere tra Giudei e cristiani nel mondo greco-romano "generò dei sentimenti anti-giudaici nei primi cristiani"[47], che infatti già dalla distruzione del Tempio stavano cercando di distinguersi come un gruppo religioso a sé stante.
Iniziò quindi a generarsi un vero e proprio disprezzo tra giudei e cristiani, in parte guidato anche dalla legalità giudaica nell'Impero. Secondo una storia dai toni fortemente antigiudaici[48] nata per scopi apologetici[48], nella città di Antiochia, dove il conflitto era molto più vivido, i giudei avrebbero fatto appello alle autorità romane perché uccidessero Policarpo di Smirne[48][49], vescovo e discepolo dell'apostolo Giovanni. Dopo la crisi del III secolo e la fine della persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, l'imperatore Costantino I e Licinio emanarono l'Editto di Milano nel 313, con il quale proclamavano la libertà religiosa nell'Impero. A partire da questo momento i giudei perdono la propria importanza sia all'interno dell'Impero sia in Palestina, rivolgendosi verso Babilonia[50]. Con la morte di Licinio nel 323, Costantino espresse la propria preferenza per la religione cristiana e impose nuove leggi ai giudei: fermò il proselitismo ebraico, proibì ai giudei di circoncidere i propri schiavi[51] e di lapidare quelli di loro che cambiavano religione[52], oltre che consentire il ritorno a Gerusalemme solo per il Tisha b'Av e con previo pagamento del fiscus iudaicus in monete d'argento[51].
All'inizio del IV secolo, Costantinopoli divennero la capitale dell'Impero romano d'Oriente e il cristianesimo venne adottato come religione ufficiale. Il nome di Gerusalemme venne ripristinato in Aelia Capitolina e divenne una città cristiana. Gli Ebrei erano ancora banditi dal vivere a Gerusalemme, ma vennero autorizzati a visitare la città, ed è in questo periodo che il superstite Muro Occidentale del Secondo Tempio divenne sacro. Nel 351–352 un'altra rivolta ebraica, stavolta in Galilea, esplose contro un governatore romano corrotto di nome Costanzo Gallo[53]. Nel 362, l'ultimo imperatore romano di religione pagana, Flavio Claudio Giuliano, aveva annunciato i piani per ricostruire il Tempio ebraico di Gerusalemme. Morì durante la guerra contro i Persiani nel 363 e il progetto venne quindi interrotto.
Dominio Bizantino
modificaL'Impero romano infine si divise (395) e la Giudea divenne parte dell'Impero romano d'Oriente, conosciuto come Impero bizantino. Nel V secolo, il 10-15% della popolazione era costituito da Giudei, concentrati in gran parte in Galilea. Il giudaismo era l'unica religione non-cristiana a essere tollerata, ma c'erano divieti per i Giudei concernenti la costruzione di nuovi luoghi di culto, il ricoprire cariche pubbliche o possedere schiavi. Diverse Rivolte Samaritane scoppiarono in questo periodo[54], con conseguente diminuzione della comunità samaritana da circa 1 milione a una quasi estinzione. I testi sacri ebraici scritti in Terra Santa in questo periodo furono la Ghemara (400), il Talmud di Gerusalemme (500) e l'Haggadah di Pesach.
Nel 611, la Persia sasanide invase l'Impero bizantino e, dopo un lungo assedio, Cosroe II conquistò Gerusalemme nel 614, con l'aiuto dei Giudei nuovamente in rivolta, tra cui forse il Regno himyarita ebraico dello Yemen. Ai Giudei venne quindi lasciato dai Persiani il governo di Gerusalemme dopo che questi ultimi ne assunsero il controllo, anche se l'autogoverno locale giudeo durò solo fino al 617 circa, quando i Persiani si arresero ai Bizantini. L'Imperatore bizantino, Eraclio, che aveva promesso di ripristinare i diritti dei Giudei e che aveva avuto aiuto da questi ultimi nello sconfiggere i Persiani, rinnegò l'accordo dopo la riconquista della Palestina, ed emise invece un editto che vietava la professione del giudaismo nell'Impero bizantino. I cristiani copti d'Egitto si presero la responsabilità di questo impegno rotto e fecero anche penitenza[Nota 3]. I Giudei in fuga da Bisanzio si stabilirono nell'area del Baltico, dove la nobiltà cazara e parte della popolazione si convertirono successivamente al giudaismo.
Medioevo
modificaCaliffati, crociate e Impero ottomano
modificaIl primo califfato musulmano strappò la regione all'Impero bizantino nel VII secolo. Le Crociate segnarono una lunga lotta per il controllo della regione. Attraverso i secoli la dimensione della popolazione ebraica nella regione oscillò. All'inizio del XIX secolo, circa 10 000 ebrei vivevano nell'area dell'odierna Israele, a fianco di diverse centinaia di migliaia di arabi musulmani e cristiani. Verso la fine dello stesso secolo, questo numero iniziò ad aumentare, anche se gli ebrei rimasero una minoranza.[senza fonte]
Storia moderna e contemporanea
modificaSionismo e mandato britannico
modificaDopo secoli di diaspora, il XIX secolo vide una significativa immigrazione ed il sorgere del sionismo, il movimento nazionale ebraico il cui intento era quello del ritorno in Palestina e la creazione qui di un'entità politica ebraica.
Le prime ondate di immigrazione ebraica in Palestina, in quell'epoca provincia ottomana, ebbero inizio alla fine dell'Ottocento, grazie agli ebrei che sfuggivano alle persecuzioni in Russia. Già nel 1870, a nord di Jaffa, venne fondata la scuola agricola Mikve' Israel da cui poi germogliò la moderna Tel Aviv. Per contrastare il problema dell'antisemitismo, il 29 agosto 1897, a Basilea, si tenne il Primo congresso sionista, durante il quale fu fondata l'Organizzazione sionista.
Nel 1901, in occasione del quinto congresso sionista, viene creato il Fondo Nazionale Ebraico (Keren Kayemet LeIsrael) a cui viene attribuito il compito di acquistare terreni in terra d'Israele.
Nel 1902 durante il sesto congresso, fu discussa l'offerta britannica di creare uno Stato ebraico in Uganda. Alla proposta, pur approvata, non venne dato seguito.
Comincia nel 1904 la seconda ondata immigratoria, proveniente nuovamente dalla Russia e da vari paesi dell'Est europeo, come conseguenza dei continui Pogrom che colpiscono i cittadini di religione ebraica.
Nel 1909 viene fondata Tel Aviv ed il primo kibbutz sulle rive del lago di Tiberiade.
Nel 1917, nel pieno della prima guerra mondiale, l'Impero ottomano crolla sotto i colpi del Regno Unito che, nello stesso anno, con la dichiarazione Balfour, si impegna ad agevolare la costituzione di un "Focolare nazionale" (National Home) in Palestina, specificando che non dovevano comunque essere danneggiati "i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche della Palestina". Contemporaneamente i britannici promisero alla popolazione araba presente che una volta sconfitto l'Impero ottomano a loro sarebbe stata garantita l'autodeterminazione. Oltre a questo il ministro plenipotenziario di Sua Maestà Sir Henry MacMahon, Alto Commissario in Egitto, promise allo shari-f della Mecca, al-Husayn b. ‘Ali-, in cambio dell'alleanza contro gli Ottomani, il riconoscimento agli Arabi dei diritti all'auto-determinazione e all'indipendenza in cambio della loro partecipazione agli sforzi bellici anti-ottomani, e la creazione di uno "Stato arabo" dai confini non definiti con precisione, ma che avrebbe inglobato all'incirca tutto il territorio compreso fra Egitto e Persia, compresa parte della Palestina.
