Giambattista Vico: differenze tra le versioni
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Vico criticò l'affermarsi e lo sviluppo del [[razionalismo]] moderno, preferendo essere un [[apologia|apologeta]] dell'[[antichità classica]], trovando l'[[cartesianesimo|analisi cartesiana]] e altre correnti di [[Riduzionismo (filosofia)|riduzionismo]] impraticabili per la vita quotidiana. Fu il primo espositore dei fondamenti delle [[scienze sociali]] e della [[semiotica]].
L'[[aforisma]] [[lingua latina|latino]] ''Verum esse ipsum factum'' ("Ciò che è vero è precisamente ciò che è fatto") coniato da Vico rappresentò un primo esempio di [[epistemologia]] [[Costruttivismo (filosofia)|costruttivista]].<ref>Ernst von Glasersfeld, ''An Introduction to Radical Constructivism''.</ref><ref>Bizzell and Herzberg, ''The Rhetorical Tradition'', p. 800.</ref> Inaugurò il campo moderno della [[filosofia della storia]] e, sebbene tale termine non appaia nei suoi scritti, Vico parlò di una "storia della filosofia narrata filosoficamente".<ref>"Giambattista Vico" (2002), ''A Companion to Early Modern Philosophy'', Steven M. Nadler, ed. London:Blackwell Publishing, {{ISBN|0-631-21800-9}}, p. 570.</ref> Sebbene egli non fosse uno storico, l'interesse contemporaneo per Vico è stato suscitato da uno storico delle idee e filosofo come [[Isaiah Berlin]],<ref>''Vico and Herder: Two Studies in the History of Ideas.''</ref> dal critico letterario [[Edward Said]] e da [[Hayden White]], un [[Metastoria|metastorico]].<ref>Giambattista Vico (1976), "The Topics of History: The Deep Structure of the New Science", in Giorgio Tagliacozzo and Donald Philip Verene, eds, ''Science of Humanity'', Baltimore and London: 1976.</ref><ref>''Giambattista Vico: An International Symposium''. Giorgio Tagliacozzo and Hayden V. White, eds. Johns Hopkins University Press: 1969. Attempts to inaugurate a non-historicist interpretation of Vico are in ''Interpretation: A Journal of Political Philosophy'' [http://www.interpretationjournal.com/], Spring 2009, Vol. 36.2, and Spring 2010 37.3; and in ''Historia Philosophica'', Vol. 11, 2013 [http://www.libraweb.net/sommari.php?chiave=5].</ref>
Il culmine del lavoro intellettuale di Vico è il libro ''[[Scienza
== Biografia ==
[[File:Casa Vico.jpg|thumb|left|Lapide nella casa natale di via San Biagio dei Librai che recita: «In questa cameretta nacque il XXIII giugno MDCLXVIII Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai diciassette anni e nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usò passare le notti nello studio. Vigilia giovanile della sua opera sublime. La città di Napoli pose».]]
Molte delle notizie riguardanti la vita di Giambattista Vico sono tratte dalla sua ''Autobiografia'' (
===L'infanzia e la formazione===
Nato a [[Napoli]] nel
Ripresa la via degli studi, si recò nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di [[Presbitero|padre]] Giuseppe Ricci, ma, rimasto ancora una volta insoddisfatto, si appartò nuovamente a vita privata per affrontare la [[metafisica]] di [[Francisco Suárez]]. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, Vico fu «applicato agli studi legali»: frequentò per circa due mesi le lezioni private di [[Francesco Verde]], dal
===L'autoperfezionamento a Vatolla e l'insegnamento universitario===
Il periodo di tempo intercorrente fra il
Approfondisce gli studi [[Aristotele|aristotelici]] e [[Duns Scoto|scotisti]], nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la [[Scolastica (filosofia)|Scolastica]]. Legge le opere di [[Giovanni Botero|Botero]] e di [[Jean Bodin|Bodin]], scoprendo al contempo [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] (che diverrà, insieme [[File:Giambattista Vico Jerace Castel Nuovo.jpg|thumb|[[Erma (scultura)|Erma]] del Vico]]
Ritornato a [[Napoli]] nell'[[autunno]] del 1695, all'età di [[ventisette]] anni, affetto dalla [[tisi]], rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà economiche, Vico è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Durante l'anno
Nel gennaio
Nel 1699 può finalmente prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di «tre camere, sala, cucina, loggia e altre comodità, come rimessa e cantina» e prendere in moglie la giovane donna, Teresa Caterina Destito dalla quale ebbe otto figli.<ref>Fausto Nicolini, ''Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa'', Editore Osanna Venosa, 1991</ref> Da quel momento non avrà più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma proseguirà ugualmente le sue meditazioni «tra lo strepitio de' suoi figlioli». A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza col filosofo [[Paolo Mattia Doria]] e l'incontro con il pensiero del Bacone. Nel
Fra il 1699 e il 1706 pronunzia in [[Lingua latina|latino]] le sei ''Orazioni inaugurali'', ossia le prolusioni all'anno accademico (che al tempo iniziava il 18 ottobre), e, durante il 1708, se ne aggiunge una settima, più ampia e importante, recante il titolo di ''De nostri temporis studiorum ratione'', la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici, poiché «il Vico sempre aveva la mira a farsi merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti».<ref name="Fassò1"/><ref>Giambattista Vico, ''Autobiografia'', ed. Nicolini (Bompiani), Milano, 1947, p. 57.</ref> Nel ''De ratione'', inoltre, è contenuta la critica al razionalismo [[Cartesianesimo|cartesiano]] e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell'«ingegno» produttore di [[Metafora|metafore]].
