Spedizione dei Mille: differenze tra le versioni
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{{conflitto
|Tipo = Operazione militare
|Nome del conflitto =
|Parte_di = del [[Risorgimento]]
|Immagine = Partenza da Quarto.jpg
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|Luogo = [[isola di Sicilia|Sicilia]] e successivamente [[Italia meridionale]]
|Esito = Vittoria garibaldina, annessione del Regno delle Due Sicilie al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], futura [[Unità d'Italia]]
|Schieramento1 = {{SAR 1851-1861}} <br />{{•}}
[[File:Flag of Italy (1861–1946).svg [[File:Flag of Italy (1861–1946).svg|20px|border]] [[Esercito meridionale]] |Schieramento2 = [[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg
|Comandante1 = [[File:Flag of Italy (1861–1946).svg|20px|border]] [[Giuseppe Garibaldi]]
|Comandante2 = [[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg
|Effettivi1 = * {{formatnum:1162}} alla [[Partenza della spedizione dei Mille da Quarto|partenza da Quarto]]
* {{formatnum:50000}} dopo la [[battaglia del Volturno]]
** {{formatnum:20000}} provenienti dalle [[Sbarchi dei rinforzi alla spedizione dei Mille|spedizioni successive alla prima]]
** {{formatnum:30000}} volontari dell'[[Esercito meridionale]].
|Effettivi2 = *
|Note = {{Cita|Trevelyan 1909|p. 170}}; {{Cita|Banti|p. 115}}.
}}
{{Campagnabox Spedizione dei Mille}}
La '''spedizione dei Mille''' fu uno degli episodi cruciali del [[Risorgimento]].
Lo scopo della spedizione era di rovesciare il governo borbonico e appoggiare le rivolte scoppiate sull'isola.
I garibaldini sbarcarono l'11 maggio presso [[Marsala]] e, con il contributo di volontari meridionali e a rinforzi alla spedizione, aumentarono di numero, creando l'[[Esercito meridionale]].
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{{legenda|#00FF00|[[Stato pontificio]]}}
{{legenda|#FF0000|[[Regno delle Due Sicilie]]}}|sinistra]]
Nel marzo 1860 esistevano in [[Italia]] tre Stati: il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], comprendente [[Piemonte]], [[Valle d'Aosta]], [[Liguria]], [[Sardegna]] e ora [[Lombardia]] (eccetto [[Mantova]]), [[Emilia-Romagna]] e Toscana; lo [[Stato Pontificio]], comprendente [[Umbria]], [[Marche]], [[Lazio]]
Bisogna aggiungere che l'[[Impero austriaco]] di [[Francesco Giuseppe I d'Asburgo|Francesco Giuseppe]] poteva ancora essere considerato una potenza con forti interessi nella penisola italiana, poiché possedeva intere regioni come il [[Regno Lombardo-Veneto]] (ora limitato a [[Veneto]], [[Friuli]] e [[Provincia di Mantova (Lombardo-Veneto)|Mantovano]]), il [[Trentino]] e la [[Venezia Giulia]], anche se non controllava più nemmeno indirettamente né la Toscana né [[Modena]], governate fino al 1859 dai rami cadetti degli [[Asburgo-Lorena di Toscana]] e degli [[Asburgo-Este]], succeduti alle antiche casate dei [[Medici]] e degli [[Este]].
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Dopo la vittoria franco-piemontese nella [[battaglia di Magenta]], a Napoli si ebbero vivaci manifestazioni anti-austriache dei liberali, che convinsero Francesco II a nominare il generale [[Carlo Filangieri, principe di Satriano|Carlo Filangieri]] primo ministro e ministro della guerra, non lasciandogli tuttavia scegliere i ministri del suo governo<ref>{{cita|de Cesare|pp. 5-6}}.</ref>.
La popolazione delle province continentali conservava la suddivisione in due parti politiche, o in "due nazioni", secondo la definizione di [[Vincenzo Cuoco]]<ref>{{Cita libro|autore=Salvatore Lupo|titolo=L'unificazione italiana: mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile|editore=Donzelli|città=Roma|anno=2011|ISBN=9788860366276|p=11}}</ref>: la prima di possidenti e la seconda del popolo delle campagne e della capitale (ovvero i [[lazzari]]); quest'ultima era generalmente vicina alla dinastia borbonica, come avevano dimostrato il successo del [[Sanfedisti|movimento sanfedista]], che nel [[1799]] aveva rovesciato la [[Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napoletana]], con la strage dei giacobini del [[Regno di Napoli|regno]], la resistenza antifrancese del periodo 1806-1815 e il fallimento della [[spedizione di Sapri]] di [[Carlo Pisacane]] del 1857 e come dimostrerà anche il successivo e complesso fenomeno del [[brigantaggio postunitario]].
{{#tag:ref|Il brigantaggio postunitario si configurò come un fenomeno di difficile interpretazione, dove le tre classiche chiavi di lettura dello stesso (quella liberale-crociana, quella marxista-gramsciana e quella legittimista), adoperate singolarmente, non sono sufficienti per la comprensione della dinamica complessa delle sinergie rivoluzionarie (quella politica, quella sociale e quella delinquenziale)<ref>{{cita libro|cognome=D'Ambra|nome=Angelo|titolo=Il brigantaggio postunitario in Terra di Lavoro|anno= 2010|editore=Delta 3 Edizioni|città=Grottaminarda|p=5}}</ref>.|group=N}}, mentre la prima si era manifestata con i [[Moti del 1820-1821#Il moto carbonaro di Napoli|moti costituenti]] nel 1820 a Napoli, i [[Moti del Cilento (1828)|moti del Cilento]] nel 1828, i moti di [[Penne (Italia)|Penne]] nel 1837, i moti di Reggio Calabria del 1847 e di Sicilia e Calabria del 1848 [[Moti del Cilento (1848)|ancora nel Cilento]] nel 1848 e nello stesso anno a Napoli con l'ottenimento [[Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1848|della Costituzione]] revocata l'anno seguente.
Prima dell’arrivo di Garibaldi si era pensato a un complotto contro il nuovo re Francesco II e la giovanissima consorte [[Maria Sofia di Baviera]]. L’ascesa al trono dei giovani sovrani avrebbe infatti suscitato sentimenti di gelosia da parte della vedova di Ferdinando II e matrigna di Francesco II, la precedente regina [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa]], che mal si rassegnava alla perdita del potere. Si pensò allora a una congiura con l’aiuto della [[camarilla]] per sostituire Francesco II con il [[Luigi di Borbone-Due Sicilie (1838-1886)|Conte di Trani]], secondogenito della regina madre austriaca. Le prove, vere o no, raccolte da Carlo Filangieri vennero gettate nelle fiamme del camino dallo stesso Francesco II, che pronunciò le parole “''È la moglie di mio padre''“<ref>{{Cita|de Cesare|pp. 24-25}}.</ref>.
▲Prima dell’arrivo di Garibaldi si era pensato a un complotto contro il nuovo re Francesco II e la giovanissima consorte [[Maria Sofia di Baviera]]. L’ascesa al trono dei giovani sovrani avrebbe infatti suscitato sentimenti di gelosia da parte della vedova di Ferdinando II e matrigna di Francesco II, la precedente regina [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa]], che mal si rassegnava alla perdita del potere. Si pensò allora a una congiura con l’aiuto della [[camarilla]] per sostituire Francesco II con il [[Luigi di Borbone-Due Sicilie (1838-1886)|Conte di Trani]], secondogenito della regina madre austriaca. Le prove, vere o no, raccolte da Carlo Filangieri vennero gettate nelle fiamme del camino dallo stesso Francesco II, che pronunciò le parole “''È la moglie di mio padre''“<ref>{{Cita|de Cesare|pp. 24-25}}.</ref>. <br />
[[Luigi Settembrini]] aveva evidenziato e denunciato le gravi problematiche in cui versava il regno con la sua [[s:Protesta del popolo delle Due Sicilie|Protesta del popolo delle Due Sicilie]].
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=== I dubbi di Garibaldi ===
[[File:Giuseppe Garibaldi 1861.jpg|miniatura|[[Giuseppe Garibaldi]]|sinistra]]
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, inizialmente Garibaldi non era a favore dello sbarco in Sicilia; egli pensava, invece, di poter sfruttare il favorevole momento di giovanile entusiasmo patriottico per tentare un'invasione dello [[Stato Pontificio]] con una rapida e fulminea marcia su Roma. Impresa questa sicuramente più facile, come gli prospettavano i suoi più fidi amici, che affrontare una lunga navigazione e sfuggire al controllo delle 24 navi della Marina borbonica senza essere catturati o affondati. Inoltre in Sicilia i garibaldini avrebbero dovuto affrontare un forte esercito di 25.000 soldati<ref group=N>25.000 secondo George Macaulay Trevelyan, 36.000 secondo Leone Fortis.</ref>, senza considerare altre difficoltà, come superare lo [[Stretto di Messina]].<ref name=Fortis>{{cita libro|titolo=Francesco Crispi|url=https://archive.org/details/francescocrispi00viangoog|autore=[[Leone Fortis]]|editore=Enrico Voghera|anno=1895|pp=
{{citazione|''È a Roma'' – si diceva – ''e non a Palermo che si deve e si può sciogliere per l’Italia il nodo della questione unitaria''.| {{cita libro|titolo=Francesco Crispi|url=https://archive.org/details/francescocrispi00viangoog|autore=[[Leone Fortis]]|editore=Editore Enrico Voghera|anno=1895|pp=
I sostenitori dell’azione su Roma ritenevano che l'eventuale successo avrebbe avuto un contraccolpo in Francia, dando occasione ai repubblicani francesi di liberarsi dell'[[Secondo Impero francese|impero di Napoleone III]], percepito come il maggiore ostacolo all’unità d’Italia.