Nel 1920, nel corso delle trattative post-belliche, al Regno Unito viene assegnato dalla Società delle Nazioni il mandato sulla Palestina. Il mandato britannico divenne operativo completamente nel 1923, anche se l'esercito britannico occupava e controllava completamente il territorio fin dal 1917. Se la reazione delle popolazioni arabe (musulmane e cristiane) a tali progetti fu vivace e del tutto improntata all'ostilità, diverso fu invece l'atteggiamento del movimento sionista che, forte delle precedenti promesse fattegli, considerò il mandato britannico sulla Palestina il primo passo per la futura realizzazione dell'agognato Stato ebraico. In questo stesso anno venne fondata la Haganah, una forza paramilitare clandestina con il compito di difendere gli insediamenti ebraici in Palestina. Venne fondato anche il Keren HaYesod, il fondo cioè che raccoglie i contributi in tutto il mondo per la costituzione dello Stato ebraico. Venne in tale prospettiva deciso che la lingua ebraica, codificata da Eliezer Ben Yehuda nel 1890, ne sarebbe stata la lingua ufficiale.
Una nuova legittimazione alle aspirazioni ebraiche per uno Stato proprio arrivò nel 1922 quando la Società delle Nazioni confermò il mandato al Regno Unito citando la Dichiarazione Balfour, ma escludendo i territori a est del fiume Giordano dove sorgerà, invece, la Transgiordania (nel secondo dopoguerra Giordania).
Sotto il mandato britannico l'immigrazione ebraica nella zona subì un'accelerazione: solo negli anni venti immigrarono nella zona quasi 100 000 ebrei contro poco più di 5 000 non ebrei. Il risultato fu quello di portare la popolazione ebraica in Palestina dalle 83 000 unità del 1915, alle 84 000 unità del 1922 (a fronte dei 590 000 arabi e 71 000 cristiani), alle 175 138 del 1931 (contro i 761 922 arabi e i quasi 90 000 cristiani), alle 360 000 unità della fine degli anni trenta.
Nel 1929 il Regno Unito riconobbe ufficialmente l'Agenzia ebraica (attiva in forma ufficiosa dal 1923), con funzioni di rappresentanza diplomatica. Nel frattempo si fecero più frequenti le azioni antiebraiche da parte araba (contrastate dai gruppi armati della Haganah o simili) e le relative rappresaglie.
Il 14 agosto del 1929 si ebbero i primi scontri generalizzati nel paese, dopo che alcuni gruppi di aderenti al movimento nazionalista sionista di destra Betar di Vladimir Žabotinskij marciarono sul Muro del Pianto di Gerusalemme, rivendicando a nome dei coloni ebrei l'esclusiva proprietà della Città Santa e dei suoi luoghi sacri; a seguito di questa manifestazione iniziarono a circolare voci su scontri in cui i sionisti avrebbero picchiato i residenti arabi della zona e offeso il profeta Maometto. Come risposta il Consiglio Supremo Islamico organizzò una contro-marcia e il corteo, una volta arrivato al Muro, bruciò le pagine di alcuni libri di preghiere ebraiche. Nella settimana gli scontri continuarono e, infiammati dalla morte di un colono ebreo e dalle voci (poi rivelatesi false) sulla morte di due arabi per mano di alcuni ebrei, si ampliarono fino a comprendere tutta la Palestina.
Il 20 agosto l'Haganah offrì la propria protezione alla popolazione ebraica di Hebron (circa 600 persone su un totale di 17 000), che la rifiutò contando sui buoni rapporti che si erano instaurati negli anni con la popolazione araba e i suoi rappresentanti. Il 24 agosto gli scontri raggiunsero la città dove furono uccisi quasi 70 ebrei, altri 58 furono feriti, alcune decine fuggirono dalla città e 435 trovarono rifugio nelle case dei loro vicini arabi per poi fuggire dalla città nei giorni successivi agli scontri. Solo nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni, un gruppo di ebrei, guidati dal rabbino Moshe Levinger, occupò il principale hotel di Hebron rifiutando di lasciarlo e dando il via alla creazione di una nuova comunità ebraica a Hebron e dintorni (la loro presenza è comunque ritenuta da alcuni governi esteri e dalle Nazioni Unite una violazione delle leggi internazionali). Alla fine degli scontri ci furono tra gli ebrei 133 morti e 339 feriti (quasi tutti in seguito a scontri con la popolazione araba, quasi 70 solo a Hebron), mentre tra gli arabi ci furono 116 morti e 232 feriti (per la maggioranza dovuti a scontri con le forze britanniche).
Una commissione britannica giudicò e condannò i sospettati di stragi e rappresaglie ed emise diverse condanne a morte (diciassette arabi e due ebrei, commutate con la prigione a vita tranne quelle di tre arabi che furono impiccati), condannò fermamente gli attacchi iniziali della popolazione araba contro i coloni ebraici e le loro proprietà, giustificò le rappresaglie da parte dei coloni ebrei contro gli insediamenti arabi come una "legittima difesa" dagli attacchi subiti e vide nel timore della creazione di uno Stato ebraico il motivo di questi attacchi, timore che, per rassicurare la popolazione araba, venne pubblicamente giudicato infondato. Oltre a questo la commissione raccomandò al governo di riconsiderare le proprie politiche sull'immigrazione ebraica e sulla vendita di terra ai coloni ebrei, raccomandazione che portò alla creazione di una commissione reale guidata da Sir John Hope Simpson l'anno successivo. È da notare che spesso gli attriti tra la popolazione araba maggioritaria preesistente e i coloni non erano dovuti all'immigrazione in sé, ma ai differenti sistemi di assegnazione del terreno e delle risorse: gran parte della popolazione locale per il diritto britannico non possedeva il terreno, ma per le abitudini locali possedeva le piante che vi venivano coltivate sopra e di conseguenza molti terreni usati dai contadini arabi erano ufficialmente (per la legge britannica) senza proprietario e venivano quindi acquistati dai coloni ebrei (o loro affidati) o dall'Agenzia ebraica. Questo, unito alle regole con cui venivano effettuate le assegnazioni, che erano state criticate dalla commissione Simpson (la terra doveva essere lavorata solo da contadini ebrei e non poteva essere ceduta o subaffittata a non ebrei), di fatto toglieva l'unica fonte di sostentamento e lavoro a moltissimi insediamenti arabi preesistenti. La commissione Simpson confermò ufficialmente l'esistenza di questi problemi e mise in guardia il governo sui rischi per la stabilità della regione nel caso di un loro aggravarsi, sostenendo anche che, dati i sistemi di coltura dei coloni e quelli tradizionali della popolazione araba, non erano rimaste più terre fertili libere da assegnare a eventuali nuovi coloni ebrei.
Nel frattempo una nuova immigrazione, proveniente dalla Polonia, si sviluppò tra il 1924 ed il 1932. Questa immigrazione, diversamente da quelle precedenti, si caratterizzava per il livello sociale più elevato rispetto alle esperienze precedenti. Dal 1933 si assistette a un'ondata immigratoria proveniente dalla Germania, conseguenza delle leggi razziali emanate dal regime nazista. Il livello sociale di questi migranti era particolarmente alto e portava con sé un grande afflusso di capitali, di professionisti e di accademici.
La politica di Londra tuttavia non mutò, nonostante vi fossero state nel frattempo varie condanne da parte della Società delle Nazioni e la situazione precipitò portando allo scoppio di una guerra civile durata tre anni, tra il 1936 e il 1939. Le iniziali richieste della popolazione araba di indire elezioni (che, essendo larga maggioranza, avrebbero visto vincitori principalmente i loro rappresentanti), di mettere fine al mandato e bloccare completamente l'immigrazione ebraica ebbero come risultato solo una dura repressione da parte delle forze britanniche. Con il passare dei mesi gli scontri divennero sempre più violenti, causando, secondo fonti britanniche, 5 000 morti tra la popolazione araba, 400 tra quella ebraica e 200 caduti britannici. Dopo tre tentativi falliti di ripartizione delle terre in due stati indipendenti (ma Gerusalemme e la regione limitrofa sarebbero rimasti sotto il controllo britannico), al termine della rivolta le autorità britanniche, con il "Libro Bianco" del 1939, decisero di imporre un limite all'immigrazione, decisione che causò un forte aumento dell'immigrazione clandestina (dal 1938 inizia l'Aliyà Bet, l'immigrazione clandestina che fece entrare nel paese, nel corso di un decennio, circa 100 000 ebrei), anche a causa delle persecuzioni che gli ebrei avevano cominciato a subire da parte della Germania nazista fin dal 1933. Londra vietò inoltre l'ulteriore acquisto di terre da parte dei coloni ebrei, promettendo di rinunciare al suo Mandato entro il 1949 e prospettando per quella data la fondazione di un unico Stato di etnia mista araba-ebraica. Ciò indusse pertanto gli ebrei di Palestina e le organizzazioni sioniste a cercare negli Stati Uniti l'appoggio che fino ad allora aveva concesso loro l'Impero britannico.