Fra il 1708 e il 1709, l'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in un unico volume mai pubblicato, dal titolo di ''De studiorum finibus naturae humanae convenientibus''.<ref name="Giambattista Vico p. 44"/> È aggregato, dal 1710, all'[[Accademia dell'Arcadia]] e, nel novembre, pubblica il primo libro dell'opera dedicata al Doria, ''De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda'', recante il sottotitolo ''Liber primus sive metaphysicus''. Accanto al ''Liber metaphysicus'' l'opera vichiana avrebbe dovuto comprendere anche il perduto ''Liber physicus'' e un mai composto ''Liber moralis''. Un anonimo recensisce l'opera nel ''[[Giornale de' letterati d'Italia]]'' del 1711, cui seguirà la ''Risposta'' del Vico, accompagnata dal «ristretto» (un riassunto) del ''Liber metaphysicus''.
Nell'agosto 1712, a seguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore, Vico replica con una ''Seconda risposta''. Nel 1713 pubblica un trattatello perduto sulle [[Febbre|febbri]] ispirato alle bozze del ''Liber physicus'', recante il titolo di ''De aequilibrio corporis animantis'', e, inoltre, si dedica alla stesura del ''De rebus gestis Antonii Caraphaei'', una biografia del [[maresciallo]] [[Antonio Carafa (maresciallo)|Antonio Carafa]], che vedrà la luce nel marzo 1716. Durante i lavori dell'opera biografica del maresciallo Carafa, Vico si dedica alla rilettura del suo quarto «auttore», l'olandese Ugo Grozio, cui dedicherà, nel 1716, un perduto commento al ''[[De iure belli ac pacis]]''.<ref name="Giambattista Vico p. 45">Giambattista Vico, ''La scienza nuova'' (a cura di Paolo Rossi), p. 45, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.</ref>
===La produzione filosofica della maturità: dal ''Diritto universale'' alla ''Scienza nuova''===
[[File:Vico - Scienza nuova seconda, 1942 - 1964037 F.jpeg|thumb|sinistra|''Scienza nuova seconda'', 1942]]
L'incontro di Vico con la filosofia di «Ugon capo»<ref>Ugo Grozio, ''Prolegomeni al diritto della guerra e della pace'' (a cura di Guido Fassò), cit. p. 16, Morano Editore, 1979.</ref> ebbe un'importanza decisiva per il suo sviluppo intellettuale, poiché da quel momento il suo interesse sarà completamente assorbito dai problemi giuridici e [[Storia|storici]]. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gli «ordini civili» divenne centrale in tutto il pensiero vichiano.<ref name="Giambattista Vico p. 45"/> Nel luglio
Il 24 marzo
Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la notorietà del Vico nel seno dell'Accademia partenopea, s'accompagna una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione.<ref>M. Fubini, ''G.B. Vico. Autobiografia'', Torino Einaudi 1965.</ref> Prima della ''Scienza Nuova'' Vico aveva scritto la prolusione inaugurale ''De nostri temporis studiorum ratione'' (
Nel
===La morte===
{{Citazione|[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Cominciò adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, era di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza....Il fiaccato corpo del saggio vecchio andò in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che aveva perduto quasi interamente la memoria fino a dimenticare gli oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi delle cose più usuali...<ref>Giambattista Vico, ''Principi di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni'', a cura di [[Giuseppe Ferrari (filosofo)|Giuseppe Ferrari]], Società tipografica de' Classici italiani, Milano 1843, p. 479.</ref>}}
Affetto probabilmente dalla [[malattia di Alzheimer]], all'epoca non ancora descritta scientificamente, negli ultimi anni non riconosceva più i
==Il pensiero==
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Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine filosofiche, Vico ebbe modo di entrare in rapporto con il pensiero di [[Cartesio]], [[Thomas Hobbes|Hobbes]], [[Pierre Gassendi|Gassendi]], [[Nicolas Malebranche|Malebranche]] e [[Leibniz]] anche se i suoi autori di riferimento risalivano piuttosto alle dottrine [[neoplatonismo|neoplatoniche]], rielaborate dalla [[filosofia rinascimentale]], aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di [[Francesco Bacone]] e [[Galileo Galilei]] e del pensiero [[giusnaturalismo|giusnaturalistico]] moderno di [[Ugo Grozio|Grozio]] e [[John Selden|Selden]].<ref>Giambattista Vico, ''La scienza nuova'' (a cura di Paolo Rossi), pp.6-7, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.</ref> Dal [[neostoicismo]] cristiano di [[Virgilio Malvezzi|Malvezzi]] Vico riprende l'intuizione che il corso storico sia retto da una sua logica interna.<ref>{{cita libro|isbn=9788815038326|p=142|titolo=La giovinezza di Giambattista Vico: saggio biografico|autore=[[Fausto Nicolini]]|editore=[[Il Mulino|Società editrice Il Mulino]]|anno=1992}}</ref><ref>[[Benedetto Croce|Croce]], ''Nuovi saggi sul Seicento'', pp. 91-105.</ref><ref>Per una silloge di «pensieri» del Malvezzi, ''Politici e moralisti del Seicento'', ediz. Croce-[[Santino Caramella|Caramella]], Bari, Laterza, 1930.</ref> Questa varietà di interessi farebbe pensare alla formazione di un pensiero [[eclettismo|eclettico]] in Vico, che invece giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una [[razionalità]] [[esperimento|sperimentatrice]] e la tradizione [[Platone|platonica]] e [[religione|religiosa]].