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=== Regno delle Due Sicilie ===
{{Vedi anche|Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1860#Esercito}}
L’esercito borbonico era molto ben equipaggiato e armato in gran parte con fucili a canna rigata o adattati con rigatura, possedeva una buona cavalleria e ottima artiglieria, anche a canna rigata, che venne impiegata a Capua
=== Garibaldini ===
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Sulla base della documentazione disponibile, gli storici hanno stimato il numero dei volontari partiti il 5 maggio 1860 da Genova in 1.150, dei quali 1.089 sarebbero dovuti sbarcare a [[Sbarco a Marsala|Marsala]], in quanto una sessantina erano stati destinati alla [[diversione dello Zambianchi]] ed alcuni avevano poi lasciato la spedizione per contrasti politici.
Lo storico Mario Menghini cita anche che a [[Talamone]] Garibaldi scartò dagli effettivi un centinaio di volontari non ritenuti idonei per vari motivi e per questioni di spazio a bordo.
I volontari dismessi fecero quindi ritorno a Genova anche via Livorno (Supplemento al Movimento del 13 maggio 1860); secondo tale dato, il numero dei volontari partiti da Talamone dovrebbe pertanto essere sceso a meno di 1.000.<ref>La Spedizione garibaldina di Sicilia e di Napoli–Mario Menghini - pagg. 13-14
Ai volontari ripartiti da Talamone qualcuno si era aggregato a [[Porto Santo Stefano]], nascondendosi nelle stive. A Porto Santo Stefano furono respinti molti militari che avrebbero voluto unirsi alla spedizione.<ref>Garibaldi e i Mille - [[George Macaulay Trevelyan]] – pp. 269 e 286
Si ritiene che, prima dello scioglimento dell'[[Esercito meridionale]], il numero totale dei garibaldini avesse raggiunto i 50.000. Occorre però considerare che l’Esercito garibaldino, anche se ispirato alle norme del regolare Corpo dei [[Cacciatori delle Alpi]], era composto di volontari, anche [[I Mille#I garibaldini stranieri|stranieri]], organizzati autonomamente in maniera spesso improvvisata; pertanto le ricostruzioni da parte degli storici, basate solo su documenti, possono incontrare falsi, in quanto la formazione dei reparti e la loro consistenza erano variabili e non sempre documentate come in un esercito regolare, anche per mancanza di tempo e di personale dedicato.
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[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno Gerolamo, La partenza del garibaldino.jpg|miniatura|sinistra|[[Gerolamo Induno]]: La partenza del garibaldino]]
Nella notte fra il 5 e 6 maggio, sotto il comando di Bixio, un gruppo di garibaldini si impadronì delle due navi, simulando il furto, come da accordi e segretamente sorvegliati dalle autorità piemontesi.<ref name="Romeo1"/>
A spedizione conclusa, alla società di navigazione Rubattino sarà anche riconosciuta, con decreto dittatoriale di Garibaldi del 5 ottobre 1860, la somma di 1,2 milioni di lire come risarcimento per la perdita del ''[[Piemonte (nave)|Piemonte]]'' e del ''[[Lombardo (nave)|Lombardo]]'', valutati 750 000 lire, e del piroscafo ''Cagliari'', valutato 450 000 lire (che era stato adoperato per la fallita spedizione di [[Carlo Pisacane|Pisacane]] nel 1857 e poi restituito all'armatore dal governo borbonico)<ref>{{cita libro |cognome= Servidio |nome= Aldo |titolo= Op. cit. |p= 93 }}</ref>.
Subito dopo la partenza della spedizione, Fouché avvisò le autorità portuali della scomparsa delle due navi e contemporaneamente garantì che il servizio postale, in appalto alla ''Rubattino'', non sarebbe stato interrotto. Il "furto" provocò una riunione d'urgenza dei soci e dei creditori della Rubattino, che il 7 maggio indirizzarono una protesta al governo sardo ritenuto colpevole di negligente sorveglianza e quindi responsabile del danno ricevuto dalla società, che finanziariamente non era in buona salute. Il Fauché rifiutò (a lui sarebbe spettato, quale direttore generale, di protestare ufficialmente e di sporgere denuncia per il furto); il fatto di aver abusato della sua posizione portò poche settimane dopo al suo licenziamento<ref>{{Cita|Agrati|p. 38}}.</ref>.
L'episodio ebbe anche uno strascico polemico, in quanto il Fauché fece pubblicare sui giornali genovesi una lettera scrittagli dal Bertani<ref>Vedi articolo ''La compagnia Rubattino e la causa nazionale'' in prima pagina del giornale di Genova ''Il movimento'', 21 giugno 1860</ref> in cui questo si rammaricava della sua estromissione dalla Rubattino accusando, senza nominarlo, l'armatore di «non capire che per formare la grande Società della Nazione, deve sacrificarsi qualunque società privata»<ref>vedi pagg. 232-236 in {{cita pubblicazione |cognome=Pipitone Federico |nome=Giuseppe |anno=1931 |mese=XVIII Congresso sociale di Palermo |titolo=Di alcune note autobiografiche di patrioti che presero parte alle rivoluzioni siciliane del 1848 e 1860 |rivista=Rassegna Storica del Risorgimento |volume=anno VIII |numero=suppl. al fasc. I |pp=228-243 |url=http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=16995 |accesso=9 ottobre 2015 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160304201714/http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=16995 |urlmorto=sì }}</ref>; [[Raffaele Rubattino]] si difese scrivendo il 23 giugno a [[Giacomo Medici]], chiedendogli che difendesse presso Garibaldi e i conoscenti il suo buon nome di patriota<ref>{{Cita|Agrati|p. 41}}.</ref><ref>{{DBI |nome=FAUCHÈ, Giovanni Battista |nomeurl=giovanni-battista-fauche |autore=Anna Maria Isastia |anno=1995 |volume=45 |accesso=8 ottobre 2015 }}</ref>. La polemica tra il Rubattino e il Fauché su chi aveva il merito patriottico di aver fornito le navi ai Mille sarebbe continuata negli anni a venire.
A eccezione delle prime due navi, ''Piemonte'' e ''Lombardo'', che non potevano fare scalo in [[Sardegna]] per espressa disposizione di [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], a partire dalla Spedizione [[Giacomo Medici|Medici]] tutte le [[#Gli sbarchi successivi al primo di Marsala|spedizioni successive]] fecero scalo a [[Cagliari]] per rifornirsi prima di continuare il viaggio verso le coste della Sicilia<ref>Garibaldi and the making of Italy – G.M. Trevelyan – pag. 49</ref>.
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{{Vedi anche|Sosta dei Mille a Talamone|Diversione Zambianchi}}
[[File:Targa in ricordo della sosta di G.Garibaldi.jpg|upright=0.6|miniatura|Targa in ricordo della sosta dei Mille a [[Porto Santo Stefano]] il 9 maggio 1860]]
I volontari, che al momento della partenza ammontavano sembra a 1.162, erano armati di vecchi [[Moschetto|moschetti]] (a canna liscia) e privi di munizioni e polvere da sparo. Infatti, i due vapori piemontesi avrebbero dovuto incontrarsi nella notte con alcune scialuppe che avevano il compito di rifornirli, ma non vi riuscirono a causa di misteriose e controverse circostanze<ref>Giuseppe Cesare Abba, ''Storia dei Mille'', Bemporad, 1926 (1904)</ref>. Da ciò conseguì la decisione di Garibaldi di compiere una [[Sosta dei Mille a Talamone|sosta]] il 7 maggio a [[Talamone]]; al largo nei pressi di Piombino aveva atteso l'arrivo dei vapori, la tartana Adelina con una settantina di volontari livornesi al comando di [[Andrea Sgarallino]].
Tra Talamone e Orbetello, Garibaldi recuperò, oltre alle munizioni, tre vecchi cannoni, un centinaio di [[Pattern 1853 Enfield|moschetti Enfield]] e una [[colubrina]], presso le guarnigioni della [[Regia Armata Sarda]] di stanza nelle fortificazioni toscane.
Durante lo scalo decine di bersaglieri, artiglieri e militi della guardia di finanza delle guarnigioni di Orbetello dettero l’assalto alle navi per partecipare alla spedizione, ma Garibaldi, che aveva dato la sua parola sul fatto che non avrebbe accettato soldati dell’esercito italiano, fece scendere tutti, tranne qualcuno che riuscì a nascondersi nelle stive<ref>George Macaulay Trevelyan - Longmans, Green, & Co. - London - 1912 - pag. 221 - Garibaldi and the Thousand</ref>, tra cui [[Francesco Bidischini]].