Con la seconda guerra mondiale i gruppi ebraici (con l'esclusione del gruppo della Banda Stern che cercò, senza ottenerla, l'alleanza con le forze naziste in chiave anti-britannica) si schierarono con gli Alleati, mentre molti gruppi arabi guardarono con interesse l'Asse, nella speranza che una sua vittoria servisse a liberarli dalla presenza britannica. Nel frattempo dall'Haganah nel 1936 si separò l'ala politicamente più a destra, che darà vita all'Irgun e da quest'ultimo si separò a sua volta nel 1940 il Lehi, gruppi che agli scopi originali affiancarono l'uso di atti terroristici sia contro la popolazione araba sia contro le forze britanniche.
La nascita dello Stato
modificaLa fase decisiva della nascita dello Stato ebraico iniziò nel 1939 con la pubblicazione del Libro bianco con il quale l'amministrazione britannica pose fortissime limitazioni all'immigrazione e alla vendita di terreni agli ebrei. Da quel momento in poi, pur essendo la guerra mondiale in pieno svolgimento, le navi di immigranti ebrei vennero respinte e molte di esse colarono a picco conducendo alla morte i passeggeri. Nacquero anche gruppi terroristici ebraici (Irgun, Banda Stern), che opereranno fino alla dichiarazione dello Stato di Israele, con azioni contro gli arabi e le istituzioni britanniche, facendo esplodere bombe in luoghi pubblici (che ebbero il loro culmine nell'attentato al King David Hotel, [senza fonte] che provocò quasi 100 morti) e assassinando perfino il mediatore dell'ONU, il conte svedese Folke Bernadotte, fautore della divisione della Palestina.[55] Agli inizi del 1947 il Regno Unito decise di rimettere il mandato palestinese nelle mani delle Nazioni Unite, cui fu affidato il compito di risolvere l'intricata situazione, ma mantenne le rigide limitazioni all'immigrazione: nel 1947 la nave Exodus, con 4 500 ebrei tedeschi sopravvissuti ai campi di concentramento, venne respinta e costretta a tornare in Europa.
L'ONU dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent'anni di controllo britannico era diventata pressoché ingestibile, visto che la popolazione ebraica, che 30 anni prima era solo un'esigua minoranza, comprendeva oramai un terzo dei residenti in Palestina, anche se possedeva solo una minima parte del territorio (circa il 7% del territorio, contro il 50% della popolazione araba e il restante in mano al governo britannico della Palestina[56]).
Il 15 maggio 1947 fu fondato quindi il Comitato speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina (United Nations Special Committee on Palestine, UNSCOP), comprendente undici Paesi (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Uruguay, India, Iran, Jugoslavia, Australia) da cui erano esclusi i Paesi "maggiori", per permettere una maggiore neutralità. Sette di questi (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Uruguay) votarono a favore di una soluzione con due Stati divisi e Gerusalemme sotto controllo internazionale, tre per un unico Stato federale (India, Iran, Jugoslavia), ed uno si astenne (Australia).
Il problema chiave che l'ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati europei scampati alle persecuzioni naziste dovessero in qualche modo essere collegati alla situazione in Palestina.
Nella sua relazione[57] l'UNSCOP si pose il problema di come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che soddisfare le pur motivate richieste di entrambi era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle due posizioni.
Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò quindi la risoluzione n. 181[58]. Il mandato britannico sulla Palestina fu diviso in due Stati, uno ebraico e l'altro arabo. Votarono a favore 33 Stati (Australia, Belgio, Bielorussia, Bolivia, Brasile, Canada, Cecoslovacchia, Costa Rica, Danimarca, Ecuador, Filippine, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Panama, Paraguay, Perù, Polonia, Repubblica Domenicana, Sudafrica, Svezia, Ucraina, URSS, Uruguay, USA, Venezuela), contro 13 (Afghanistan, Arabia Saudita, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Siria, Turchia, Yemen), vi furono 10 astenuti (Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Iugoslavia, Messico, Regno Unito), e un assente alla votazione (Thailandia). Le nazioni arabe fecero ricorso alla Corte internazionale di giustizia, sostenendo la non competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto.
Secondo il piano, lo Stato ebraico avrebbe compreso tre sezioni principali, collegate da incroci extraterritoriali; lo Stato arabo avrebbe avuto anche un'enclave a Giaffa. In considerazione dei loro significati religiosi, l'area di Gerusalemme, compresa Betlemme, fu assegnata a una zona internazionale amministrata dall'ONU.
Nel decidere su come spartire il territorio l'UNSCOP considerò, per evitare possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la necessità di radunare tutte le zone dove i coloni ebraici erano presenti in numero significativo (seppur spesso in minoranza [1]) nel futuro territorio ebraico, a cui venivano aggiunte diverse zone disabitate (per la maggior parte desertiche) in previsione di una massiccia immigrazione dall'Europa, una volta abolite le limitazioni imposte dal governo britannico nel 1939, per un totale del 56% del territorio.
La situazione sarebbe dunque stata[59]:
Territorio | Popolazione araba | % Arabi | Popolazione ebraica | % Ebrei | Popolazione totale | |
---|---|---|---|---|---|---|
Stato Arabo | 725 000 | 99% | 10 000 | 1% | 735 000 | |
Stato Ebraico | 407 000 | 45% | 498 000 | 55% | 905 000 | |
Zona Internazionale | 105 000 | 51% | 100 000 | 49% | 205 000 | |
Totale | 1 237 000 | 67% | 608 000 | 33% | 1 845 000 | |
[60] |
(oltre a questo era presente una popolazione beduina di 90 000 persone nel territorio ebraico).
Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici, inclusa l'Agenzia ebraica e la maggioranza della popolazione ebraica l'accettarono, pur lamentando tuttavia la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo Stato ebraico. Gruppi ebraici più estremisti, come l'Irgun e la Banda Stern, la rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che era considerata "la Grande Israele" e al controllo internazionale di Gerusalemme (il giorno seguente Menachem Begin, comandante dell'Irgun, proclama: "La divisione della Palestina è illegale. Gerusalemme è stata e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel verrà reso al popolo di Israele, in tutta la sua estensione e per sempre").
Tra i gruppi arabi la proposta fu rifiutata, ma con diverse motivazioni: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno Stato ebraico, altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba (oltre al fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea, quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona), altri ancora erano contrari per via del fatto che a quella che per ora era una minoranza ebraica (un terzo della popolazione totale) fosse assegnata la maggioranza del territorio (ma la commissione dell'ONU aveva preso quella decisione anche in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall'Europa dei reduci delle persecuzioni della Germania nazista). L'Alto Comitato Arabo, organo rappresentativo dei Palestinesi, respinge la risoluzione, accompagnando la decisione con tre giorni di sciopero e sommosse antiebraiche.
Il Regno Unito, che negli anni trenta durante la Grande Rivolta Araba aveva già tentato diverse volte senza successo di spartire il territorio tra la popolazione araba preesistente e i coloni ebrei in forte aumento, si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948.