===Il ''De antiquissima Italorum sapientia''===
[[File:Vicodeantiquissima.jpg|thumb|left|upright=0.7|Frontespizio del ''De antiquissima Italorum sapientia'']]
Il ''De antiquissima'' doveva constare di tre parti: il ''Liber metaphysicus'', che uscì nel
Il fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima che
{{Citazione|Per i Latini il "vero" e il "fatto" sono reciproci, ossia, come afferma il volgo delle scuole, si scambiano di posto.||Latinis "verum" et "factum" reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus loquitur, convertuntur.<ref>G.B. Vico, ''Opere'', Sansoni, Firenze, 1971, I, 1 p. 63</ref>|lingua=la}}
che cioè «il criterio e la regola del vero consiste nell'averlo fatto»: per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le proposizioni [[matematica|matematiche]] perché siamo noi a farle tramite [[postulato|postulati]], definizioni, ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la [[natura]] perché non siamo noi ad averla creata.
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===Le obiezioni a Cartesio===
Il principio del ''verum ipsum factum'' non era una nuova e originale scoperta di Vico ma era già presente nell'[[occasionalismo]], nel metodo baconiano che richiedeva l'[[esperimento]] come verifica della verità, nel [[volontarismo]] [[scolastica (filosofia)|scolastico]] che, tramite la tradizione [[Duns Scoto|scotista]], era presente nella cultura filosofica napoletana del tempo di Vico. La tesi fondamentale di queste concezioni filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che tale cosa produce; il principio del verum-factum, proponendo la dimensione fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo cartesiano che Vico inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della storia umana e delle scienze sociali, che non
Vico però si serve di quel principio per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia [[Cartesio|cartesiana]] trionfante in quel periodo. Il ''[[cogito ergo sum|cogito]]'' cartesiano infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire ''[[conoscenza]]'' della natura del mio essere, [[coscienza (filosofia)|coscienza]] non è conoscenza: avrò coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho solo riconosciuto.
{{Citazione|L'uomo, egli dice, può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e infine in senso assoluto, se sia; a sostegno della sua argomentazione escogita un certo genio ingannatore e maligno... Ma è assolutamente impossibile che uno non sia conscio di pensare, e che da tale ''coscienza'' non concluda con certezza che egli è. Pertanto Renato (René Descartes) svela che il primo vero è questo: "Penso dunque sono".|Giambattista Vico, ''De antiquissima Italorum sapientia'' in ''Opere filosofiche'' a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni 1971, p.70}}
Il criterio del metodo cartesiano dell{{'}}''evidenza'' procurerà dunque una conoscenza chiara e distinta, che però per Vico non è scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano e della natura colti nella loro interezza e nelle loro relazioni solo [[Dio]], creatore di entrambi, possiede la verità (livello di conoscenza maggiore: ''inter - legere).''
Mentre quindi la [[mente]] umana procedendo [[astrazione (filosofia)|astrattamente]] nelle sue costruzioni, come accade per la matematica
{{Citazione|Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare.|''Ibidem'', pag. 82}}
===Mente umana e mente divina===
{{Citazione|I latini... dicevano che la mente è data, immessa negli uomini dagli dei. È dunque ragionevole congetturare che gli autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee negli animi umani siano create e risvegliate da Dio [...] La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio conosco la mia propria mente.|Giambattista Vico, ''De antiquissima'', 6}}
Il valore di verità che l'uomo ricava dalle scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un'attività che appartiene in primo luogo a Dio. La mente dell'uomo è anch'essa ''creatrice'' nell'atto in cui ''imita'' la mente, le [[idea|idee]], di Dio, partecipando [[metafisica]]mente
===L'ingegno===
[[Mimesi|Imitazione]] e [[metessi|partecipazione]] alla mente divina avvengono
L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso l'[[errore (filosofia)|errore]]:
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==== Il sapere metafisico ====
Contro lo [[scetticismo filosofico|scetticismo]] Vico sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere [[metafisica|metafisico]]:
{{Citazione|Il chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo soltanto in relazione ai corpi opachi... Tale è lo splendore del vero metafisico non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico.|Giambattista Vico, ''De antiquissima'', 3}}
Il sapere metafisico non è il sapere in assoluto: esso è superato dalla matematica e dalle scienze ma, d'altro canto, «la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei discende in tutte le altre scienze.» Vi è dunque un "primo vero", «comprensione di tutte le cause», originaria spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è infinito e di natura [[spirito (filosofia)|spirituale]] poiché è antecedente a tutti i corpi e che quindi si identifica con Dio. In Lui sono presenti le ''forme'', simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina.