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Durante la sosta a Talamone, Garibaldi ordinò al colonnello [[Callimaco Zambianchi]] a 64 volontari e ai livornesi di Andrea Sgarallino di distaccarsi dalla spedizione per tentare un'[[Diversione dello Zambianchi|insurrezione]] nello Stato Pontificio evitando la guarnigione francese nel Lazio. In caso di successo, il gruppo di circa 200 volontari avrebbe dovuto proseguire verso est e poi verso sud, facendo credere che l'attacco garibaldino veniva effettuato su più fronti e quindi provocare un teorico spostamento di forze borboniche verso il nord del Regno delle Due Sicilie, per facilitare l'azione di Garibaldi in Sicilia. L'azione si concluse con un rapido fallimento, il ritiro dai territori papali e l'arresto di Zambianchi, che sarà successivamente liberato e lasciato partire per il Sudamerica. Oltre ai 64 volontari staccatisi dal gruppo, 9 mazziniani, convinti repubblicani, abbandonarono la spedizione quando compresero che si sarebbe combattuto per la monarchia sabauda, mentre i restanti 1.089 proseguirono nel viaggio, con la disposizione, incrociando altre navi, di mostrare solo l'equipaggio, nascondendo quindi alla vista i volontari imbarcati. Le due navi di notte ebbero l'ordine di navigare vicine<ref>{{Cita|Agrati|p. 136}}.</ref>.
Non trovando carbone ad [[Orbetello]], una seconda sosta fu effettuata il 9 maggio, nel vicino [[Porto Santo Stefano]], per rifornimento di carbone e acqua potabile, elementi senza i quali non sarebbero mai arrivati a Marsala<ref>{{Cita web|url =http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2012/05/01/news/la-partenza-dei-mille-di-garibaldi-1.4450873|titolo = La partenza dei Mille di Garibaldi/Il Tirreno|accesso = 17 gennaio 2016}}</ref><ref>{{Cita web|url = http://www.comunemonteargentario.gov.it//multimedia/info/1/306_2011/17ot11.pdf|titolo = Archivio Comune di Monte Argentario pag. 2|accesso = 17 gennaio 2016|urlarchivio = https://web.archive.org/web/20170101161313/http://www.comunemonteargentario.gov.it//multimedia/info/1/306_2011/17ot11.pdf|urlmorto = sì}}</ref>. Mentre le due navi erano alla fonda nella rada di Porto Santo Stefano, Garibaldi dette forma e consistenza al suo piccolo esercito, nominò i comandanti e gli ufficiali, assegnò compiti e incombenze, distribuì armi e munizioni<ref name="Le mille storie dei Mille a Porto Santo Stefano/Il Tirreno">{{Cita web|url=http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2012/05/17/news/le-mille-storie-dei-mille-a-porto-s-stefano-1.4661776|titolo=Le mille storie dei Mille a Porto S. Stefano|sito=Il Tirreno|data=18 maggio 2012
Negli stessi giorni, il 7 e l'8 maggio, il comandante della marina sarda [[Carlo Pellion di Persano]], alla guida di una divisione composta da tre pirofregate, aveva ricevuto da Cavour, tramite il governatore di [[Cagliari]], l'ordine di arrestare la spedizione dei Mille solo se i legni di Garibaldi avessero fatto scalo in un porto della Sardegna, ma di non inseguirli se fossero stati incrociati in mare<ref>{{cita libro|cognome= Pellion di Persano |nome= Carlo |wkautore= Carlo Pellion di Persano |titolo= La presa di Ancona: Diario privato politico-militare (1860) |url= http://books.google.it/books?id=AB8VCJ6Q1EkC&pg=PA78 |accesso= 28 ottobre 2010 |anno= 1990 |editore= Edizioni Studio Tesi|città= Pordenone |isbn= 88-7692-210-5 |pp= 78-79 }}</ref>. L'11 maggio, in seguito alla richiesta del Persano di ricevere conferma degli ordini ricevuti, il conte di Cavour rispose con un [[telegramma]], ribadendo le disposizioni del governo piemontese<ref>{{cita libro|cognome= Pellion di Persano |nome= Carlo |wkautore= Carlo Pellion di Persano |titolo= Op. cit. |url= http://books.google.it/books?id=AB8VCJ6Q1EkC&pg=PA8 |p= 8 }}</ref>. Oltre ai legni piemontesi, altre imbarcazioni solcavano le acque del [[Mare Tirreno|Tirreno]]: infatti, il [[contrammiraglio]] [[George Rodney Mundy]], vicecomandante della [[Mediterranean Fleet]] della [[Royal Navy]], aveva ricevuto ordine, dal suo governo, di assumere il comando del grosso delle unità navali della sua flotta e di incrociare nel Tirreno e nel [[canale di Sicilia]], effettuando frequenti scali nei porti delle Due Sicilie, oltre che a scopo intimidatorio<ref>{{cita libro|cognome= Santoni |nome= Alberto |titolo= Storia e politica navale dell'età moderna: XV-XIX secolo |anno= 1998 |editore= Ufficio storico della marina militare |città= Roma |p= 305 }}</ref> e di raccolta di informazioni, anche al fine di attenuare la capacità di reazione borbonica<ref>{{cita libro|cognome= Martucci |nome= Roberto |titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 |anno= 1999 |editore= Sansoni |città= Firenze |isbn= 88-383-1828-X |p= 165 }}</ref>, anche se tale supposta presenza dissuasiva non ebbe particolare effetto, in quanto i circa 1.000 del gruppo garibaldino [[Clemente Corte|Corte]], partito da Genova nella notte tra l'8-9 giugno e in navigazione sulle navi ''Utile'' e ''Charles and Jane'', vicini a [[Capo Corso]] erano stati intercettati e catturati dalla [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Marina borbonica]], che li aveva condotti a [[Gaeta]] e successivamente rilasciati. I circa 1.000 del gruppo Corte si imbarcheranno di nuovo per il Sud il 15 luglio sulla nave ''Amazon''<ref>Garibaldi and the making of Italy - G.M. Trevelyan - Appendice B -pag. 318</ref>.
[[File:Mancata collisione tra Piemonte e Lombardo - IMDMSR GO pag. 192.JPG|miniatura|upright=1.2|Immagine caricaturale della mancata collisione tra [[Piemonte (nave)|Piemonte]] e [[Lombardo (nave)|Lombardo]]|alt=|sinistra]]
La navigazione procedette senza problemi l’8 e il 9 maggio, ma nella notte tra il 9 e il 10 in avvicinamento alla Sicilia, Garibaldi decise di navigare coperto dalle isole di [[isola di Marettimo|Marettimo]] e di [[Isola di Favignana|Favignana]] per poi sbarcare nel punto che era più adatto. Il ''Piemonte'' rallentò per attendere il ''Lombardo'' più arretrato e avvertire Bixio dell’operazione, ma a quel punto si presentò una situazione pericolosa, perché a nord e a ponente si vedevano i fanali rossi della flotta nemica; Garibaldi diede l’ordine di spegnere tutte le luci di bordo e di fare silenzio per evitare che il Piemonte fosse individuato<ref>{{Cita|Crispi|pp. 174-175}}.</ref>. Mentre il ''Lombardo'' si avvicinava all'isola di Marettimo intravide la massa scura del ''Piemonte'' a luci spente e, scambiandola per una nave nemica, puntò verso di essa alla massima velocità, in quanto, in caso di incontro con nave nemica, Garibaldi aveva in precedenza dato ordine di gettarsi all’abbordaggio. Questo non avvenne, anche perché [[Augusto Elia]] al timone riconobbe il suono della campana del ''Piemonte'', avvisando prontamente Bixio<ref>
{{Citazione|''Nino ! Oh ! Nino …'' (i due legni si avvicinano) ''… Che fai ? Vuoi colarci a fondo ?'',<br/> ''Nino Bixio risponde'' – ''Generale non vedevo più i segnali.''|{{Cita|Crispi|pp. 174-175}}.}} Da quel momento le due navi navigarono assieme. Sulle modalità di svolgimento del mancato incidente esistono anche altre versioni<ref>{{Cita|Agrati|pp. 144-148}}.</ref>.
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[[File:Sbarco Marsala 1860.jpg|upright=1.4|miniatura|sinistra|Lo sbarco dei Mille a Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore a bordo di una nave inglese]]
I due vapori, per evitare navi borboniche, avevano seguito una rotta inconsueta<ref name="decesare204-205">{{cita libro|cognome= de Cesare |nome= Raffaele |wkautore= Raffaele de Cesare |titolo= La fine di un regno |volume= 2 |anno= 1900 |editore= Scipione Lapi |città= Città di Castello |pp= 204-205 }} {{NoISBN}}</ref>, che li aveva portati fin quasi sotto le coste [[Tunisia|tunisine]]. Su tale rotta vicino alle coste tunisine è stato però osservato che il mattino dell'ultimo giorno di navigazione, alla velocità del ''Lombardo'' di 7 miglia orarie e dopo 40 ore di navigazione, i due vapori non potevano trovarsi a più di 280 miglia dalla partenza dall'[[Promontorio dell'Argentario|Argentario]] e quindi circa all'altezza delle [[isole Egadi]] o a ovest delle stesse, ad almeno 70 miglia dal [[Capo Bon]], senza considerare i ritardi e le soste<ref>I Mille nella storia e nella leggenda, Carlo Agrati, pagg. 148-149</ref>.
