Filologia romanza: differenze tra le versioni

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== Definizione di "romanzo" ==
L’etimologia di ''romanzo'' e il significato profondo che esso comporta ha, come per il termine ''filologia'', una lunga storia. È evidente l’appartenenza alla stessa famiglia semantica dell’aggettivo ''romanus'' che, se inizialmente designava quei pochi appartenenti alle tre ''tribus'' di Roma, passò poi a designare chiunque, facendo parte dei domini imperiali, parlasse latino (gli stessi Greci di Costantinopoli erano Ῥωμαῖοι). Ma dopo le invasioni barbariche, l’aggettivo ''romanus'' comincia ad essere disprezzato e cade in disuso. Sopravvive perlopiù (o forse nasce) il termine volgare ''Romània'', attestato per la prima volta solo nel V secolo d.C. nel presbitero Paolo Orosio, il quale scrive che i barbari vogliono soprannominare ''Gothia'' la regione volgarmente chiamata ''Romania'', con ogni probabilità designante l’intero impero romano, o almeno ciò che un tempo era (Agostino, fra l’altro, chiamerà i Goti ''Romaniae eversores''). Tuttavia il concetto politico di ''Romània'', che persiste nell’Impero d’Oriente, viene sempre meno in Occidente, e alla fine il termine non designa che l’attuale Romagna, l’unico territorio della penisola settentrionale sfuggito agli imperatori tedeschi.
 
Aurelio Roncaglia sottolinea come, però, all’aggettivo ''romanus'' viene sostituito ''romanicus'', un altro aggettivo meno colto e letterario che dopo la disgregazione dell’Impero designa nella locuzione ''romanice parabolare''/''fabulare'' la lingua, o meglio le lingue che stavano nascendo dall’evoluzione del latino e che si opponevano alla lingua dei barbari. E così la parola ''romanice'' muta, diventa *''romance'' e viene attestata per la prima volta come ''romanz'' in francese antico. Dal concetto politico di ''romanus'' si passa dunque al concetto esclusivamente etnico-linguistico di ''romanicus'' e di ''Romània''. Con il tempo il ''romanice loqui'' di un territorio comincia a differenziarsi da quello di un altro, dando luogo a diverse lingue romanze con norme più o meno identificabili: nel ''Floovant'' ad es. l’autore riconosce diverse varietà linguistiche del ''romanz'' (“Da come parlate il romanzo mi sembrate francese”), o ancora Brunetto Latini afferma di scrivere in ''roumanç'' alla maniera dei francesi, sebbene lui sia italiano. Di qui la filologia moderna usa l’aggettivo ''romanzo'' nelle espressioni ''volgare romanzo'' e ''lingue romanze'', nel senso di “lingue neolatine”. In Italia comunque il sostantivo ''romanzo'' è utilizzato per indicare un genere letterario e non una lingua: per quest’ultima Dante e Boccaccio preferiscono utilizzare il termine ''volgare''. Dal termine francese ''romanz'' gli italiani formulano infatti ''romanzo'', indicante esclusivamente i componimenti scritti in volgare.
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Roncaglia passa in rassegna tutti i mutamenti morfologici e semantici della parola ''romanzo'' nel corso del tempo, che potremmo riassumere in tal modo:
 
romanicu(m) > romanice  >  *romance  >  romanz  >  romant  >  roman
 
Il termine ''romanice'', un tempo d’uso avverbiale, passa dunque al ''romanz'' nominale dell’antico francese indicante, come s’intende anche oggi in filologia, la lingua volgare senza alcuna specificazione di varietà territoriale (si evidenzia in particolare l’espressione ''mettre en romanz'', cioè “tradurre in lingua volgare”, “trasportare dal latino nel volgare” — attestata ad es. in C. de Troyes e Wace); e poi al “roman” del XII sec. come opera in volgare, soprattutto in versi nel XIII sec. (attestato per la prima volta senza equivocità in una traduzione francese dei proverbi di Salomone: ''test romanz'', “opera”); infine nel XIII-XIV sec. al ''roman'' come opera di gesta (ad es. la ''Chanson de Roland'' era chiamata ''Roumans de Ronsevaut''). La nascita del romanzo come genere letterario a sé avviene solo quando il componimento poetico non viene più scritto per essere cantato in pubblico (come l’opera di gesta) ma per essere letto ad alta o bassa voce, una innovazione in campo letterario che dalla Francia, culla del romanzo moderno, passa anche all’Italia.
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== Storia della filologia romanza ==
La filologia romanza studia le lingue e le letterature romanze o neolatine. Sebbene questa materia, a differenza della linguistica romanza, persegua soprattutto l’analisi dei testi letterari, come abbiamo più volte ribadito non può prescindere dall’indagine linguistica.
 