{{Citazione|Il primo vero è in Dio, perché Dio è il primo facitore (''primus Factor''); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi a Dio, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose.|Giambattista Vico, ''De antiquissima Italorum sapientia'' in ''Opere filosofiche'' a cura di P. Cristofolini, Firenze, Sansoni 1971, p. 62}}
=== La metafisica di Vico ===
==== Il platonico Vico ====
Attraverso i propri scritti Vico fa capire la sua conversione dalla filosofia lucreziana e gassendiana a quella [[Platonismo|platonica]], egli descrive la metafisica del filosofo di riferimento come tale che:
{{Citazione|conduce a un principio fisico che è idea eterna, che da sé educe e crea la materia medesima, come uno spirito seminale, che esso stesso si fermi {{Citazione|1) «nella nostra mente sono certe eterne verità che non possiamo sconoscere riniegare, e in conseguenza che non sono da noi», cioè che non sono fatte da noi
2) «del rimanente sentiamo in noi una libertà di fare, intendendo, tutte le cose che han dipendenza dal corpo, e perciò le facciamo in tempo, cioè quando vogliamo applicarvi, e tutte in conoscendo le facciamo, e tutte le conteniamo dentro di noi: come le immagini con la fantasia; le reminescenze con la memoria; con l’appetito le passioni; gli odori, i sapori, i colori, i suoni, i tatti co’ sensi: e tutte queste cose le conteniamo dentro di noi. […] Ma per le verità eterne che non sono da noi e non hanno dipendenza dal corpo nostro, dobbiamo intendere essere Principio delle cose tutte come una idea eterna tutta scevera da corpo, che nella sua cognizione, ove voglia, crea tutte le cose in tempo e le contiene dentro sé...».}}
La coerenza della filosofia
==== La religione secondo Vico ====
Anche per Vico le religioni non sono vere, ma in esse non è nemmeno possibile che tutto sia falso. Infatti, avrebbe senso se tutte le loro parti fossero sbagliate, in quanto provocherebbero paura e odio, ma non possono spiegare come abbiano saputo restituire la loro "tenerezza" secondo il metodo della separazione
==== Il conato ====
Si giunge dunque a uno dei punti cardine della metafisica vichiana: il conato, si tratta del nocciolo di ciò che Vico chiama ''zenonismo'', ossia la dottrina dei punti metafisici, riassumibile nella tesi che il punto in quanto ''momentum''
Il punto-momento è il ''conatus'' che si allarga al di là della geometria e comprende la fisica cosicché la triade dominante è: quiete=Dio; conato
Vico dà ai punti-conati (sia nella prima forma numerica sia in quella più vicina alla fisica) una capacità 'impulsiva' simile a questi indivisibili. Egli dice che:
{{Citazione|La metafisica trascende la fisica perché tratta delle virtù e dell'infinito; la fisica è parte della metafisica perché tratta delle forme e degli oggetti finiti.|Vico, "Opere Filosofiche, pp. 93-94"}}
Poi Vico aggiunge:
{{Citazione|L'essenza del corpo consiste in indivisibili; il corpo tuttavia si divide: dunque l'essenza del corpo non è: dunque è l'altra cosa dal corpo. Cosa è dunque? È una indivisibil virtù, che contiene, sostiene, mantiene il corpo, e sotto parti diseguali del corpo vi sta egualmente; sostanza, della quale è solamente lecito raramente si somiglia alla divina, e perciò unica a dimostrare l'umano vero.|[[Nicola Badaloni (politico 1924)|Nicola Badaloni]], "Introduzione a Gianbattista Vico, p. 94"}}
Da un punto di vista matematico il conato può essere paragonato all'Uno, esso è indivisibile perché uno è l'infinito, e l'infinito è indivisibile, perché non ha in che dividersi, non potendo dividerlo in nulla.
Possiamo raccontare Vico come un seguace di Galilei; tuttavia, lo critica per aver sostenuto la diversità tra infinito e indivisibile. Quando Galilei parla dell'infinitezza, per esempio, della percossa, ovvero di quella espansiva degli ignicoli, egli, per Vico, non fa che trasferire erroneamente il conato infinito nel moto al fine di dare a quest'ultimo (che non è che occasione) un rilievo maggiore. L'accumulo di moto, che Galilei vede risultare dall'infinitezza della percossa, secondo Vico, che dà una interpretazione più rigida dell'equazione conato=momento=punto indivisibile, è un tipo di energia potenziale che il conato sviluppa in ogni sito e attimo dell'universo e che, dal punto di vista metafisico, non varia mai, giacché il conato non è a base della dinamica ma della struttura dell'universo. La questione del rapporto tra sentire e pensare è ripresa nei capitoli V e VI del ''De Antiquissima.'' In quello intitolato ''De animo et anima'', Vico sostiene che:
{{Citazione|Gli stessi muscoli del cuore sono contratti e dilatati dai nervi, sicché il sangue è continuamente fatto circolare per un processo di sistole e diastole ricevendo dai nervi il proprio moto.|[[Nicola Badaloni (politico 1924)|Nicola Badaloni]], "Introduzione a Gianbattista Vico, p. 104"}}
Dunque l'aria è lo spirito vitale che muove il sangue; l'etere è lo spirito animale; la prima costituisce l'anima, il secondo l'animo, la cui immortalità è spiegata col suo tendere all'infinito e all'eterno. Entro l'animo è la mente che ''è mens animi'', cioè la parte più raffinata dell'animo stesso. Passando dalla teoria dell'anima a quella dell'animo e di qui al primo cenno di quella della mente, Vico commenta, in modo [[Platone|platonico]]-[[Baruch Spinoza|spinoziano]], che "forse importa più deporre gli affetti che allontanare i pregiudizi". Il capitolo VI è intitolato ''De Mente''; il suo oggetto è appunto la ''animi mens'' che corrisponde alla libertà sui moti dell'animo. La facoltà di desiderare in vari termini e modi "è Dio a ciascuno" ma la libertà dell'arbitrio, cioè la ''mens animi'' rappresenta il momento di fuoriuscita dall'ambito della psicologia e d'ammissione in quello di una libertà umanamente inventiva. La ''mens animi'' è il punto di maggiore avvicinamento al creare reale, talché "in Dio dunque conosco la mia stessa mente".
==== La metafisica vichiana a confronto ====
In letture recenti si è ripresentata l'antica analogia tra [[Immanuel Kant|Kant]] e Vico (a parte le diverse capacità analitiche dei due filosofi), la reale divergenza tra loro sta nel fatto che l'oggetto del primo è il sistema scientifico, già costruito da [[Isaac Newton|Newton]], e da Kant posto in relazione colle possibilità e coi limiti delle facoltà umane; l'interesse di Vico è invece rivolto a un 'oggetto' del tutto nuovo che è il rapporto strutturato tra la scienza e la sua genesi, nella mente dell'uomo primitivo e le situazioni e istituzioni sociali che hanno accompagnato le sue modificazioni.