I Mille, intenzionati a volgere verso [[Sciacca]], dopo avere escluso [[Porto Palo]], tra [[Selinunte]] e [[Sciacca]], per basso fondale e difficoltà di sbarco,
[[File:Sbarco di Garibaldi a Marsala - SISSA 1860 pag. 89.JPG|miniatura|upright=1.4|Garibaldi sbarca a Marsala]]
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{{vedi anche|Battaglia di Calatafimi}}
[[File:Calatafimi battaglia - SIDVDG 1860.JPG|miniatura|upright=1.35 |Per tradizione, come per lo sbarco di Marsala, i garibaldini vengono raffigurati tutti con la camicia rossa, anche se la sua adozione in massa avvenne solo dopo la presa di Palermo; inizialmente era solo una minoranza a indossarla]]
I Mille, affiancati da 500 "picciotti", ebbero un primo scontro il 15 maggio 1860 nella [[battaglia di Calatafimi]] contro circa 3.000 soldati borbonici<ref>Secondo il De Cesare (II. 210) i soldati regi sarebbero stati 4.000 ed il
Lo scontro si svolse fuori dall'abitato in una località che i memorialisti dell'epoca riportarono come "Pianto Romano" e si risolse in
Sconfitte le truppe borboniche,
Alla notizia della sconfitta di Calatafimi, Francesco II chiese al generale Filangeri di riprendere servizio, ma costui si rifiutò; il re, con una cerimonia ufficiale, depose ai piedi della statua di [[San Gennaro]] lo scettro e la corona, nominando il santo re di Napoli e implorando invano il miracolo della liquefazione del sangue; dietro suggerimento della consorte cominciò a considerare di concedere la costituzione, e cominciò a sondare l'opinione di padre Borelli, influente cappellano di corte, ricevendo una netta risposta negativa<ref>vedi pag. 144-146 A. Petacco (2009)</ref>.
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[[File:Palermo 1860 dopo vittoria garibaldini.jpg|miniatura|upright=1.1|Fotografia di una strada di [[Palermo]] dopo i combattimenti: sono visibili le barricate e gli edifici distrutti dal bombardamento borbonico]]
Dopo la battaglia di Calatafimi Garibaldi puntò su Palermo passando da Alcamo e Partinico. Tuttavia il 19 maggio, arrivato a [[Pioppo (Monreale)|Pioppo]] presso [[Monreale]] e ormai vicino a Palermo, decise di ripiegare per l'interno passando da [[Altofonte]] e retrocedendo fino a [[Piana degli Albanesi]]. In questa sorta di ritirata, resa più dura da un temporale, i garibaldini, intercettati da truppe regie, rischiarono di subire una sconfitta, ma tutto si
Negli scontri per l'ingresso in città cadeva l'ungherese [[Lajos Tüköry]], mentre furono feriti, fra gli altri, [[Benedetto Cairoli]], [[Stefano Canzio]] e [[Nino Bixio]].[[File:Fattori. Garibaldi a Palermo.jpg|miniatura|upright=1.1|Fattori, Garibaldi a Palermo|alt=|sinistra]]Aiutati dall'[[Insurrezione di Palermo (1860)|insurrezione di Palermo]], tra il 28 maggio e il 30 maggio i garibaldini e gli insorti, combattendo spesso strada per strada, conquistarono tutta la città, nonostante il bombardamento indiscriminato condotto dalle navi borboniche e dalle postazioni presenti presso il piano antistante il [[Palazzo dei Normanni]] e il [[Castello a Mare (Palermo)|Castello a Mare]]. Il 29 maggio si ebbe un deciso contrattacco delle truppe regie che, però, venne arginato.
Il giorno 30 maggio i borbonici, asserragliati nelle fortezze lungo le mura, chiesero un armistizio. Garibaldi, ormai padrone della città, si proclamò "dittatore", nominando un governo provvisorio in cui risaltava il ruolo di Francesco Crispi.
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Uno dei primi atti di Garibaldi fu l'emanazione del decreto del 28 maggio<ref>Per il decreto vedere: [[#Le_rivolte_contadine|Le rivolte contadine]]</ref> con il quale disponeva che le terre dei demani comunali (e, in mancanza di queste, quelle appartenenti al demanio statale) fossero divise tra i contadini nullatenenti che avessero combattuto ai suoi ordini come volontari.
In quei giorni il porto di Palermo divenne un affollato crocevia dei più disparati personaggi, compresi molti cronisti di giornali inglesi e americani, tra cui l'ungherese naturalizzato britannico [[Nándor Éber]], corrispondente del ''[[Times]]'', che entrò a far parte dei Mille con il grado di colonnello. Il 30 maggio sbarcò dal suo panfilo personale [[Alexandre Dumas (padre)|Alexandre Dumas]], con armi e champagne, accompagnato dal massone [[Giustiniano Lebano]]<ref>{{Cita libro|nome=Angelandrea|cognome=Casale|titolo=Giustiniano Lebano Un massone alle falde del Vesuvio (1832-1910)|anno=2015|editore=Youcanprint|isbn=8893210525}}</ref>. Il 6 giugno arrivò [[Giuseppe La Farina]], inviato da Cavour, che temeva una possibile influenza dei mazziniani. La Farina avrebbe dovuto, nel desiderio di Cavour, prendere il controllo politico della situazione a favore del Regno di Sardegna, ma non trovò al momento un'accoglienza favorevole. Lascerà nelle lettere di quei giorni severi giudizi sui garibaldini e il governo dittatoriale e continuerà a complottare per l'immediata annessione, fino alla sua espulsione dall'isola.
[[Michele Amari]], osservatore definito imparziale, moderato e cavourriano, rientrato in Sicilia il 3 luglio 1860, così descriveva la situazione a Palermo:{{Citazione|''In Palermo non si sentono né i furti, né gli omicidi, né le altre violenze del 1848; questo lo posso affermare.'' <br/>
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Il 2 giugno a Palermo furono creati da Garibaldi sei dicasteri: della Guerra, dell'Interno, delle Finanze, della Giustizia, dell'Istruzione pubblica e del culto, degli Affari esteri e del commercio<ref>http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Lecartedellastoria/decreto%202%20giugno%20-%20dicasteri.pdf</ref>. Garibaldi nominò inoltre propri rappresentanti presso i governi di Londra, Parigi e Torino. Firmò anche un decreto che assegnava pensioni alle vedove e assistenza di stato agli orfani dei caduti per la causa nazionale, assimilando a questi anche i tredici fucilati del 14 aprile 1860, durante la cosiddetta [[#La_rivolta_della_Gancia_a_Palermo|Rivolta della Gancia]].
Rappresentante presso il governo provvisorio siciliano da parte del [[Regno di Sardegna]] fu inviato il siciliano [[Giuseppe La Farina]], con l'intento di controllare e condizionare l'operato di Garibaldi e per questo già a luglio espulso da Palermo; al suo posto Cavour inviò [[Agostino Depretis]]. Il 20 luglio Garibaldi nominò lo stesso Depretis "prodittattore", con l'esercizio di "tutti i poteri conferiti al Dittatore dai comuni della Sicilia". Il 14 settembre, tuttavia, Depretis si dimise, non avendo potuto convincere il generale all'annessione diretta della Sicilia al Regno di Sardegna e il 17 si insediò al suo posto [[Antonio Mordini]], che restò fino alla conclusione del [[Plebiscito delle province siciliane del 1860|plebiscito d'annessione]]<ref>
==== Gli sbarchi dei rinforzi e la formazione dell'esercito meridionale ====
{{vedi anche|Sbarchi dei rinforzi alla spedizione dei Mille}}
Il 2 e il 3 giugno arrivarono a Catania, che intanto era insorta, due imbarcazioni con diversi volontari e rifornimenti provenienti da Genova, dopo un lungo viaggio che aveva toccato Malta. Il 7 giugno arrivarono da Malta 1.500 fucili di produzione britannica. Sbarcò a Marsala una nave di rifornimenti (l'''Utile'') con 69 uomini al comando di [[Carmelo Agnetta]], 1.000 fucili e molte munizioni, che incontrarono [[Giuseppe Cesare Abba]] l'11 giugno a Palermo. Secondo Abba avevano portato "''[...] due migliaia tra schioppi e schioppacci, e molte munizioni e i loro cuori''".<ref>Giulio Adamoli, ''Da San Martino a Mentana. Ricordi di un volontario'', Milano, Fratelli Treves, Editori, 1911, pag. 79</ref><ref>Secondo Abba erano 60 volontari e l'11 giugno era la data di incontro e non di sbarco avvenuto in precedenza (infatti l'Utile era ripartito da Genova tra l'8-9 giugno per il secondo viaggio) - (vedi: Garibaldi e la formazione dell'Italia - appendice B pag. 318-319) -
Il 18 giugno sbarcò a [[Castellammare del Golfo]] la seconda vera e propria spedizione, proveniente da Genova e comandata dal generale [[Giacomo Medici]], con tre navi<ref>''Washington, Oregon, Franklin''</ref>, circa 2.500 volontari dei 3.500 partiti, 8.000 fucili moderni e munizioni<ref>Indro Montanelli e Marco Nozza - Garibaldi - Editore Rizzoli - Milano 1962</ref>, sbarcarono solo 2.500 volontari, in quanto i circa 1.000 del gruppo [[Clemente Corte|Corte]], in navigazione sulle navi ''Utile'' e ''Charles and Jane'' erano stati intercettati e catturati dalla [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Marina borbonica]], che li avrebbe condotti a [[Gaeta]] e successivamente rilasciati. I circa 1.000 del gruppo Corte si imbarcheranno di nuovo per il Sud il 15 luglio sulla nave ''Amazon''<ref>Garibaldi and the making of Italy - G.M. Trevelyan - Appendice B - [[#Gli_sbarchi_successivi_al_primo_di_Marsala|vedere: ''App. B - PAG. 318'']]</ref>.