All'inizio del 1948, cinque mesi prima dello scoppio delle ostilità con gli Stati arabi, l'Haganah ha già predisposto un articolato piano di difesa attiva (aggressive defense), oggi noto come "Piano D", diretto al controllo dei territori palestinesi che le Nazioni Unite avevano assegnato agli ebrei, anche impossessandosi di punti strategici originariamente destinati agli arabi. Di esso fornisce un'efficace sintesi lo storico israeliano Avi Shlaim:
«L'obbiettivo del Piano D era quello di assicurarsi il controllo di tutte le aree attribuite alla risoluzione di spartizione delle Nazioni Unite allo Stato ebraico, degli insediamenti ebraici al di fuori di queste aree e dei corridoi di collegamento che conducevano a queste ultime, in modo da fornire una base territoriale solida e continua alla sovranità ebraica. L'originalità e l'audacia del Piano D trovavano fondamento nell'ordine di conquistare villaggi e città arabe, qualcosa che l'Haganah non aveva mai tentato prima. Benché la formulazione del Piano D fosse piuttosto vaga e indeterminata, il suo scopo era quello di sgombrare l'interno del paese dagli elementi arabi ostili o potenzialmente ostili e in tal senso, quindi, il piano autorizzò l'espulsione delle popolazioni civili. Mettendo in esecuzione il Piano D tra l'aprile e il maggio del 1948, l'Haganah contribuì quindi in modo diretto e decisivo alla nascita del problema dei rifugiati palestinesi. Sotto l'impatto dell'offensiva militare ebraica lanciata in aprile, la società palestinese si disintegrò e cominciò il proprio esodo. Molte furono le cause di quest'ultimo, inclusa l'anticipata partenza dei leader palestinesi quando le condizioni di vita cominciarono a peggiorare, ma la ragione principale fu la pressione militare ebraica. Il Piano D non era un programma politico diretto all'espulsione degli arabi di Palestina, ma un piano militare con obbiettivi tattici e territoriali. Sta di fatto che, comunque, ordinando la conquista delle città arabe e la distruzione dei villaggi, il Piano D permise e giustificò l'espulsione forzata delle popolazioni civili arabe. Verso la fine del 1948, il numero di rifugiati palestinesi era cresciuto fino a raggiungere circa le 700.000 unità.»
Nel mese di maggio Ben Gurion rifiutò una proposta americana per un "cessate il fuoco" incondizionato e l'allungamento del mandato britannico di altri dieci giorni, il tempo necessario per il negoziato con la Lega Araba. Il leader sionista impose al Consiglio di Stato provvisorio israeliano di proseguire in una politica di totale indipendenza da ogni forma di mediazione esterna, e il 14 maggio lesse la Dichiarazione d'indipendenza dello Stato ebraico in Palestina - Medinat Israel (senza nessuna indicazione dei confini, lasciando così aperta la possibilità di espansione oltre la linea stabilita dalle Nazioni Unite).
Guerra arabo-israeliana del 1948
modificaIl 15 maggio le truppe britanniche si ritirarono definitivamente dai territori del Mandato, lasciando campo libero alle forze ebraiche e arabe. Lo stesso giorno gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Libano e Iraq attaccarono il neonato Stato di Israele. Il segretario generale della Lega araba 'Abd al-Rahmān 'Azzām Pascià annunciò "una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei Mongoli e delle Crociate". Nel mese di giugno le Nazioni Unite proposero una tregua, che Israele utilizzò per riorganizzarsi e aumentare la leva militare. Il giorno 27 il mediatore dell'ONU, Folke Bernadotte, presentò una proposta di accordo che venne rifiutata da entrambe le parti. Il 17 settembre il diplomatico svedese venne assassinato dai terroristi sionisti del Lehi.[55] L'offensiva venne bloccata dal neonato esercito israeliano (Tzahal) e le forze arabe furono costrette ad arretrare, e mentre queste ultime riuscirono a occupare solo minime parti della Palestina (la Striscia di Gaza e la Cisgiordania), le forze armate israeliane occuparono la gran parte del territorio che era stato sotto il Mandato britannico.
La guerra, che terminò con la sconfitta araba nel maggio del 1949, creò quello che resterà la causa degli scontri successivi: circa 700 000 profughi arabi, in gran parte fuggiti dagli orrori della guerra e in parte indotti o costretti ad abbandonare le loro proprietà dai vincitori del confronto[senza fonte]. A essi sarà impedito il ritorno nello Stato d'Israele, il che è in diretto contrasto con l'articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo [2]. Non fu permesso il loro ingresso nei territori degli Stati arabi confinanti che intendevano in modo tale seguitare a mantenere una pressione psicologica e morale su Israele e gli Stati che ne appoggiavano l'iniziativa.[senza fonte]
La guerra del 1948, chiamata in Israele "Guerra d'indipendenza", è considerata una sorta di mito fondativo nello Stato ebraico. Si è spesso posto l'accento sulla forte disparità di forze tra il piccolo Stato d'Israele e le sette potenze arabe. Nuove statistiche hanno messo in dubbio tale disparità, almeno sotto il profilo del numero dei combattenti: allo scoppio del conflitto, quelli arabi sarebbero stati all'incirca 25 000, tra regolari e no, contro 35 000 israeliani. Entro il mese di luglio, la mobilitazione israeliana aveva raggiunto le 65 000 unità, e alla fine dell'anno si arrivò ai 96 400. Sul fronte opposto, le forze rimasero sempre circa la metà di quelle israeliane. Peraltro, mentre gli arabi schierarono subito forze organizzate, dotate di mezzi corazzati, aerei e artiglieria e con militari di buona qualità (soprattutto nel caso della Legione araba transgiordana) gli israeliani disponevano, almeno nelle prime fasi della guerra, solo di armi leggere e di personale che era stato, in larga parte, addestrato in maniera sommaria. Un grave svantaggio per la Lega Araba fu la mancanza di ogni coordinamento e piano strategico, cosa che consentì agli israeliani di affrontare i paesi arabi uno alla volta.[senza fonte]
L'armistizio di Rodi, non sottoscritto dall'Iraq, pur rappresentando una tregua, non rappresentò una soluzione del problema. Nel testo dell'armistizio si legge infatti che la linea di cessate il fuoco (la cosiddetta Linea Verde) "è una linea d'armistizio che non deve in alcun modo essere considerata un confine di Stato in senso politico o territoriale e non pregiudica i diritti, le aspirazioni e le posizioni delle parti riguardo all'assetto futuro del contenzioso". Con questa dichiarazione gli Stati arabi resero palese il rifiuto di riconoscere l'esistenza di Israele.
Né l'Egitto né la Transgiordania si adoperarono per la creazione dello Stato arabo di Palestina. La parte di Gerusalemme controllata dalla Transgiordania fu interdetta agli Ebrei mentre alcune sinagoghe e luoghi di culto furono profanati e saccheggiati. Israele annetté la parte settentrionale della Palestina che fu da essa chiamata Galilea e altri territori a maggioranza araba conquistati nella guerra, corrispondenti a un ulteriore 26% dell'originale Mandato britannico per la Palestina. Conseguentemente 160 000 arabi acquistarono la cittadinanza israeliana per restare nelle loro case, conquistando anche il diritto di voto. Furono però sottomessi - a differenza dei cittadini ebrei - alla legge militare fino al 1966. Durante questo periodo fu loro espropriata gran parte della terra [3] Archiviato il 3 aprile 2007 in Internet Archive. Fu comunque una situazione più positiva rispetto a quella dei 726 000 loro compatrioti, costretti all'esilio da apolidi. Nei territori sotto il controllo giordano ed egiziano, 17 000 ebrei vennero cacciati dalle proprie case e dal quartiere ebraico di Gerusalemme Vecchia.
Negli anni immediatamente successivi, dopo che il 5 luglio 1950 la Knesset aveva votato la Legge del Ritorno - che garantiva il diritto a tutti gli ebrei di immigrare in Israele, abolendo tutte le limitazioni imposte dal Libro Bianco britannico - una massa di circa 850 000 ebrei fuggì dai paesi arabi all'interno dei quali avevano seguitato a vivere in crescente situazione di difficoltà, di discriminazione e talora a rischio stesso della propria incolumità. Circa 600 000 di loro arrivarono in terra d'Israele e nell'arco di tre anni la popolazione, che in un primo censimento contava circa 850 000 persone, raddoppiò costringendo il governo a imporre un regime di forte austerità e di razionamento dei generi di prima necessità. Nello stesso anno, il neonato Regno di Giordania annetté amministrativamente la Cisgiordania e, unico tra gli Stati arabi, concesse la cittadinanza ai numerosi palestinesi ivi residenti.