Vico è a conoscenza della discussione sul platonismo precedente e seguente il suo saggio sulla metafisica, conobbe sicuramente il libro di [[Johann Jacob Brucker|Brucker]] e a cui anzi rivolse una critica importante. Scrive infatti nella ''Scienza Nuova'' (1744) che:
{{Citazione|Le scienze debbono incominciare da che ‘ncominciò la materia; esse ebbero inizio alle ch'i primi uomini cominciarono a umanamente pensare, non già quando i filosofi cominciarono a riflettere sopra l'umane menti (come ultimamente n'è uscito alla luce un libricciuolo erudito e dotto col titolo Historia de ideis, che si conduce fin all'ultime controversie che ne hanno avuto i due primi ingegni di questa età, il Leibnizio e ‘l Newtone.}}
Con questa osservazione, Vico integra l'esposizione del platonismo moderno con un progetto d'interpretazione della genesi di questo modo di pensare e del suo svolgimento. I sottoinsiemi scientifici, che egli si appresta a costruire, sono condizionati da questo punto di arrivo, che nella sua 'idealità' è metastorico, in senso quasi trascendentale, e, nel suo contenuto, difficilmente nasconde il carattere 'semilibertino' della struttura sistematica sottesa. La critica di Vico a Brucker ci mette dunque in condizione di valutare il significato che egli attribuisce alla ''scienza nuova''. L<nowiki>''</nowiki>oggetto' costituito dalle idee platonico-galileiane è nato, riferendosi al mondo tuttora in divenire, è la trasformazione strutturata di un complesso di tradizioni, istituzioni e conoscenze umane che si sostengono reciprocamente e si modificano conflittualmente. Il punto di attacco delle scienze della natura di tipo galileiano (integrato nella filosofia del platonismo moderno) con la scienza dell'uomo, è dato dal costituirsi di un diverso 'oggetto' a esse legato, che ha però la sua autonomia, le sue regole, costituendo un sottosistema aperto all'invenzione di nuovi strumenti interpretativi.
La scienza vichiana si organizza in modo da delimitare un campo di ricerche concrete. La critica a Brucker ha già dato un'idea del modo come Vico, partendo dalla scienza moderna e violentemente ributtandola sui suoi ''principi'' ne ricerchi gli elementi genetici e formativi per recuperarne, poi, gli aspetti complessi.
==== La ''Scienza nuova'' ====
[[File:Vico La scienza nuova.gif|upright=0.7|thumb|Frontespizio della terza edizione 1744 della ''Scienza nuova'']]
Se l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano a essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene.
{{Citazione|questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana.|Giambattista Vico ''[[Scienza nuova]]'', terza ediz., libro I, sez. 3}}
===La storia creatrice===
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La definizione dell'uomo e della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola al suo [[divenire]] storico. È assurdo credere, come fanno i cartesiani o i neoplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni condizionamento storico.
{{Citazione|La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia<ref>Per Vico la [[filologia]] non è solo la scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, religioni... ecc. dei popoli antichi.</ref> osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo... Questa medesima degnità (assioma) dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con l'autorità de' filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi.|Giambattista Vico ''Ibidem'' Degnità X}}
Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si possa ''accertare il vero e inverare il certo''.
Line 169 ⟶ 185:
===Le leggi della 'scienza nuova'===
Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di ''leggi'' che ne siano a fondamento, com'è per tutte le altre scienze:
{{Citazione|Poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; poiché tali cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni.|Giambattista Vico ''Ibidem'', libro I, sez. 3}}
La storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali, di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle [[nazione|nazioni]].
===L'eterogenesi dei fini e la Provvidenza storica===
Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è sufficiente: si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore
{{Citazione|Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni... ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti.| Giambattista Vico ''Ibidem'', Conclusione}}
La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli eventi storici, ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla [[Provvidenza]] che prepone alla storia divina.
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Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in ''tre età'':
*''l'età degli dei'', «nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli»;<ref>«L'età degli dei nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de' lor plebei; e finalmente l'età degli uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane.» (G. Vico, ''Scienza Nuova'', Idea dell'Opera).</ref>
*''l'età degli eroi,'' dove si costituiscono [[repubblica|repubbliche]] [[aristocrazia|aristocratiche]];
*''l'età degli uomini,'' «nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana».<ref>G. Vico, ''Scienza Nuova'', Idea dell'Opera.</ref>
====I ''bestioni''====
La storia umana, secondo Vico, inizia con il [[diluvio universale]], quando gli uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevano vagando nelle [[foresta|foreste]] in uno stato di completa [[anarchia]]. Questa condizione bestiale era conseguenza del [[peccato originale]], attenuata dall'intervento benevolo della Provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che «scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra».<ref>''Ibidem.''</ref>
====La civiltà====
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*per l'uso della [[sepoltura]] dei morti, segno della [[fede]] nell'[[immortalità]] dell'[[anima]] che distingue l'uomo dalle bestie.
Della prima età Vico sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi: infatti quei ''bestioni'' non conoscevano la [[scrittura]] e, poiché erano muti, si esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degli eroi ebbe inizio dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la sopravvivenza. Sorsero le [[città]] guidate dalle prime organizzazioni politiche dei signori, gli ''eroi'' che con la ''forza'' e in nome della ''[[ragion di
In questa seconda, dove predomina la ''[[Immaginazione|fantasia]]'', nasce il linguaggio dai caratteri [[mito|mitici]] e [[poesia|poetici]]. Infine la conquista dei diritti civili da parte dei servi dà luogo alla ''età degli uomini'' e alla formazione di stati popolari basati sul «diritto umano dettato dalla ragione umana tutta spiegata». Sorgono quindi stati non necessariamente [[democrazia|democratici]] ma che possono essere pure [[monarchia|monarchici]] poiché l'essenziale è che rispettino «la ragione naturale, che eguaglia tutti».