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{{citazione|'' 21 giugno 1860 ''
''Medici è arrivato con un reggimento fatto e vestito. Entrò da Porta Nuova sotto una pioggia di fiori. Quaranta ufficiali coll’uniforme dell’Esercito Piemontese, formavano la vanguardia.''
''Noi della spedizione dispersi nell’onda dei sopravvenienti, porteremo con noi le memorie di venticinque giorni vissuti come nella solitudine, faticando, combattendo e credendo.''|''Da Quarto al Faro'' libro di [[Giuseppe Cesare Abba]], pag. 199<ref>Da Quarto al Faro, noterelle di uno dei mille, di Giuseppe Cesare Abba, Zanichelli – Bologna – 1882 - {{cita
[[File:Sbarchi SICILIA 1860.jpg|miniatura|upright=1.2|Sbarchi garibaldini in Sicilia nel 1860]]
Così [[Giuseppe Cesare Abba]], dopo lo sbarco di [[Marsala]], descrive l’arrivo della prima delle altre spedizioni garibaldine costituita da [[Giacomo Medici|Medici]] con circa 2.500 garibaldini; a questa seguiranno altre spedizioni descritte con dettaglio dallo storico britannico [[George Macaulay Trevelyan]] nella sua opera ''Garibaldi e la formazione dell’Italia''<ref>''Garibaldi and the making of Italy'', di George Macaulay Trevelyan, Edizioni Longmans, Green and Co., New York, London, 1911
Con Medici, tra gli altri, sbarcarono anche [[Jessie White]] (che entrò a far parte dell'ambulanza sotto Pietro Ripari, come Garibaldi le aveva promesso da tempo)<ref>{{Cita libro|autore=Ivo Biagianti|curatore=P. L. Bagatin|titolo=Jessie White, biografa di Alberto Mario|data=1984|editore=Comune di Lendinara. Comitato per il I centenario della morte di Alberto Mario|città=Lendinara|p=85|opera=Alberto Mario nel I centenario della morte. Atti del convegno nazionale di studio.}}</ref> e il marito [[Alberto Mario]], al quale il Generale affidò l'incarico di fondare una scuola militare.<ref>{{Cita libro|autore=Alberto Mario|wkautore=[[Alberto Mario]]|curatore=P. L. Bagatin|titolo=La Camicia rossa|annooriginale=1870|data=2011|editore=Antilia|città=Treviso|pp=9-11}}</ref> Egli la progettò gratuita e capace di 3000 allievi. Quando, il dì dopo, il 24 giugno, sottopose il disegno a Garibaldi, questi l'approvò con decreto dittatoriale e la volle adatta per 6000 ragazzi. Mario, che pretese di non venir pagato per la sua opera e di poter seguire il Generale appena si fosse ripartiti, prese un ospizio che ospitava 60 trovatelli (che furono i primi allievi) e ne fece la sede dell'Istituto, il quale venne in seguito intitolato a Garibaldi per difenderlo dalla successiva gestione governativa. Dispose poi che i ragazzi, fino ad allora vagabondi e non avvezzi alle regole, uscissero dalla scuola come sotto-ufficiali o sottotenenti. Egli diresse l'istituto con grande passione e perizia ed affidò al [[Carlo Rodi|maggiore Rodi]] il primo battaglione di 1000 giovani.<ref>Ivi, pp. 14-16.</ref>
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[[File:Bartolena I volontari livornesi 1872.jpg|upright=1.4|miniatura|destra|Dipinto di [[Cesare Bartolena]] che raffigura l'imbarco dei volontari livornesi, avvenuto il 9 giugno 1860 con l'ultimo contingente di volontari toscani]]
[[File:Palermo - Palazzo Pretorio lapide Garibaldi.jpg|upright=0.6|miniatura|sinistra|Lapide presso il [[Palazzo Pretorio (Palermo)|Palazzo Pretorio di Palermo]]]]
Durante il mese di giugno ai garibaldini si aggregarono altri volontari siciliani e quelli [[#Gli_sbarchi_successivi_al_primo_di_Marsala|provenienti da altre parti d'Italia]], i cui arrivi si succedevano quasi quotidianamente, inquadrandosi in quello che poi fu chiamato "[[esercito meridionale]]"; sempre in giugno si formò il primo nucleo della [[Marina dittatoriale siciliana]]. Il 1º giugno, proveniente da Malta, sbarcò a [[Pozzallo]], ancora sotto controllo borbonico, [[Nicola Fabrizi]] con 20 volontari della [[Legione italica]], che muoverà verso Catania, raggiunta il 20 giugno, formando la colonna dei Cacciatori del Faro ed accrescendosi di volontari durante la marcia, fino a raggiungere il numero di 300 uomini<ref>
Il 5 e il 7 luglio sbarcarono a Palermo oltre 2.000 volontari<ref name=trev>G. M. Trevelyan - ''Garibaldi e la formazione dell'Italia'' - appendice B - pp. 318-319</ref> comandati da [[Enrico Cosenz]].
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Le partenze delle successive spedizioni garibaldine avvennero quasi tutte dal porto di Genova e due da [[Livorno]] nel periodo dal 24 maggio 1860 fino al 20 agosto 1860, quando le partenze dal porto ligure cessarono, per poi riprendere con un’ultima spedizione dal porto di Livorno, avvenuta tra il 1º e il 3 settembre (spedizione [[Giovanni Nicotera|Nicotera]]).
Complessivamente partirono più di venti spedizioni navali, riepilogate nell’appendice B dell’opera indicata nella nota in calce, per un totale di circa 21.000 volontari, oltre ai primi 1.000. Alla fine di agosto 1860 le partenze dai porti del nord vennero sospese dal Cavour, che intendeva invadere lo Stato Pontificio e il territorio del Regno delle due Sicilie<ref>
Al termine dell’appendice B<ref>(Garibaldi and the making of Italy - Appendice B - pag. 320)</ref> lo storico britannico Trevelyan descrive anche le partenze di spedizioni navali con materiali e armi destinati a rifornire l’armata garibaldina, a mezzo delle navi: ''Queen of England'' (chiamata anche ''Anita'' -<ref>Durand Brager, 169</ref>), ''Independence'', ''Ferret'', ''Badger'', ''Weasel'' e le altre navi ''Spedizione'' e ''Colonnello Sacchi'', mentre nell’appendice C vengono illustrate le altre organizzazioni che aiutarono, anche finanziariamente, l’impresa garibaldina, come la [[Società nazionale italiana]], il [[Fondo per il milione di fucili]], i Comitati organizzati da [[Agostino Bertani]], nonché le altre fonti di finanziamento provenienti da quanto l’impresa garibaldina raccoglieva confiscando nei territori occupati i valori della zecca di Palermo.<ref>(Garibaldi and the making of Italy - pag. 63 e Appendice C - pp. 321-322)</ref>.
Le fonti del prospetto delle spedizioni garibaldine sintetizzato dallo storico britannico sono ricavate principalmente dai diari e carteggi di [[Agostino Bertani|Bertani]], che annotava le partenze e [[Stefano Turr|Türr]], che registrava anche gli arrivi delle spedizioni nel sud<ref name="books.google.it">''Le spedizioni di volontari per Garibaldi - e da altre fonti cifre e documenti complementari al resoconto del Bertani – estratto dal Corriere Mercantile – Genova – Tipografia e Litografia dei fratelli Pellas & C. – 1861'' – p. 22 e segg.
==== Insurrezione nel resto dell'isola ====
[[File:Insurrezione di Catania - LSGSN 1860 Pag. 86.JPG|miniatura|upright=1.35|Insurrezione di Catania.]]
La città di [[Catania]] era duramente provata da 15 giorni di stato di assedio, che si aggiungeva ai disagi dovuti alla situazione in cui da due mesi si trovava l’isola<ref>La Spedizione di Sicilia e di Napoli–Mario Menghini–Società Tipografico Editrice Nazionale–Torino–1907–pp. 84-87
Il 31 maggio alle 5 antimeridiane gli insorti, guidati dal maggiore Giuseppe Poletti al grido “''Italia e Vittorio Emanuele''” attaccavano 2.000 soldati delle truppe regie asserragliate nel centro della città, dove avevano occupato anche molte case di cittadini, in quanto venuti a conoscenza che gli insorti stanziati presso Lentini minacciavano i sobborghi di [[Misterbianco]] e [[Mascalucia]].