Gli anni che vanno dal 1948 al 1954 videro vari tentativi di porre fine al problema dei profughi: alcuni proposte giunsero da Israele, mentre ad altre Israele si oppose. Ad esempio Israele propose il ritorno di circa 100 000 palestinesi, cercando di concordare l'assorbimento dei restanti da parte dei paesi arabi confinanti, ma nel dicembre del 1948 Israele si rifiutò di attuare la richiesta dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di concedere il diritto di ritorno ai profughi palestinesi fuggiti in seguito ai disordini del 1947. Tutti i tentativi di accordo si arenarono, per un motivo o per l'altro. Israele, comunque, per motivi di ricongiungimento familiare concesse circa 70 000 permessi di rientro a palestinesi.
Dopo l'assassinio nel 1951 di re ʿAbd Allāh di Giordania da parte di un oppositore palestinese contrario alle voci alle aperture del sovrano verso Israele, il ministro israeliano David Ben Gurion nel 1955 dichiarò: "Se vi è un qualunque statista arabo disposto a parlare con me per migliorare le nostre relazioni, sono pronto a incontrarlo in qualunque luogo e momento".
Guerra per il Canale di Suez
modificaNel 1952 in Egitto un colpo di Stato portò al potere i Liberi Ufficiali del generale Muhammad Neghib e del colonnello Jamāl ‘Abd al-Nāsir. Nel 1954, sotto la protezione egiziana, nacquero i gruppi (terroristici o partigiani, a seconda dei punti di vista) dei cosiddetti fidā'iyyīn che portarono a compimento centinaia di incursioni armate in territorio israeliano. Nel 1956 l'Egitto bloccò il golfo di Aqaba e nazionalizzò il canale di Suez impedendone il passaggio alle navi israeliane. Francia e Regno Unito, che ne avevano il controllo e che controllavano il pacchetto azionario della Compagnia del Canale, strinsero accordi segreti con Israele per riprenderne il controllo. L'esercito israeliano attaccò le forze egiziane e raggiunse il canale di Suez attaccandolo con i gruppi di paracadutisti comandati da Ariel Sharon. Sotto le pressioni dell'ONU, con il consenso di Francia e Regno Unito, nel 1957 Israele si ritirò dal Sinai a patto che l'ONU inviasse una forza di interposizione a difesa del confine con l'Egitto.
All'inizio della guerra del 1956, Israele estese il coprifuoco (fino ad allora solo notturno) nei villaggi arabi sul confine giordano; all'epoca i palestinesi cittadini di Israele erano sottoposti alla legge militare. A Kafr Qasim, la polizia di frontiera, il cui capo era Malinki, a sua volta sotto il comando di Shadmi, colonnello dell'esercito, sparò ai contadini che ritornavano dai campi, e che non erano stati informati dell'estensione del coprifuoco; ne uccise 48. Per le proteste del Partito Comunista israeliano, fu intrapreso un processo; otto persone, fra poliziotti e soldati, furono condannati per omicidio. Malinki e Dahan, il comandante del plotone che aveva sparato, furono condannati rispettivamente a 17 e 15 anni di carcere. Shadmi fu condannato al pagamento di una monetina per aver esteso il coprifuoco senza permesso. Tutti i condannati al carcere furono liberati l'anno successivo; Malinki e Shadmi furono promossi [senza fonte].
Gli anni successivi videro la popolazione israeliana raggiungere i due milioni di persone (1958) mentre un colpo di Stato in Iraq portò alla morte di re Faysal II e a una svolta filo-sovietica nella politica del Paese. Nel 1959 l'URSS vietò l'emigrazione ai suoi cittadini di religione israelitica. Nello stesso anno nacque il gruppo armato palestinese al-Fath che nel proprio statuto riporta: "qualunque trattativa che non si basi sul diritto di annientare Israele sarà considerata alla stregua di un tradimento".
Nel 1962 gli ebrei poterono emigrare dal Marocco, permettendo a circa 80 000 persone di raggiungere Israele.
Nel maggio del 1964 venne fondata l'OLP con il benestare degli Stati arabi. Lo statuto proclama la necessità di distruggere Israele con la lotta armata, come obiettivo strategico della nazione araba nel suo complesso.
Guerra dei sei giorni
modificaIl 22 maggio del 1967, quando le truppe ONU ebbero completato il ritiro dall'Egitto (imposto da Nasser), il Presidente Jamāl ‘Abd al-Nāsir dichiarò che la questione Per i paesi arabi non riguarda la chiusura del porto di Eilat, ma il totale annientamento dello Stato di Israele.
Il 5 giugno del 1967 scoppiò la guerra dei sei giorni: le forze israeliane guidate dal Ministro della Difesa Moshe Dayan e dal Generale Yitzhak Rabin iniziarono le ostilità attaccando simultaneamente quelle egiziane, giordane e siriane e distruggendo a terra l'intera aviazione dei tre Paesi. Israele offrì al governo giordano la possibilità di non essere coinvolto ma i cannoneggiamenti su Gerusalemme decretarono il rifiuto giordano.
In sei giorni di guerra Israele occupò il Sinai e le alture del Golan, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Gerusalemme venne riunificata quando nella sua popolazione di 250 000 abitanti ben 180 000 erano ebrei.
Il Primo Ministro israeliano Levi Eshkol dichiarò che i territori della Cisgiordania sarebbero restati sotto il controllo israeliano sino a quando i Paesi arabi avessero continuato a progettare la distruzione dello Stato di Israele. Il 1º settembre la Lega Araba, riunita in Sudan, espresse tre no: "no al riconoscimento di Israele, no al negoziato con Israele, no alla pace con Israele".
La "guerra dei sei giorni" fu anche l'evento grazie al quale Israele attirò l'attenzione degli Stati Uniti, tanto da riuscire ad attirare il 50% degli aiuti economici complessivamente forniti dagli USA alle nazioni estere, senza tener conto delle abbondanti e aggiornate forniture tecnologiche e militari. In molte note governative USA si individuava come il principale pericolo per gli Stati Uniti in Vicino e Medio Oriente il nazionalismo arabo, in grado di portare a tendenze autonome e antioccidentali gli Stati di una regione fortemente strategica per l'economia mondiale. La sconfitta che Israele inflisse a Jamāl ‘Abd al-Nāsir fece sì che Israele diventasse, in quanto fedele alleato, un ottimo avamposto statunitense nella regione.
Il 22 novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottò la risoluzione n. 242 per ristabilire la pace nei Territori Occupati e per il ritorno ai confini antecedenti la guerra del 1967. Israele annetté però Gerusalemme Est, in violazione alla risoluzione, e proclamò la città riunificata sua capitale. Nonostante il prodigarsi dell'inviato ONU Gunnar Jarring, non fu possibile intavolare trattative per il rifiuto posto dai Paesi arabi a trattative dirette con il governo israeliano.
Nel 1968 iniziarono gli attentati terroristici palestinesi al di fuori di Israele. Nel settembre 1970, dopo il dirottamento di quattro aerei nell'aeroporto giordano di Zarqa (dove furono poi fatti esplodere), il re di Giordania scatenò una repressione militare colpendo le organizzazioni palestinesi che s'erano mostrate restie a piegarsi alla sovranità della legge giordanica, legittimando così il nome che una parte di esse si dette di Settembre Nero.
Nel 1972 un gruppo di Settembre Nero sterminò la squadra israeliana che stava partecipando alle Olimpiadi di Monaco.