La legge delle tre età costituisce la «''storia ideale eterna'' sopra la quale corrono in tempo le storie di tutte le nazioni». Tutti i popoli indipendentemente l'uno dall'altro hanno conformato il loro corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo ''senso'' nell'infanzia, alla ''fantasia'' nella [[fanciullo|fanciullezza]], e infine alla ''ragione'' nell'età adulta:
{{Citazione|Gli uomini prima sentono senza avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura.|Giambattista Vico ''Scienza Nuova'', 3a ediz. Degnità LIII}}
===La verità divina nella storia===
Se nella storia, pur tra le violenze e i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo, ciò è dovuto secondo Vico all'azione della Provvidenza, che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso nelle tre età:
*nelle prime due età il vero si presenta come ''certo''
{{Citazione|gli uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza.|Giambattista Vico, ''Scienza Nuova'', Degnità IX}}
Questa certezza non viene all'uomo attraverso una [[rivelazione|verità rivelata]] ma da una constatazione di ''[[senso comune]]'', condivisa da tutti, per cui vi è «un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano.»
===La sapienza poetica===
Vi è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla ''fantasia'', un sapere tutto particolare che Vico definisce poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla [[poesia]] che «alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti.»<ref>''Ibidem'' Degnità XXXVII.</ref>
Se vogliamo quindi conoscere la storia dei popoli antichi dobbiamo rifarci ai ''miti'' che hanno espresso nella loro cultura. Il mito infatti non è solo una [[favola]] e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé elaborata dagli antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servivano di ''universali fantastici'' che, sotto spoglie poetiche, presentavano modelli ideali universali: come fecero ad esempio i Greci antichi che non definirono razionalmente la [[prudenza]] ma raccontarono di [[Ulisse]], modello universale fantastico dell'uomo prudente.
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====La poesia====
Vico si dedica poi a definire la ''poesia'' che innanzitutto
*è ''autonoma'' come forma espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I [[Figura retorica|tropi]] della poesia come la [[metafora]], la [[metonimia]], la [[sineddoche]], ecc. sono stati erroneamente ritenuti strumenti [[estetica|estetici]] di abbellimento del linguaggio razionale di base, mentre invece la poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono «necessari modi di spiegarsi di tutte le prime nazioni poetiche»;
*La poesia ha una funzione rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini;<ref>Sull'immaginazione nei primitivi secondo la filosofia vichiana si veda: [https://unifi.academia.edu/PaoloFabiani Paolo Fabiani, ''La filosofia dell'immaginazione in Vico e Malebranche'', Firenze University Press, 2002] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160802202413/https://unifi.academia.edu/PaoloFabiani |data=2 agosto 2016 }}</ref>
*Il linguaggio non ha quindi un'origine convenzionale perché questo presupporrebbe un uso tecnico del linguaggio che invece sorge spontaneamente come poesia.
Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto un popolo, Vico arriva alla ''discoverta del vero [[Omero]]'' che è non il singolo autore dei suoi poemi ma l'espressione del patrimonio culturale comune di tutto il popolo greco. È comunque da respingere la interpretazione platonica di Omero come ''filosofo'',<ref>La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività spirituali fu uno dei meriti che Benedetto Croce riconobbe al pensiero vichiano:
{{Citazione|[Vico] criticò tutt'insieme le tre dottrine della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica intellettuale, non contiene filosofemi: i filosofi che ritrovano queste cose nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente umana.|[[Benedetto Croce]], ''La filosofia di Giambattista Vico''}}</ref> «fornito di una sublime sapienza riposta».
{{Citazione|Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio<ref>[qual era quello dei tempi d'Omero]</ref> non è certamente (opera) d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'Iliade.|Giambattista Vico, ''Scienza Nuova''}}
===Verità e storia===
La sapienza antica ha per contenuto princìpi di [[giustizia]] e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manifesta in forme diverse storicamente, ma essa come verità eterna è al di sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità ''della'' storia è una verità metafisica ''nella'' storia. Nella storia si attua la [[mediazione]] tra l'agire umano e quello divino:
*nel fare umano si manifesta il vero divino;
*e il vero umano si realizza tramite il fare divino: la Provvidenza, legge trascendente della storia, che opera ''attraverso e nonostante'' il [[libero arbitrio]] dell'uomo.
Questo non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero che la Provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come sostengono gli [[stoici]] e gli [[epicurei]] che «niegano la provvedenza, quelli facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ''ricorsi'', possono anche farla regredire:
{{Citazione|Gli uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar di sostanze.|Giambattista Vico, ''Scienza Nuova'', Degnità LXVI}}
A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento della Provvidenza che talora non può impedire la [[regressione]] nella [[barbarie]], da cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente.