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Le truppe regie avevano occupato il seminario, l’arcivescovado, il palazzo della città, il convento di S. Francesco, le logge del monastero femminile di S. Agata e l’Università, dove parecchi pregiati volumi finirono gravemente danneggiati, in quanto utilizzati dai militari per creare dei parapetti difensivi. Dopo otto ore di attacco gli insorti, aiutati dalla popolazione, erano riusciti ad avere un certo successo, strappando due cannoni ai regi, ma l’avvicinarsi di altri 2.000 soldati e la scarsità di munizioni li costrinsero a retrocedere con poche perdite, mentre i regi borbonici perdettero parecchi effettivi.
Durante gli scontri si distinse la patriota [[Giuseppa Bolognara Calcagno]] nota anche come "''Peppa la cannoniera''”<ref>Peppa la cannoniera
I soldati regi borbonici si abbandonarono quindi a rappresaglie nei confronti della popolazione civile, effettuando eccidi senza distinzione di sesso o di età, appiccando il fuoco a diverse case dopo averle saccheggiate<ref>La Spedizione di Sicilia e di Napoli–Mario Menghini–p. 84 dal giornale “Opinione” del 17 giugno 1860</ref>. A questo si aggiunse anche il bombardamento della città da parte di un vapore da guerra regio ancorato nel porto, gli incendi appiccati non si propagarono a tutta la città a causa del fatto che le abitazioni in muratura offrivano poco materiale combustibile.
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I garibaldini furono riorganizzati e verso la fine del mese di giugno mossero da Palermo, divisi in tre colonne, verso la conquista dell'isola. La brigata di [[Stefano Türr]] (poi comandata da Eber), con circa cinquecento uomini, s'incamminò per l'interno, Bixio con circa 1.700 uomini verso Catania, passando da Agrigento, e Medici con Cosenz, al comando della colonna più importante, avanzarono lungo la costa settentrionale.
Intanto, mentre Garibaldi avanzava, erano stati ideati progetti per fermarlo, tramite un attentato alla sua vita<ref>Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della Patria – Documenti inediti – Giacomo Emilio Curatolo – Zanichelli – Bologna MCMXI, pp. 187, 207, 208
==== La battaglia di Milazzo e la caduta di Messina ====
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[[File:Milazzo scontri sul fianco sinistro - TILN 18-08-1860.PNG|miniatura|upright=1.4|Milazzo - scontri sul fianco sinistro.]]
Il 20 luglio le truppe borboniche vennero sconfitte nella [[battaglia di Milazzo (1860)|battaglia di Milazzo]], a cui partecipò lo stesso Garibaldi, giunto da Palermo con 1.200 volontari<ref>2.000 secondo lo "Scottish Historical Review Trust"</ref> a bordo del vecchio vapore scozzese a pala “''City of Aberdeen''”, già utilizzato per portare in Sicilia la Spedizione ''Strambio'', partita da Genova il 10-11 luglio con 900 volontari<ref>The campaign of Garibaldi in the Two Sicicilies – Charles Stuart Forbes – William Blackwood and Sons – Edimburgo – 1861 – p. 88 [https://archive.org/stream/campaigngaribal00forbgoog#page/n110/mode/2up/search/city+of+aberdeen]</ref>.
Il vapore “''City of Aberdeen''” era stato noleggiato grazie alle sottoscrizioni raccolte in Scozia, dove Garibaldi era molto popolare, in quanto considerato il [[William Wallace|Wallace]] italiano<ref>Diversi scozzesi si arruoleranno per unirsi a Garibaldi con la [[Legione Britannica]]</ref><ref>Scottish volunteers with Garibaldi – Janet Fyfe – Scottish Historical Review Trust – Edimburgo – 1978, pagg. 168, 180
I garibaldini guidati da Medici giunsero a [[Messina]] il 27 luglio, quando già una parte delle truppe borboniche aveva lasciato la città<ref name = ricciardi>[[Giuseppe Ricciardi (1808)|Giuseppe Ricciardi]], ''Vita di G. Garibaldi'', G. Barbera Editore, Firenze, 1860, p. 70.</ref>. Il giorno seguente, giunse Garibaldi. Con la città in mano ai Mille, il generale [[Tommaso Clary]], comandante dei borbonici, il sottocapo di Stato Maggiore del Comando Militare [[Cristiano Lobbia]] e il gen. Medici sottoscrissero una convenzione, che prevedeva l'abbandono di Messina da parte delle milizie borboniche, a patto che non venisse arrecato alcun danno alla città e che il loro imbarco verso Napoli non fosse molestato<ref name = ricciardi/>.
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==== Francesco II e la Costituzione ====
[[File:Francesco II e Maria Sofia - IMI 22-09-1860.PNG|miniatura|upright=1.4|
{{Citazione|''Questo giovine autocrata ha obbedito in tutta sua vita, prima a suo padre e a sua matrigna, che l’hanno educato in ritiro impenetrabile, caserma ad un tempo e convento. Poi, dal suo avvenimento, alla [[camarilla]], che lo teneva nell’immobilità dell’ultimo regno. Più tardi, al machiavellismo a doppio viso del generale [[Carlo Filangieri, principe di Satriano|Filangieri]], l’uomo che più ha tolto di considerazione, e risospinta questa monarchia già vacillante. E poi per soprassello<ref>”per soprassello” = per giunta, per di più</ref> a quella camarilla, che ha posto in sua mano la polizia, e posto al potere Aiossa, [[Salvatore Maniscalco|Maniscalco]], i due uomini fatali che han portato, l’uno a Napoli, e l’altro a Palermo, gli ultimi colpi di scure al trono abbandonato dei Borboni.''
''Quando Garibaldi è venuto, la demolizione era già fatta.'' | Garibaldi – Rivoluzione delle Due Sicilie – [[Marco Monnier]], pag. 329<ref>Garibaldi – Rivoluzione delle Due Sicilie – [[Marco Monnier]] – Alberto Dekter Editore – Napoli – 1861 – pag. 329
}}
La sensazione generale che il crollo della dinastia borbonica fosse ormai inevitabile si era presto delineata dopo le sconfitte in Sicilia, già dopo la presa di Palermo, la proclamazione della Costituzione e l’adozione del tricolore. La libertà di stampa aveva fermato la repressione dei dissidenti politici e la stessa polizia, diretta dall’abile [[Liborio Romano]], era praticamente divenuta un modo per favorire il liberalismo, al punto che il Persano scriveva a [[Camillo Benso Conte di Cavour|Cavour]], che Liborio Romano stava di fatto agevolando la causa dell’unificazione nazionale nei limiti consentiti dalla sua funzione<ref>
[[File:Costituzione a Napoli - IMI 14-07-1860.PNG|miniatura|upright=1.3|
Il ripristino della [[Parlamento delle Due Sicilie#Lo statuto costituzionale|Costituzione]] del 1848, avvenuto il 1º luglio, aveva portato a [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] solo il consenso apparente della [[Francia]] e di pochi altri sudditi, ma non seguì alcun'applicazione pratica di governo costituzionale, in quanto il precedente comportamento della dinastia borbonica faceva temere che, in caso di iscrizione a liste elettorali, si potesse poi successivamente essere perseguiti in caso di revoca o di non applicazione delle norme costituzionali concesse, come già avvenuto in passato nel 1820 e 1848.
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Negli ultimi anni del regno borbonico erano stati fatti piani e progetti per dividere tra i cittadini quelle proprietà, ma sempre senza successo, anche per l'avversione del governo alle novità, oltre che per i pregiudizi popolari e le tristi condizioni dell'isola, fatti questi ultimi che concorrevano a rendere inefficaci i progetti di riforma.
Anche [[Carlo Afan de Rivera]], importante funzionario dell'amministrazione borbonica, con le sue ''"Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie"'', descrive la situazione arretrata dell'agricoltura nel Sud preunitario<ref>
=== L'arrivo sul continente ===
==== Lo sbarco a Melito e la battaglia di Reggio ====
{{Vedi anche|Sbarco a Melito|Battaglia di Piazza Duomo}}
[[File:Sbarco dei Mille a Palmi.png|miniatura|
[[File:Volontari calabresi di Stocco 1860 - IMDMSR PAG. 820.JPG|miniatura|upright=1.2|Volontari calabresi di Stocco pronti a bloccare le truppe borboniche.|alt=|destra]]
I napoletani avevano radunato in Calabria circa quindicimila soldati agli ordini del generale Vial.