Guerra dello Yom Kippur
modificaNel 1973, il 6 ottobre, giorno in cui si celebrava la cerimonia più sacra del calendario ebraico, lo Yom Kippur, gli eserciti di Siria ed Egitto, con l'appoggio di minime unità saudite, irachene, kuwaitiane, libiche, marocchine, algerine e giordane, attaccano i confini israeliani. L'esercito israeliano e la popolazione civile è colta di sorpresa ma, dopo una resistenza di otto giorni, durante il quale si organizza il contrattacco, l'esercito contrattacca con efficacia, superando le linee egiziane e accerchiando la III Armata egiziana. Quando l'11 novembre l'esercito israeliano è a 100 chilometri in linea d'aria dal Cairo e a 30 da Damasco, i Paesi arabi accettano di cessare il fuoco.
La conferenza di pace che si tenne a Ginevra, sotto l'egida dell'ONU, e in forza della risoluzione n. 338 che invitava ad applicare la precedente risoluzione n. 242, viene aperta e aggiornata sine die per il nuovo rifiuto dei rappresentanti arabi a trattare direttamente con quelli israeliani.
Nel frattempo gli Stati arabi produttori di petrolio (OPAEC) dichiarano l'embargo verso i paesi che si dimostreranno troppo tiepidi nei confronti di Israele. La crisi economica che deriva dalla vertiginosa crescita dei prezzi del petrolio spinge numerose organizzazioni sovranazionali, tra cui la Comunità economica europea ad adottare mozioni contrarie alla politica di Israele e di condanna dell'ideologia del sionismo.
Gli attentati di alcune formazioni terroristiche palestinesi non cessano. Il 31 dicembre 1973 un'azione all'aeroporto di Fiumicino (Roma) provoca 31 morti.
Nel 1974 l'opera dell'allora Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger porta al ritiro di Israele dai territori egiziani e siriani occupati durante la guerra del Kippur.
Il 14 ottobre l'ONU attribuisce all'OLP lo status di rappresentante del popolo palestinese. L'OLP ribadisce la sua volontà di cancellare Israele mentre lo Stato ebraico rifiuta di trattare con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e il suo leader Yasser Arafat. Il 22 novembre l'Assemblea Generale dell'ONU riconosce ai palestinesi il diritto a far valere la sovranità sulla Palestina "con ogni mezzo". Vista la schiacciante maggioranza rappresentata dai paesi arabi, dai paesi non allineati e da quelli del Patto di Varsavia, numerose sono le risoluzioni anti-israeliane. Tra esse l'esclusione di Israele dall'UNESCO e la sospensione di qualsiasi piano di aiuti e collaborazione.[senza fonte] Il 10 ottobre 1975 la risoluzione ONU n. 3379 equipara il sionismo al razzismo. Questa risoluzione verrà abrogata nel 1991.
Il 30 marzo 1976 le forze di sicurezza israeliane uccidono sei cittadini arabi che manifestano contro l'esproprio di terreni e la distruzione di case [4].
Operazione Entebbe
modificaIl 4 luglio 1976 avviene un'operazione non concordata delle truppe speciali israeliane in territorio ugandese, all'aeroporto di Entebbe, per liberare i passeggeri (in maggioranza israeliani) di un aereo dell'Air France che era stato dirottato il 27 giugno da terroristi e qui tenuti in ostaggio. L'operazione si concluse con la liberazione di 256 dei 260 passeggeri, tre morirono durante l'operazione e uno fu assassinato all'ospedale di Entebbe.
Disgelo con l'Egitto e l'instabilità del Libano
modificaNel novembre 1977, il Presidente egiziano Anwār al-Sādāt rompe 30 anni di ostilità visitando Gerusalemme su invito del Primo Ministro israeliano Menachem Begin. Iniziarono così reali politiche di pace, che furono oggetto di intense meditazioni all'interno della leadership israeliana[61].
Sadat riconobbe a Israele il diritto di esistere come Stato e iniziarono i negoziati tra Egitto e Israele. Nel settembre 1978 il Presidente statunitense Jimmy Carter invitò Sadat e Begin per un incontro a Camp David.
La pace viene firmata il 26 marzo 1979 tra i due a Camp David e in base a essa Israele restituì il Sinai all'Egitto nell'aprile 1982. Nel 1989 i due governi si accordano per lo status della città di Taba, nel golfo di Aqaba.
Nel 1976 le truppe siriane invadono il Libano per metter fine alla guerra civile in atto da lunghi anni. In questo paese si erano rifugiate cellule terroristiche palestinesi dopo la cacciata dalla Giordania e, nel 1981, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) lanciò attacchi contro postazioni militari settentrionali israeliane, al confine con il Libano. Simultaneamente si scontrano contro le forze cristiano-maronite libanesi.
La risposta di Israele si ebbe nel 1982 con l'invasione del Libano. L'esercito israeliano occupò tutta la parte meridionale del Libano, per poi ritirarsi entro una fascia di sicurezza di 10 miglia lungo il confine, all'interno del territorio libanese, che affidò alla sorveglianza di un "Esercito del Sud-Libano" affidato a elementi maroniti a essa fedeli, e che mantenne fino al 2000.
In questo contesto, non fermati dall'esercito israeliano, gruppi di cristiani maroniti libanesi vendicano l'assassinio del Presidente libanese Amīn Giumayyil che aveva firmato un accordo di pace con Israele e che si sospettava avesse precise responsabilità per aver consentito al maronita Elias Hobeyka e all'Esercito del Sud-Libano trasferito a tale scopo dal Sud del Libano, di massacrare indisturbato la popolazione palestinese dei campi-profughi (in realtà quartieri di Beirut) di Sabra e Chatila, sotto il controllo militare israeliano. Un'inchiesta voluta dalla Corte Suprema israeliana inchioderà alle proprie responsabilità i comandanti militari locali e il Capo di Stato Maggiore, pur non potendo dimostrare la diretta responsabilità dell'allora ministro della Guerra Ariel Sharon, lo costrinse tuttavia alle dimissioni dalla carica, anche se il Governo gli attribuì subito un altro dicastero di minore importanza (fu poi eletto primo ministro nel 2001). La reputazione dello Stato ne resterà macchiata indelebilmente.[senza fonte]
Prima intifada
modificaNel 1988 re Husayn di Giordania rinuncia alla sua "tutela" sul territorio cisgiordano. Nell'agosto, il movimento integralista e terrorista Hamas dichiara il Jihād contro Israele, dando inizio a quella che sarà chiamata la prima Intifada.
Gli attentati in Israele e all'estero non si placano. Nel frattempo crolla il regime comunista dell'URSS, termina la guerra tra Iraq e Iran, si svolge la Prima guerra del Golfo contro l'Iraq. Il Libano firma un accordo di pace con la Siria e procede al disarmo di tutti i gruppi armati con l'eccezione degli Hezbollah filo-siriani e anti-israeliani.
Nel settembre del 1993, quello che agli occhi degli osservatori meno attenti sembrava imprevedibile accade[senza fonte]: Arafat, a nome del popolo palestinese, riconosce lo Stato di Israele e accetta il metodo del negoziato, rinunciando all'uso della violenza e impegnandosi a modificare in questo senso lo Statuto (Carta Nazionale Palestinese) dell'OLP. Il Primo Ministro israeliano Rabin, a nome di Israele, riconosce l'OLP come rappresentante del popolo palestinese.
Il 13 settembre, dopo mesi di trattative, Rabin e Arafat firmano alla Casa Bianca, davanti al presidente USA Clinton, una Dichiarazione di Principi in cui si delinea il quadro per una soluzione graduale del conflitto. Dovrebbe essere questo il punto finale della prima intifada, ma Israele continua a costruire colonie e strade per collegarle (bypass roads) nei Territori Occupati. Per gli accordi di Oslo, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania costituiscono una sola unità territoriale, ma Israele non tiene fede alla promessa di costruire un collegamento fra le due. Questo danneggia l'economia palestinese, impedisce agli appartenenti alla stessa famiglia di incontrarsi e agli studenti di Gaza di frequentare l'università in Cisgiordania. Nei Territori Occupati vigono due sistemi di leggi: uno per i coloni, uno per i palestinesi. Israele continua nella politica di distruggere le case palestinesi costruite senza permesso (e rilascia i permessi di costruzione molto di rado).