===La filosofia===
Paradossalmente la criticità del progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della Provvidenza che si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il consenso della «ragione tutta spiegata» che si sostituisce alla religione: Così "ordenando la provvedenza"
La ragione non crea la verità, poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola non basta poiché occorre la Provvidenza che indichi la verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi essa deve custodirla:
{{Citazione|Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo studio della pietà,<ref>Nel senso di ''pietas'', sentimento religioso.</ref> e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio.|Giambattista Vico ''Scienza Nuova'', Conclusione}}
=== Teorizzazione sul riso ===
La concezione di Vico sul riso è riportata in ''Ridere la verità'' di Rosella Prezzo che scrive: «La teorizzazione vichiana sul riso, rimasta per lo più sconosciuta, si trova celata in una digressione di un [[pamphlet|opuscolo polemico]] dal titolo ''Vici vindicae''», dove il filosofo napoletano scrive che «il riso proviene dall'inganno teso all'ingegno umano, avido del vero: ragion per cui scoppia tanto più abbondante quanto maggiore è la simulazione di questo».<ref>{{cita pubblicazione |nome=Rosella Prezzo (a cura di) |titolo=Ridere la verità. Scena comica e filosofia |editore= Raffaello Cortina Editore|città= Milano|volume= Minima|numero= 24|anno=1994 |pp=14-18 e 64-70}}</ref> Già [[Niccolò Tommaseo]] parlando della grandezza del Vico lo presentava come non invaghito per nulla dalla novità «''che nuove'' (dic'egli) ''son anco le cose ridicole e mostruose''» né cercando l'arguzia «siccome col riso le arguzie sterili, sono con la malinconia i concetti possenti».<ref>{{cita pubblicazione |nome=Niccolò |cognome= Tommaseo|titolo=Storia civile nella letteraria |rivista=Studii |editore=[[Loescher]] |città=Roma-Torino-Firenze |anno=1872 |mese= |pp=104 sgg}}</ref> [[Francesco Flora]] riporta il racconto che Vico fa dell'origine dell'[[interiezione]]: «Seguitarono a formarsi le voci umane con l'interiezioni, che sono voci articolate nell'émpito di passioni violente, che 'n tutte le lingue son [[Sillaba|monosillabi]]», causate dalla meraviglia alla vista dei primi fulmini, ad esempio, da cui l'immaginazione di Giove. Il riso intravede la «goffaggine di tali giganti» e vi si inserisce.<ref>{{cita pubblicazione |nome=Francesco |cognome=Flora |titolo=Giambattista Vico |rivista=Storia della letteratura italiana. Nuova edizione riveduta e ampliata |editore=[[Arnoldo Mondadori Editore]] |città=Milano |volume=Volume terzo |numero=Il Cinquecento (parte seconda) Il Seicento-Il Settecento |anno=1958 |pp=441-452}}</ref>
==Il giudizio della filosofia posteriore==
{{Citazione|Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce del genere umano. Gli uomini popolari, i progressisti di quel tempo, erano Lionardo di Capua, Cornelio, Doria, Calopreso, che stavano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui era un retrivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra ancella. Vico resisteva. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resisteva a Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui ''Pensieri'' erano «lumi sparsi», a Grozio, a Puffendorfio, a Locke, il cui ''Saggio'' era la «metafisica del senso». Resisteva, ma li studiava più che facessero i novatori. Resisteva come chi sente la sua forza e non si lascia sopraffare. Accettava i problemi, combattea le soluzioni, e le cercava per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. Era la resistenza della coltura italiana, che non si lasciava assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. Era il retrivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa era la resistenza del Vico. Era un moderno e si sentiva e si credeva antico, e resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé.|[[Francesco De Sanctis]], ''[[Storia della letteratura italiana (De Sanctis)|Storia della letteratura italiana]]'' [1870], Morano, Napoli 1890, [[s:Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/326|p. 314]].}}
Fintanto che Vico fu in vita la portata e la ricezione critica del suo pensiero furono circoscritte quasi unicamente agli ambienti intellettuali
Il pensiero vichiano, le cui prime fonti s'ispirano alla tradizione filosofica del [[XVII secolo|Seicento]] che permeava l'ambiente [[partenopeo]]
== Opere ==
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** ''De constantia jurisprudentis liber alter'' (1721)
** ''Notae in duos libros, alterum «De uno universi juris principio et fine uno», alterum «De constantia jurisprudentis»'' (1722)
* ''[[Scienza nuova]] prima'' (1725)
* ''[[Vici
* ''Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo'', (l'«Autobiografia» (1725-1728; «Supplemento» 1731)
* ''Scienza nuova seconda'' (1730)
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** VII, 1940, ''Scritti vari e pagine disperse'';
** VIII, 1941, ''Poesie, Institutiones oratoriae''.
* Giambattista Vico, ''Opere filosofiche'' a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni, 1971.
* Giambattista Vico, ''Opere giuridiche'' a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni, 1974.
* Giambattista Vico, ''Institutiones oratoriae'', testo critico, versione e commento a cura di Giuliano Crifò, Napoli, [[Università degli Studi "Suor Orsola Benincasa"|Istituto Suor Orsola Benincasa]], 1989.
* [[Nicola Badaloni (politico 1924)|Nicola Badaloni]], ''Introduzione a Gianbattista Vico'', Bari, Laterza, 1999.
* Giambattista Vico, ''La scienza nuova - Le tre edizioni del 1725, 1730, 1744,'' a cura di Manuela Sanna e Vincenzo Vitiello, Milano, Bompiani, 2012, ISBN 978-88-452-7155-7.
* Leonardo Amoroso, ''Introduzione alla Scienza nuova di Vico,'' Pisa, ETS, 2013, ISBN 978-884673126-5.
* Benedetto Croce, ''La filosofia di Giambattista Vico,'' Bari, Laterza, 1965.
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
Il pensiero vichiano rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura [[Europa|europea]] del [[XVIII secolo]] con una diffusione limitata nell'[[Italia meridionale]]. Ancora in [[romanticismo|età romantica]] Vico era poco conosciuto anche se [[filosofia tedesca|filosofi tedeschi]] come [[Johann Gottfried Herder]], chiamato il Vico tedesco, e [[Hegel]] presentano delle somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia nello sviluppo della filosofia.
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Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del ''verum ipsum factum'' considerano Vico un anticipatore del positivismo
* [[Giuseppe Ferrari (filosofo)|Giuseppe Ferrari]], ''Il genio di Vico'', 1837, rist.
* C. Cattaneo, ''Sulla 'Scienza Nuova' di Vico'', Milano, 1946-47.
* C. Cantoni, ''Vico'', Torino, 1967.