Garibaldi aveva per tempo inviato in Calabria autorevoli esponenti della cospirazione antiborbonica come [[Antonino Plutino|Plutino]], [[Francesco Stocco|Stocco]], [[Giuseppe Pace|Pace]] per preparare insurrezioni, mentre aveva inviato [[Nicolò Mignogna|Mignogna]] in Basilicata.<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] – pag. 115</ref>
Già l'8 agosto un piccolo contingente di garibaldini agli ordini di Benedetto Musolino e Giuseppe Missori era riuscito a sbarcare in Calabria. Il numero insufficiente li costrinse a rifugiarsi nell'interno. Mentre le forze borboniche attendevano lo sbarco garibaldino a [[Reggio Calabria|Reggio]] o nei suoi dintorni, Garibaldi prescelse un tragitto alquanto più lungo, partendo da Taormina, con lo [[sbarco a Melito]] (30 chilometri da Reggio) il 19 agosto, sulla spiaggia ionica.<!-- Lo sbarco dei garibaldini il 22 agosto 1860 alla marina di Palmi non è mai avvenuto. Non se ne trova, infatti, traccia né negli scritti degli autori di parte liberale, come il Cesari o la Messineo, né in quelli di parte borbonica, come il de’ Sivo o il Quandel-Vial. Tutti concordano, invece, su uno sbarco di garibaldini nella notte tra il 21 e il 22 agosto sulla costa tirrenica calabrese ma non a Palmi, bensì a Favazzina, venti chilometri più a sud. Erano in mille e trecento, guidati dal generale Enrico Cosenz. Si diressero verso l’Aspromonte e nei pressi di Solano perse la vita Paolo De Flotte, un francese che comandava la compagnia di volontari stranieri. Lo ricorda un bel monumento in marmo nella piazza di questo borgo. In quelle ore, del resto, Palmi, capoluogo dell’omonimo distretto di Calabria Ultra I, era ben presidiata dalle truppe borboniche del tenente colonnello Morisani. La stampa venne prodotta e pubblicata da una rivista inglese sulla base di sommarie informazioni giunte da quel remoto territorio. -->. <s>e il 22 agosto su quella tirrenica di [[Palmi]].</s>
A Reggio le forze regie si attestano nella piccola piazza del duomo in attesa dei garibaldini che il 21 agosto penetrarono in città ingaggiando battaglia mettendo in fuga e sbaragliando i borbonici e respingendo anche gli scarsi rinforzi inviati dal [[Fileno Briganti|generale Briganti]]. Le unità della Marina ormeggiate nel porto presero il largo senza partecipare alla battaglia per non colpire la popolazione. Il 22 si arrese anche la guarnigione nel castello. Dopo pochi giorni il generale Briganti fu
Il giorno 21 era sbarcato sulla costa tirrenica, tra Favazzina e Scilla, un altro contingente di garibaldini comandati da Cosenz.
▲A Reggio le forze regie si attestano nella piccola piazza del duomo in attesa dei garibaldini che il 21 agosto penetrarono in città ingaggiando battaglia mettendo in fuga e sbaragliando i borbonici e respingendo anche gli scarsi rinforzi inviati dal [[Fileno Briganti|generale Briganti]]. Le unità della Marina ormeggiate nel porto presero il largo senza partecipare alla battaglia per non colpire la popolazione. Il 22 si arrese anche la guarnigione nel castello. Dopo pochi giorni il generale Briganti fu addirittura ucciso dai suoi stessi soldati in un episodio ancora da chiarire.
==== Insurrezioni e avanzata in Calabria e Basilicata ====
[[File:Fontana Garibaldi.jpg|miniatura|sinistra|Targa in ricordo del passaggio dei garibaldini a [[Pizzo (comune)|Pizzo]]]]
Il comando in Calabria fu affidato al generale Vial, che
''Ma se l'Europa non lo vuole, perché dobbiamo farci ammazzare per lui ?.....''|La fine di un Regno - vol. II, Raffaele De Cesare, pagg. 349-350}}
Così in Calabria i borbonici non
In conseguenza di questo il generale [[Giuseppe Ghio]] era rimasto chiuso tra i volontari calabresi a nord e Garibaldi che avanzava da sud<ref>I mille di Marsala: scene rivoluzionarie - Giacomo Oddo–Giuseppe Scorza Di Nicola–Milano–1863 - pag. 820
Il giorno seguente Garibaldi spedì un telegramma esaltando il successo:
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A Napoli il 25 agosto venne diffusa la stampa di una lettera scritta da [[Leopoldo di Borbone-Due Sicilie (1813-1860)|Leopoldo di Borbone]], zio di Francesco II, con la quale chiedeva al sovrano di seguire ''il nobile esempio della nostra regale congiunta di Parma che, all'irrompere della guerra civile, sciolse i sudditi dalla obbedienza e li fece arbitri dei proprii destini''. Il 31 agosto Leopoldo si imbarcò sulla fregata sarda [[Costituzione (pirofregata)|Costituzione]], messagli a disposizione da Persano, alla volta del Piemonte<ref>pp.144-146 ''Gli avvenimenti d'Italia del 1860: cronache politico-militari dall'occupazione della Sicilia in poi'', Volume 1, Tipografia G. Cecchini, Venezia, 1860</ref>.
Il 2 settembre Garibaldi e i suoi uomini entrarono in [[Basilicata]] (la prima regione della parte continentale del regno a insorgere contro i Borboni),<ref>[[Tommaso Pedio]], ''La Basilicata nel Risorgimento politico italiano (1700-1870)'', Potenza, 1962, p. 109</ref> precisamente a [[Rotonda (Italia)|Rotonda]]. Il suo passaggio in terra lucana si concluse senza problemi, poiché fu instaurato il governo prodittatoriale ben prima del suo arrivo (19 agosto), grazie all'apporto di [[Giacinto Albini]] e [[Pietro Lacava]], autori dell'[[insurrezione lucana (1860)|insurrezione lucana]] in favore dell'unità nazionale. Il giorno seguente, Garibaldi attraversò in barca la costa di [[Maratea]] e presso [[Lagonegro]] raccolse gli uomini lucani che lo seguirono fino alla [[Battaglia del Volturno]] (tra questi vi fu [[Carmine Crocco]], in seguito famoso [[brigantaggio postunitario|brigante post-unitario]]).<ref>Carmine Crocco, ''Come divenni brigante'', Edizioni Trabant, 2009, p. 11</ref>
==== I rapporti di Garibaldi con Torino ====
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''Noi possiamo entrate in lizza con Garibaldi soltanto in due ipotesi:<br/>''
''1) Se volesse trascinarci in una guerra contro la Francia;'':<br/>
''2) Se rinnegasse il suo programma, proclamando un sistema politico diverso dalla monarchia con Vittorio Emanuele.
==== Le aspirazioni al trono di Napoli ====
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==== Gli ultimi giorni di Francesco II a Napoli ====
L’ultimo periodo di permanenza di [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] a [[Napoli]] era stato contrassegnato da un clima cospirativo nei suoi confronti, quando verso la metà di agosto
Francesco II non aveva più fiducia nei suoi ministri, anche se all’apparenza a lui leali, e neppure si fidava del già prefetto di polizia e poi ministro dell’interno dal monarca stesso nominato, il liberale Liborio Romano, del quale però non poteva fare a meno, perché controllava efficacemente la polizia, la Guardia Nazionale e teneva a freno l’organizzazione camorristica. Il 20 agosto fu infatti lo stesso Romano che suggerì al re di allontanarsi da Napoli “''temporaneamente''”, presentandogli un “''memorandum''” nel quale si evidenziava:{{Citazione|''… risparmiare al paese gli orrori della Guerra civile, '' - visto – ''che ogni ritorno, ogni scambio di fiducia tra popolo e principe'' – era ormai – ''non solo difficile ma impossibile''.|}}
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Pochi giorni dopo un altro zio del re, il [[Leopoldo di Borbone-Due Sicilie (1813-1860)|Conte di Siracusa]], aveva pubblicamente invitato il giovane sovrano di Napoli a lasciare il trono per il bene dell’unità d’Italia, fatto che scosse ulteriormente il prestigio di Francesco II, generando l’impressione che la dinastia fosse compromessa in modo irreversibile. La richiesta del re per finanziare un attacco a Garibaldi era stata rifiutata dal Direttore delle Finanze Carlo de Cesare, adducendo formali problemi di prelievo anticipato prima della disponibilità delle somme secondo le scadenze previste e dell'intangibilità dei depositi privati, il Direttore fu molto fermo e pronto a dimettersi<ref>La fine di un Regno - Raffaele de Cesare - pag. 364-365-366</ref>.
I militari e i ministri davano consigli contraddittori, denigrandosi gli uni con gli altri, e lo spirito di corpo si era affievolito nei capi più che nella truppa
Rimasto senza governo e abbandonato dagli uomini della corte, Francesco II, con Garibaldi che proseguiva senza ostacoli la sua avanzata verso Napoli, il re non aveva quasi più fiducia di nessuno, incerto se avanzare per affrontare Garibaldi, resistere a Napoli o ritirarsi verso nord<ref>La fine di un Regno - Raffaele de Cesare - pag. 367</ref>.
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All'approssimarsi di Garibaldi verso [[Napoli]] anche i territori dell'exclave pontificia di [[Benevento#Età moderna|Benevento]] insorsero contro il potere temporale del papato instaurando un governo provvisorio. Il nunzio papale di Napoli si recava prontamente presso [[Liborio Romano]] per chiedergli di intervenire con le truppe per sedare i tumulti nella zona di Benevento e Pontecorvo, allora territori pontifici all'interno del Regno delle Due Sicilie.
Liborio, dopo avere ascoltato le parole del nunzio papale rispose: {{Citazione|''Monsignore a quest'ora i nostri soldati non vogliono più battersi per noi: io dubito quindi a ragione, che non volendosi battere per noi, vogliansi poi battere per il papa.''»