La filologia come disciplina a sé stante nasce in particolare nel [[XVIII secolo]] grazie al movimento culturale del [[Romanticismo]], e dunque in Germania. Padri fondatori della materia sono considerati, insieme a François Raynouard sul quale ci si soffermerà in seguito, i fratelli Schlegel, Friedrich (1772-1829) e Wilhelm (1767-1845), e Franz Bopp (1791-1867), le cui idee ebbero un potente influsso in tutti i paesi (prima fra tutti la Francia con gli studi di Claude Fauriel sulla poesia popolare e trobadorica e sull’epica medievale francese e sulla cavalleria). I primi studiarono i rapporti che intercorrono fra il greco, il latino e il germanico, classificando gli idiomi secondo il loro sistema morfologico (da loro la classificazione di lingue isolanti, agglutinanti e flessive). Bopp fece invece una classificazione genealogica, considerando affini le lingue derivanti da un idioma unico. E come le lingue indoeuropee sono affini perché continuazione di una lingua più antica, non attestata (appunto l’indoeuropeo), così le lingue romanze lo sono fra di loro in quanto continuazione del latino.
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=== Da Dante ai primi vocabolari ===
Già Dante Alighieri nel ''De vulgari eloquentia'' aveva osservato una certa affinità fra lingue romanze occidentali (le aveva classificate in lingue del Nord Europa, orientali e meridionali), ma per lui il latino restava una lingua artificiale, creata ''ex novo'' per le Lettere, grazie al consenso dei più. Lingue quali lo Spagnolo, il Provenzale, il Francese e l’Italiano sarebbero state invece la corruzione di un altro idioma ignoto. Questa concezione scomparve solo nel Rinascimento grazie ai grandi studi  umanistici, e soprattutto grazie a Poggio Bracciolini (1380-1459) che vide il latino come lingua non artificiale. È questo il periodo dei primi vocabolari e dei primi saggi della lingua: si ricordino in tutta Europa gli studi di Antonio de Nebrija (1446-1522) con il ''Vocabulario español-latino'', di Pietro Bembo (1470-1547) con le ''Prose della volgar lingua'', di Charles Du Cange (1610-1688) con il ''Glossarium mediae et infimae latinitatis'', di Gilles Ménage (1613-1692) con le ''Origini'' della lingua francese e della lingua italiana, di Gregorio Mayans y Siscar (1699-1781) con le ''Orígenes de la lengua española'', e di molti altri.
 
In particolare, nel 1798 fu pubblicata la quinta edizione del ''Dizionario dell’Accademia Francese'', a cura del già citato François Raynouard (1761-1836). Sebbene non ritenesse le lingue che noi oggi sappiamo romanze come discendenti del latino, questi si rese comunque conto di importanti fenomeni di evoluzione (ad esempio la natura del futuro ''habeo'') e studiò inoltre a fondo il Provenzale, pubblicando un’antologia di testi e un vocabolario. Il lavoro di Bopp fu invece ereditato da Friedrich Diez (1794-1876), che con la ''Grammatica'' e il ''Dizionario etimologico'' delle lingue romanze pose non soltanto le basi della linguistica romanza come disciplina storica, ma anche della filologia romanza, ripercorrendo la storia letteraria in particolare degli idiomi spagnoli e provenzali.
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=== La dialettologia ===
A cavallo tra Settecento e Ottocento nacque poi la  dialettologia, e in Italia grazie a Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) con i ''Saggi ladini''. Questo settore della linguistica è di straordinaria importanza per “l’osservazione diretta dei fenomeni linguistici, applicata alla lingua viva” che ci può dire con sicurezza come si sono svolte le modificazioni di ogni genere nelle fasi anteriori di un idioma qualsiasi (I. Iordan). Le lingue erano ora viste come “organismi viventi”, tanto che si parlava della loro “vita”, della loro “nascita” e della loro “morte” (cfr. A. Darmesteter, W. D. Whitney, G. Paris…), ma a questa ideologia si contrappose presto quella più razionale di August Schleicher (1821-1868), un hegeliano, e di altri suoi contemporanei che vi vedevano soltanto l’elemento fonetico, delle leggi che agivano ciecamente sulla loro evoluzione. Una posizione intermedia fu trovata dalla scuola neogrammatica (''junggrammatische Richtung''), che ammetteva da una parte l’ineccepibilità delle leggi fonetiche, dall’altra il fattore psichico individuale (l’analogia) come freno, ma che comunque ripiegava soprattutto sulle prime leggi. Una soluzione più moderata ed oggi accettabile fu data invece dai romanisti. Hugo Schuchardt (1842-1929) in particolare affermava nel suo ''Über die Lautgesetze. Gegen die Junggrammatiker'' [«Introno alle leggi fonetiche. Contro i neogrammatici»] che nella lingua non vi possono essere leggi cieche come in natura, ma le leggi fonetiche sono relative e condizionate dal tempo e dallo spazio. Scrisse inoltre che il concetto di “dialetto” è una nozione astratta, senza consistenza, perché in una stessa comunità linguistica si possono ritrovare varietà individuali infinite, che dipendono dall’età, dal sesso, dalla condizione sociale, ecc. (aveva insomma enucleato i concetti di varietà diatopiche, diastratiche, diafasiche).
 