Dal 1993 è imposta una chiusura generale ai Territori Occupati, ciò che costituisce una grave violazione dei diritti umani.[62] I palestinesi, che prima costituivano buona parte della forza lavoro in Israele, ora necessitano di un permesso per recarsi in territorio israeliano e a Gerusalemme Est. Questo ha grandemente incrementato la disoccupazione nei Territori Occupati, impedendo inoltre ai palestinesi di accedere agli ospedali e ai luoghi santi, per cristiani e musulmani, di Gerusalemme Est. La necessità di un permesso per accedere alla città, che Israele nega a buona parte di coloro che lo richiedono, impedisce inoltre ai palestinesi di trarre frutto dal turismo gerosolimitano. Lo stillicidio di attentati non si ferma.
Il 30 settembre del 1994 la Lega Araba pone fine all'embargo contro Israele e i suoi alleati. Il 26 ottobre viene firmato l'accordo di pace tra Israele e Giordania. Nel 1995 si ha la firma della seconda parte degli Accordi di Oslo, che porta alla nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese e della polizia palestinese. Il 4 novembre dello stesso anno, il primo ministro Yitzhak Rabin viene assassinato da un estremista conservatore israeliano. Ai suoi funerali prenderanno parte anche alcuni leader dei paesi arabi. Shimon Peres assume l'incarico di Primo Ministro.
Alle elezioni israeliane del 1996 risulta vincente il Likud e il 18 giugno Benjamin Netanyahu viene eletto Primo Ministro, ma gli scontri e gli attentati continuano. Nel 1997, in attuazione degli accordi, le forze di difesa israeliane si ritirano dai Territori palestinesi occupati e il 95% della popolazione palestinese passa sotto il controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese. Tuttavia, Netanyahu non rispetta gli accordi per quanto riguarda la politica di insediamento di coloni israeliani nei Territori Occupati e ciò favorisce il perdurare di uno stato di continua tensione. Nel 1999, il laburista Ehud Barak viene eletto Primo Ministro, alla testa di una coalizione guidata dal suo partito (MAPAM-MAPAI), e viene dato un nuovo impulso al processo di pace con Palestina e Siria.
Seconda intifada
modificaNel maggio del 2000, le forze israeliane si ritirano dalla zona di sicurezza del Libano meridionale. Nel luglio dello stesso anno, nella residenza presidenziale di Camp David, con la mediazione del Presidente statunitense Bill Clinton, Barak e Arafat si incontrano per far ulteriormente avanzare le trattative, ma il leader palestinese rifiuta quella che sino ad allora era stata l'offerta più vantaggiosa sottopostagli, per l'impossibilità di trovare un accordo sul territorio dello Stato di Palestina, sullo status di Gerusalemme e sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Barak offre ad Arafat il 100% della Striscia di Gaza e il 73% della Cisgiordania. In base a questa offerta, in 10-25 anni il 73% della Cisgiordania destinato allo Stato di Palestina si tramuterebbe nel 90-91%, mantenendo Israele il controllo del territorio cisgiordano in cui sono situate gran parte delle colonie[63]; in cambio di questo territorio, Israele cederebbe parte del deserto del Negev[64]. Un altro problema irrisolto è quello dell'acqua, siccome Israele tiene sotto il suo controllo tutta l'acqua di Cisgiordania.[65]
A settembre, il leader del partito di destra Likud Ariel Sharon, in quel momento all'opposizione, compie una "passeggiata" pubblica e preannunciata, alla spianata delle moschee di Gerusalemme, massicciamente scortato da un migliaio di militari israeliani. La "passeggiata" è vista come una provocazione e causa veementi proteste palestinesi. Sharon infatti proclama Gerusalemme Est territorio eternamente parte d'Israele, mentre di fatto da molti osservatori "neutrali" esso appare territorio illegalmente occupato. Le proteste vennero duramente represse e, durante la prima settimana, 61 palestinesi furono uccisi e 2 657 sono feriti. All'inizio dell'ottobre del 2000, la polizia israeliana uccide anche dodici palestinesi cittadini di Israele e un palestinese della Striscia di Gaza, disarmati, nel corso di dimostrazioni in solidarietà con i palestinesi dei Territori Occupati.[66]
Inizia quella che verrà chiamata la seconda intifada.
Alle dimissioni del Primo Ministro Barak seguono elezioni che portano a capo del governo Ariel Sharon.
Nel 2001 Israele distrugge il porto di Gaza, costruito dalla cooperazione franco-olandese.[67] Per gli attacchi israeliani, nel dicembre del 2001 nella Striscia di Gaza si chiude anche l'aeroporto, pure questo costruito grazie ai fondi della cooperazione internazionale.[68]
Nonostante i numerosi tentativi di cessate il fuoco, gli attentati non si arrestano e, a giudizio di alcuni, il leader palestinese non darà mai l'impressione di essere in grado di controllare i gruppi terroristici palestinesi. Nel dicembre del 2001 Sharon dichiara di non voler più sostenere alcuna trattativa con Yasser Arafat, essendo ormai quest'ultimo non più in grado di esercitare alcun controllo.
Dal 2000 al 2004 Israele distrugge più di 3 000 case nei Territori Occupati. Nella sola Gaza, 18 000 palestinesi divengono dei senzatetto.[69]
Nel 2004, la scomparsa del Presidente palestinese apre la strada, a dire di Israele, a una nuova trattativa di pace. Le elezioni che si tengono in Palestina portano alla carica di Primo Ministro Maḥmūd ‘Abbās (Abū Māzen).
Israele sta costruendo un muro di separazione, sostenendo che serve per difendersi dagli attacchi kamikaze. Secondo la Corte internazionale di giustizia è illegale perché viola i diritti umani: questa ha infatti giudicato che il tracciato del Muro corrisponde a un'annessione de facto di territorio palestinese, e che costituisce una misura sproporzionata rispetto alle legittime esigenze di autodifesa di Israele, peggiorando ulteriormente le condizioni di vita dei palestinesi. Per raggiungere i loro campi, se questi sono dall'altra parte del Muro, questi devono passare da cancelli, controllati dall'esercito israeliano e aperti giornalmente per periodi limitati. Tuttavia, talvolta i cancelli restano chiusi; questo porta alla perdita del raccolto. Israele sostiene invece che, ove la barriera è stata costruita, ha ridotto in modo netto gli attacchi suicidi.
Per costruire la barriera sono stati eradicati, fino al 2004, più di 100 000 olivi e alberi da frutta di proprietà di palestinesi. Il villaggio di Qalqilyia è quasi interamente circondato dal Muro, e i palestinesi che vi vivono necessitano di un permesso da parte di Israele per raggiungere i loro campi; un terzo dei pozzi del villaggio sono situati al di là della barriera.
I palestinesi che vivono fra il Muro e la Linea Verde devono richiedere a Israele un permesso per continuare a vivere nelle loro case, oltre ad avere gravi difficoltà a raggiungere il posto di lavoro o la scuola.[70] Raggiungere i principali ospedali, siti a Gerusalemme Est, è diventato molto difficile.