* P. Siciliani, ''Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia'',
Recentemente, viene rivalutato il legame stringente fra il filosofo e l'Illuminismo:
* Alberto Donati, ''Giambattista Vico. Filosofo dell'Illuminismo'',
Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come anticipatore di [[Kant]] e dell'[[idealismo]], si ebbe in Italia a cominciare dagli studi di [[Bertrando Spaventa]] e [[Francesco De Sanctis|De Sanctis]] iniziatori di quella corrente dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in [[Benedetto Croce|Croce]] e
* [[Giovanni Gentile|G. Gentile]], ''Studi vichiani'', Messina 1915, rist.
che ne mette in luce le ascendenze neoplatoniche e rinascimentali rifiutandone nel contempo l'interpretazione [[positivismo|positivista]] e interpretandone il ''verum ipsum factum'' in senso idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da
* B. Croce, ''La filosofia di G.B.Vico'',
che ebbe soprattutto il merito di aver intuito in Vico una definizione dell'[[arte]] come attività autonoma dello spirito e della visione [[storicismo|storicistica]] dello sviluppo dello spirito da cui Croce elimina ogni riferimento alla [[trascendenza]] della Provvidenza vichiana.
Un'accurata ricerca storica su Vico fu operata dal crociano
* [[Fausto Nicolini]], ''La giovinezza di Vico'',
* Fausto Nicolini, ''La religiosità di Vico'',
* Fausto Nicolini, ''Commento storico alla seconda 'Scienza
* Fausto Nicolini, ''Saggi vichiani'',
* Fausto Nicolini, ''Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa'',
Contrari all'interpretazione [[immanenza|immanentistica]] della Provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la trascendenza:
* E. Chiocchietti, ''La filosofia di G. B. Vico'', Milano, Vita e Pensiero,
* F. Amerio, ''Introduzione allo studio di Vico'',
* L. Bellafiore, ''La dottrina della Provvidenza in G. B. Vico'',
* A. Mano, ''Lo storicismo di G. B. Vico'', Napoli, 1965.
* F. Lanza, ''Saggi di poetica vichiana, ''
Il dibattito tra le interpretazioni laiche e cattoliche su Vico si è attenuato in periodi recenti dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della sua dottrina:
* {{cita libro|autore=G. Fassò|wkautore=Guido Fassò|titolo=I «quattro auttori» del Vico. Saggio sulla genesi della Scienza nuova|editore=Giuffrè|anno=1949|città=Milano|isbn=
* {{cita libro|autore=G. Fassò|titolo=Vico e Grozio|editore=Guida|città=Napoli|anno=1971|isbn=
* {{cita pubblicazione|autore=Maura Del Serra|titolo=Eredità e kenosi tematica della "confessio" cristiana negli scritti autobiografici di Vico|pubblicazione=Sapientia|volume=XXXIII|numero=2|anno=1980|pp=186–199}}
** sulla concezione della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero vichiano:
* A. R. Caponigri, ''Time and Idea'', Londra-Chicago 1953, trad. it. ''Tempo e idea'',
** sulla estetica vichiana gli studi più notevoli sono quelli di
* Giovanni A. Bianca, ''Il concetto di poesia in G.B.Vico'', Messina, D'Anna,
* Thomas Gilbhard, ''Vicos Denkbild. Studien zur Dipintura der Scienza Nuova und der Lehre vom Ingenium'', Berlin, Akademie Verlag, 2012, ISBN 978-3-05-005209-0.
* Giuseppe Patella, ''Senso, corpo, poesia. Giambattista Vico e l'origine dell'estetica moderna'', Milano. Guerini, 1995, ISBN 8881070340.
* Giuseppe Patella, ''
*
* Giuseppe Prestipino, ''La teoria del mito e la modernità di G. B. Vico'', in «Annali della Facoltà di Palermo», 1972.
*
** sugli aspetti giuridici e sociologici:
* L. Bellafiore, ''La dottrina del diritto naturale in G. B. Vico'', Milano, 1954.
* B. Donati, ''Nuovi studi sulla filosofia civile di G. B. Vico'', Firenze, 1947.
* P. Fabiani, [https://www.academia.edu/4746615/Paolo_Fabiani_-_La_filosofia_dellimmaginazione_in_Vico_e_Malebranche, ''La filosofia dell'immaginazione in Vico e Malebranche''], Firenze, Firenze University Press, 2002.
* [[Ferdinand Fellmann]], ''Das Vico-Axiom: Der Mensch macht die Geschichte'', Freiburg/München, Alber, 1976, ISBN 3-495-47334-3.
* V. Giannantonio, ''Oltre Vico - L'identità del passato a Napoli e Milano tra '700 e '800'',
* G. Leone, [rec. al vol. di] V. Giannantonio,
* D. Pasini, ''Diritto, società e stato in Vico'', Napoli Jovene, 1970.
* Raffaele Ruggiero, ''Jean-Baptiste Vico. La carrière d'un homme de lettres dans la Naples des Lumières'', Parigi, Les Belles Lettres, 2023.
* Winfried Wehle, ''Sulle vette di una ragione abissale: Giovambattista Vico e l'epopea di una 'Scienza Nuova' '', in Andrea Battistini, Pasquale Guaragnella, ''Giambattista Vico e l'enciclopedia dei saperi'', Lecce, Pensa Multimedia, 2007, pp. 445–466, ISBN 978-88-8232-512-1 [http://edoc.ku-eichstaett.de/4311/1/Sulle_vette_23.pdf PDF].
== Voci correlate ==
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[[Categoria:Filosofi della storia]]
[[Categoria:
[[Categoria:Filosofi del diritto]]
[[Categoria:Accademici dell'Arcadia]]
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