Nel 1872 Johannes Schmidt (1843-1901) fece conoscere la sua  teoria delle onde, un principio di fondamentale importanza per le indagini filologiche successive. Secondo tale teoria infatti, le lingue sono come delle onde che si propagano da punti diversi ma sbattono le une contro le altre, influenzandosi a vicenda: i tratti comuni a due o più lingue sono direttamente proporzionali alla vicinanza tra loro.
 
=== La scuola di Vossler ===
A cavallo tra Ottocento e Novecento sorse invece la scuola idealistica ed estetica di Karl Vossler (1872-1949), che vedeva la lingua come espressione dell’anima dell’uomo, e la sua storia come la varietà di forme espressive (identificandola dunque nella storia dell’arte): le parole sono dei simboli e ogni espressione linguistica ha carattere individuale, rendendo alogica la lingua. Soprattutto, ne ''La cultura della Francia vista nel suo sviluppo linguistico'' (1913), Vossler chiamò “spirito della lingua” le trasformazioni storiche di essa, e tracciò i rapporti fra l’evoluzione della lingua francese e quella della vita politica e letteraria della Francia.
 
=== La geografia linguistica ===
Sempre in questo periodo si ricorda la nascita della  geografia  linguistica con Georg Wenker (1852-1911), che partendo dal proposito di fissare i confini geografici di ogni lingua si accorse tuttavia che i confini dei singoli dialetti procedevano in modo regolare ed era impossibile tracciare delle linee nette: fra di essi infatti, oltre ad alcune differenze, possono anche esserci caratteri comuni, presentando grandi oscillazioni. I linguisti riuscirono comunque a suddividere geograficamente gli idiomi in generici blocchi e nel 1881 fu pubblicato il primo atlante moderno della lingua, l’''Atlas linguistique de la France'', per opera dello svizzero Jules Gilliéron (1854-1926). In Francia infatti i dialetti stavano dissolvendosi velocemente di fronte all’ascesa di una lingua nazionale, e la necessità di una loro raccolta sistematica era più che mai essenziale. E se l’opera di Wenker alla fine restò come una raccolta di materiali, quella di Gilliéron aveva presentato per la prima volta i materiali stessi in forma cartografica. Gilliéron pose inoltre in primo piano i concetti dell’“omofonia” e dell’“etimologia popolare” affermando che alcuni lessemi si confondono per omofonia con altri lessemi di diverso significato (ad es. in alcune regioni della Francia manca il verbo ''serrare'' nel senso di “chiudere” perché è invece usato il verbo omofono ''serrare'' nel senso di “segare”: nel Meridione infatti, dove era usata la falce dentata, era più utilizzato quest’ultimo termine). Si può allora concludere che la geografia linguistica ha dimostrato che non esistono limiti precisi fra dialetti, ma solo confini di singoli fatti linguistici; definire quindi un dialetto in base a una sola caratteristica è del tutto arbitrario.
 
Dopo Gilliéron, in tutta Europa furono redatti sempre più atlanti linguistici (si ricordi in Italia l’''Atlante Linguistico Italiano'' di Matteo Bartoli, ripreso poi da U. Pellis, C. Grassi, M. Melillo, G. Tropea e T. Franceschi).
 
=== ''Parole e Cose'' ed onomasiologia ===
Altra importante teoria fu quella dell’indirizzo  [[Parole e Cose]] (''Wörter und Sachen'') di H. Schuchardt e R. Meringer, per cui il significato delle parole non può essere studiato basandosi soltanto sul puro materiale linguistico, ma la ricerca etimologica e semantica dev’essere affiancata dallo studio delle “cose”, dando così origine all’onomasiologia. Carlo Savioni (1858-1920) e Ernst Tappolet (1870-1939) vengono considerati i fondatori di quest'ultima indagine, ovvero lo studio dei concetti e degli oggetti in base al loro dominio linguistico.  Prendendo ad esempio un concetto ''x'', si indaga su come il suo significato sia espresso attraverso i vari significanti. Si tratta al tempo stesso di ricerche lessicologiche, semantiche e di geografia linguistica, che dimostrano come certi significati incidano sull’immaginario collettivo a prescindere dalla lontananza geografica di certi territori. Così la ricerca etimologica si trasforma in viva e completa storia della parola, non più ridotta esclusivamente alla fonetica e alla semantica.
 
Si è ad esempio notato come la pupilla dell’occhio sia chiamata in molti territori “perla dell’occhio” (''perla de l’očo'' a Venezia, ''perle del voli'' a Udine, ''perna'' a Cosenza, ''mârdzeaua di ocliu'' in macedo-rumeno, ''acu zîle'' in lettone, ''kus-sərźi'' in ciuvasso, ''yen-čū'' in cinese).
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== Voci correlate ==
 
* [[Filologia]]
* [[Romània (filologia)]]