Ardengo Soffici: differenze tra le versioni
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Nel [[1933]] esce il ''Taccuino d'Arno Borghi,'' un altro giornale di bordo, che raccoglie pagine belle e alcune impressioni rare ma senza particolare evoluzione di stile. Nel [[1948]] viene riordinato in volume l’''Itinerario inglese'' che era uscito nel [[1928]] sulla ''[[Gazzetta del Popolo]]'' e si giunge ''all'Autoritratto di un artista italiano nel quadro del suo tempo,'' che reca la data [[1951]]-[[1955]] e che si articola in quattro volumi: ''L'uva e la croce'', ''Passi tra le rovine'', ''Il salto vitale'' e ''Fine di un mondo'', nel quale Soffici, con una prosa discorsiva e familiare, narra i casi della sua [[vita]], dall'infanzia alla maturità, fino alla [[guerra]]. Per l'"Autoritratto" gli viene conferito il Premio Marzotto nel 1955.
=== Poetica ===
Soffici, più che un futurista vero e proprio, può essere considerato, come dice nel suo [[saggio]] [[Pier Vincenzo Mengaldo]], «un Apollinaire italiano in formato ridotto». Egli infatti era legato alle poetiche recenti per gusto di modernità [[Stile|stilistica]] come era d'uso a Parigi. Da Marinetti egli coglie la [[retorica]] e la tecnica dell'[[Analogia (retorica)|analogia]], da Apollinaire l'assenza di [[punteggiatura]], dalla pittura [[Cubismo|cubo]]-futurista gli accostamenti fantastici e dal nuovo [[cinema]] lo scorrere continuo delle [[Immagine|immagini]]<ref>''Storia della Letteratura italiana del Novecento'', a cura di [[Giacinto Spagnoletti]], Newton Compton, Roma 1994, p. 176</ref>. Soffici usa con estrema disinvoltura un forte plurilinguismo che va dal [[toscanismo]] al [[francesismo]], creando l'equivalente [[Lessico|lessicale]] della sua poetica. Una poetica che si può chiamare della simultaneità [[Spazio (fisica)|spaziale]] e [[tempo]]rale.
[[Antonio Gramsci]], che definì Soffici « un cafone senza ingenuità e spontaneità »,<ref>A. Gramsci, ''Quaderni del carcere'', 1 (XVI), 2007, p. 8.</ref> trovò il suo incompiuto ''Lemmonio Boreo'' una filiazione dal ''Jean-Cristopke'' di [[Romain Rolland]], con un piglio donchisciottesco solo esteriore e in realtà mancante di sostanza epico-lirica, « una coroncina di fatterelli, non un organismo ».<ref>A. Gramsci, ''Quaderni del carcere'', 7, 2007, p. 930.</ref>
== Opere ==
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