Nell'agosto 2005 Israele ha abbandonato alcune colonie della parte settentrionale della Cisgiordania e tutte le proprie colonie nella Striscia di Gaza. Ciononostante, continua a controllare la Striscia di Gaza dal cielo e dal mare, nonché la maggior parte degli accessi via terra. Anche per la CIA, quindi, la Striscia di Gaza resta territorio occupato.[71] Israele limita agli abitanti di Gaza la possibilità di pescare, limitandola a sole sei miglia dalla costa; questo aumenta la disoccupazione e la fame, contribuendo a rendere i palestinesi dipendenti dall'aiuto umanitario.[72]
Sono rimasti occupati da insediamenti abitativi e industriali israeliani circa 157 chilometri quadrati della Cisgiordania. Secondo uno studio della stimata organizzazione israeliana Pace Adesso il 38% di queste terre appartenevano a privati palestinesi; questo studio non è stato smentito http://www.peacenow.org.il/site/en/peace.asp?pi=62&docid=2137&pos=2. URL consultato il 12 aprile 2018 (archiviato dall'url originale il 25 giugno 2007). Per difendere le colonie, ci sono ora in Cisgiordania più di 500 posti di blocco, che dividono la regione in tre parti, fra le quali il movimento è per i palestinesi molto difficile Son costrette ad attendere anche le ambulanze: fra il 2000 e il 2005 più di 60 donne hanno partorito ai posti di blocco, ciò che ha causato la morte di 36 neonati. URL consultato il 15 aprile 2007 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2007)..
Le autostrade che connettono le colonie a Israele, pur essendo presentate come infrastrutture costruite a beneficio di tutta l'area dei territori occupati, per via del loro percorso sono in massima parte riservate al traffico israeliano; i palestinesi hanno il permesso di transitare per strade con una carreggiata molto minore e sulla vecchia rete stradale, carente di manutenzione.[73]
Israele controlla le falde idriche in Cisgiordania, attribuendo agli israeliani 350 litri di acqua al giorno, ai coloni quantità ancora superiori, e ai palestinesi non più di 80 litri al dì. Per l'Organizzazione Mondiale della Sanità, sono necessari almeno 100 litri di acqua al giorno pro capite. Nel 2005, la costruzione del Muro aveva già distrutto 50 pozzi e 200 cisterne, proprietà di palestinesi [5].
Israele ha affermato di non aver costruito nuove colonie dal 1992, limitandosi a espandere quelle già esistenti. Nel solo 2006, il numero dei coloni israeliani in Cisgiordania è aumentato del 5,8%.[74] Le colonie sono tutte illegali, per la legge internazionale. Alcune sono illegali anche per la legge israeliana, ma pure da queste i coloni sono allontanati molto di rado[75] [6].
Dopo la morte, per motivi non accertati, del presidente Arafat, i palestinesi hanno eletto un nuovo parlamento, in elezioni universalmente giudicate libere. Poiché la maggioranza degli eletti è stata del partito Hamas, Israele, gli USA e l'Unione europea hanno imposto ai palestinesi un boicottaggio, che ha aumentato la disoccupazione, la fame e il deterioramento delle condizioni di salute degli abitanti dei Territori Occupati.[76] Nel 2006, 46 000 palestinesi hanno chiesto di poter emigrare. Si ipotizza che Israele, dove alcuni dei partiti propongono apertamente il transfer, vale a dire l'espulsione dei palestinesi, stia cercando di favorire un esodo 'volontario' dei medesimi.[77][78]
Guerra contro il Libano
modificaDopo che Hezbollah si era reso colpevole del lancio di missili verso Israele e di un attentato a una pattuglia di soldati israeliani, col quale provocava la morte di otto militari e la cattura degli unici due sopravvissuti, il 12 luglio 2006 Israele lanciò un'offensiva militare ai danni del Libano con l'obiettivo esplicitamente dichiarato di annientare Hezbollah; in risposta all'offensiva Hezbollah ha intensificato il lancio di missili in territorio israeliano, colpendo nei giorni successivi con razzi Katjuša importanti città del Nord d'Israele come Haifa, Nazaret e Tiberiade. I caccia con la Stella di David hanno bombardato diversi quartieri di Beirut, ritenuti roccaforti Hezbollah, provocando centinaia di morti e distruggendo le principali vie di comunicazione del paese, l'aeroporto della capitale e l'autostrada di collegamento con il confine siriano. Dopo dieci giorni di guerra la situazione precipitò e Israele iniziò a invadere via terra i territori del Sud del Libano, in quanto le condizioni poste dal leader israeliano Ehud Olmert, ovvero lo smantellamento di Hezbollah e il controllo del Sud del Libano da parte dello stesso esercito libanese non vennero poste in atto da Beirut e Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, annunciò che i suoi erano pronti alla guerra totale. Il 14 agosto 2006, alle 8 del mattino, venne applicata la risoluzione numero 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che prevedeva la sospensione immediata delle ostilità. La risoluzione, approvata il 10 agosto 2006 dopo una difficile trattativa in Consiglio di Sicurezza, arrivò dopo 34 giorni di guerra, che provocarono secondo le stime dei due governi 1 100 vittime libanesi e 154 israeliane.
Successivamente è stata avviata una missione di pace dell'ONU nel Sud del Libano con lo scopo di garantire la sicurezza del confine e di disarmare Hezbollah contemporaneamente al ritiro delle forze militari israeliane. Alla missione, non ancora conclusa, presero parte 7 000 caschi blu di Italia, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Spagna.
Fino a oggi, Israele non ha fornito all'ONU sufficienti dettagli tecnici per localizzare le bombe a grappolo che aveva lanciato durante la guerra; queste restano pertanto una minaccia per i civili.[79]
Note
modifica- ^
«L'importanza del territorio palestinese nel panorama degli studi sul Paleolitico medio è data tuttavia dal ritrovamento di fossili di Neandertaliani e di forme da alcuni definite protoCromagnonoidi, oltre al fenomeno legato alle sepolture in grotta (Skhul, Tabun e Qafzeh). Nel 1925, F. Turville-Petre esplorò due grotte sul Mar di Galilea mettendo in luce i primi depositi stratificati della Palestina con resti di fossili neandertaliani associati a Musteriano. Tuttavia si dovettero attendere altri tre anni per la prima serie di campagne sistematiche di scavo nelle grotte palestinesi (Skhul, Tabun) a opera di D. Garrod dell'Università di Cambridge, che si sarebbero prolungate fino al 1934 sotto gli auspici della British School of Archaeology di Gerusalemme e dell'American School of Prehistoric Research, portando tra l'altro alla scoperta di scheletri umani fossili completi e frammentari. Ricerche furono intraprese anche da R. Neuville in altre grotte della Palestina con la scoperta di nuovi fossili neandertaliani. In particolare le grotte sul Monte Carmelo scavate da Garrod, tra cui Skhul, Mugharet ez-Zuttiyeh nel Wadi el-Amud e Qafzeh, vicino a Nazareth, hanno prodotto una notevole quantità di dati»
- ^ I Dieci Martiri (Aseret Harugei Malchut עשרת הרוגי מלכות) sono un gruppo di dieci rabbini che vivevano al tempo della Mishnah e che furono martirizzati dai romani dopo l'assedio di Gerusalemme e la distruzione del Secondo Tempio.
- ^ While the Syrians and the Melchite Greeks ceased to observe the penance after the death of Heraclius; Elijah of Nisibis (Beweis der Wahrheit des Glaubens, translation by Horst, p. 108, Colmar, 1886) vedi " BYZANTINE EXPIRE."
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- ^ Palestinechronicle.com (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2007).
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- ^ Ynetnews.com.
Bibliografia
modifica- Michael D. Coogan (a cura di), The Oxford History of the Biblical World, New York, Oxford University Press, 1998, ISBN 978-0-19-513937-2.
- Christian Frevel, History of Ancient Israel, Atlanta, SBL Press, 2023.
- Theodor Herzl, Lo stato ebraico, Genova, Il Melangolo, 2003.
- Mario Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Roma-Bari, Laterza, 2003, ISBN 978-88-420-9152-3.
- Claudio Vercelli, Breve storia dello Stato di Israele (1948-2008), Roma, Carocci, 2008.
- Anita Shapira, Israel. A History, Waltham, Brandeis University Press, 2012.
- Alberto Soggin, Storia d'Israele dalle origini a Bar Kochba, Brescia, Paideia, 1984.
Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su storia di Israele
Collegamenti esterni
modifica- (FR) Histoire des Juifs (Storia dei Giudei). di Heinrich Graetz (1882-1897)
Controllo di autorità | LCCN (EN) sh85068697 · BNF (FR) cb119619077 (data) · J9U (EN, HE) 987007565404405171 |
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