- Al nunzio che proseguiva nella richiesta facendogli presenti le angustie del papa il Liborio disse quindi: <br/>
« ''Sua Santità farà ciò che Francesco II è ora per fare, si rassegnerà a perdere il potere temporale, è più fortunato che il re Francesco, gli resterà il potere spirituale, cioè a dire l'eredità che gli viene in linea diretta da Gesù Cristo.''» <br/>
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Non sentendosi più sicuro nella capitale, il 6 settembre re Francesco II lasciò Napoli per recarsi con la consorte a Gaeta, dove già si trovava il resto della famiglia reale, trincerando le sue forze tra la fortezza di [[Assedio di Gaeta (1860)|Gaeta]] e quella di [[Assedio di Capua (1860)|Capua]], una zona protetta dove poteva difendersi e tentare un'azione di attacco. Tale soluzione gli era stata probabilmente suggerita dai suoi consiglieri segreti ultra-realisti, presumibilmente su consiglio dell'Austria e di [[Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière|Lamoricière]], decisione che il re forse aveva già preso in precedenza, senza però averla rivelata ai suoi ministri nei quali la fiducia era ormai venuta meno.
Alla partenza del sovrano si notava l’assenza di molti titolati e ufficiali, che in altri tempi affollavano la corte, quindi in compagnia del fedele capitano Criscuolo il re e la regina si imbarcarono sul Messaggero, una piccola nave, che dopo la sua partenza lanciò inutilmente il segnale per farsi seguire dalle altre navi della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|marina borbonica]], che rimase ancorata nel [[porto di Napoli]], ad eccezione di tre navi, i due piccoli vascelli "Delfino", "Saetta" e la [[Partenope (fregata)|fregata Partenope]], che seguirono la nave con al bordo il re di Napoli, accompagnata per un breve tratto anche da alcune navi della marina spagnola. La notizia della partenza del re si era comunque già diffusa in precedenza, alla vista di molti carri carichi di bagagli, che sotto scorta si dirigevano verso Capua. Tra le motivazioni della mancata partenza della flotta per seguire il re viene menzionato anche il timore che la flotta potesse essere ceduta all’Austria<ref>Garibaldi e la rivoluzione delle Due Sicilie–Marco Monnier–Ed: Alberto Dekten Libraio Editore. Napoli 1861–p. 292
Le successive ventiquattro ore di vuoto di potere trascorsero senza particolari difficoltà, Liborio Romano era riuscito a evitare problemi e inviò un telegramma in risposta a Garibaldi, che chiedeva di entrare a Napoli subito dopo l’arrivo del comandante della Guardia nazionale. {{Citazione|''All’invittissimo Generale Garibaldi, Dittatore delle Due Sicilie – Liborio Romano, Ministro dell’Interno e Polizia. ''<br/>''Con la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla come il redentore d’Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato e i propri destini …. M’attendo gli ulteriori ordini suoi, e sono con illimitato rispetto, di Lei,
==== L'ingresso a Napoli di Garibaldi ====
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Successivamente negli Abruzzi e in Molise le truppe del nuovo regio esercito dovettero effettuare repressioni più dure contro i reazionari che insorgevano contro il nuovo assetto politico.<ref>Garibaldi e la formazione dell’Italia–G.M. Trevelyan, pp. 238-239.</ref>
Altri simili e gravi fatti si verificarono a [[Isernia]] per alcuni giorni nel periodo della [[battaglia del Volturno]], quando su indicazioni del vescovo, dell'autorità di Gaeta e, guidati dai gendarmi regi, i contadini invasero la città di Isernia e altri centri vicini compiendo per un'intera settimana saccheggi, eccidi, gravi violenze e perfino mutilazioni alle loro vittime liberali.<ref>Garibaldi e la formazione dell'Italia, G.M. Trevelyan, cap. XIV,
Gli episodi di reazione a danno dei liberali e dei sostenitori dell'unità proseguirono e furono spesso cruenti come riporta la stampa del tempo nel caso dell'eccidio di [[Lauro (Italia)|Lauro]] nell'allora [[Terra di Lavoro]], che avvenne con grande efferatezza descritta dall'articolo del giornale ''Il mondo illustrato'' del 2 novembre 1861.<ref>Il mondo illustrato - Torino - Anno IV - nº 44 - 2 novembre 1861
==== L'intervento piemontese ====
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Il 18 settembre 1860 durante la [[Battaglia di Castelfidardo]] le forze sarde sconfissero quelle pontificie, composte per oltre metà di volontari che, rispondendo all'appello del papa, provenivano da diversi paesi cattolici d'Europa. Secondo i dati forniti dallo storico [[George Macaulay Trevelyan|Trevelyan]] l’armata del generale [[Manfredo Fanti|Fanti]], impiegata in [[Umbria]] e [[Marche]], era composta di 33.000 soldati, comprensiva dei corpi d’armata di [[Enrico Cialdini|Cialdini]] e [[Enrico Morozzo Della Rocca|Della Rocca]].
A [[Castelfidardo]] le forze piemontesi disponevano di 16.449 soldati, ma ne vennero impiegati effettivamente 4.880, contro i soldati comandati dal generale pontificio [[Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière|Lamoricière]] che, pur disponendo di una forza da campo di 8.000 soldati, ne impiegò effettivamente 6.650.<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] – Appendix K (b) – pagg. 346-347</ref>. Ebbero la meglio i piemontesi che inseguirono i superstiti papalini fino alla piazzaforte di [[Ancona]], dove avvenne [[Battaglia di Castelfidardo#Epilogo: la presa di Ancona|l'ultimo scontro]], che vide ancora una volta le truppe regie vittoriose, dopo un assedio da terra e dal mare terminato il 29 settembre 1860. Con la caduta della piazzaforte di Ancona terminerà anche di fatto il potere temporale della chiesa in Umbria e Marche. Il 3 ottobre 1860 [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]], a bordo della nave [[Governolo (pirofregata)|Governolo]], sbarca nel [[porto di Ancona]] calorosamente accolto dalla popolazione e dai generali Cialdini e Fanti, dal commissario [[Lorenzo Valerio|Valerio]] e dai componenti della giunta provvisoria con a capo il presidente [[Michele Fazioli|Fazioli]].<ref>
==== Le battaglie del Volturno e del Garigliano ====
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==== La partenza di Garibaldi da Napoli ====
[[File:Garibaldi parte da Napoli 9-11-1860.JPG|miniatura|upright=1.4|Partenza di Garibaldi da Napoli - Santa Lucia il 9 novembre 1860.|alt=|sinistra]]
Il giorno 9 novembre 1860 alle ore 4 del mattino Garibaldi saliva su un palischermo<ref>palischermo = barca con molti remi</ref> nella rada di [[Borgo Santa Lucia|Santa Lucia]] di [[Napoli]], per imbarcarsi a bordo della nave [[Washington (pirotrasporto)|Washington]]. Con lui partirono anche il figlio [[Menotti Garibaldi|Menotti]], [[Giovanni Battista Basso|Basso]], Stagnetti, Coltelletti, [[Giovanni Froscianti|Froscianti]], [[Luigi Gusmaroli|Gusmaroli]].<ref>La Spedizione Garibaldina di Sicilia e Napoli – Mario Menghini – Società Tipografico Editrice Nazionale – Torino – 1907 pagg. 405-406
Gli altri amici che non si imbarcarono con lui lo avevano accompagnato dall’Albergo d’Inghilterra dove Garibaldi alloggiava. Erano trascorsi sei mesi e tre giorni dalla partenza nella notte tra il 5 e 6 maggio 1860.
Tornava a Caprera dopo avere compiuto un'impresa difficile, saliva a bordo della nave [[Washington (pirotrasporto)|Washington]] dopo avere salutato l’ammiraglio britannico Mundy e partiva nonostante una lettera del re gli chiedesse di restare: la risposta di Garibaldi fu che per il momento si allontanava, ma che sarebbe stato pronto a ripartire il giorno in cui la Patria e il Re avessero avuto bisogno di lui.
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Il giorno prima, dopo avere sbrigato le ultime formalità di passaggio dei poteri da dittatore al governo di Vittorio Emanuele II, il popolo napoletano si radunò sotto le finestre dell’albergo dove alloggiava per salutarlo e Garibaldi ricordò a tutti che ora avrebbero dovuto raccogliersi attorno al re, quindi Garibaldi li salutò dicendo loro che avrebbe serbato per sempre il ricordo del tempo trascorso con loro.
Nelle “''Memorie autobiografiche''”<ref>Memorie autobiografiche – [[Giuseppe Garibaldi]] – G. Barbera Editore – Firenze – 1888 – pag. 388
Il vincitore di un trono, il Dittatore delle Due Sicilie, salpava per Caprera con un fondo cassa di 3.000 lire.<ref>(da “Supplemento al Movimento del 12 novembre 1860.”)</ref>
Garibaldi aveva scritto un proclama di congedo, i cui termini e toni sono ovviamente quelli che si usavano nella metà del XIX secolo, secondo i modelli culturali di quell’epoca:
{{citazione|''Penultima tappa del risorgimento nostro, noi dobbiamo considerare il pericolo che sta per finire, e prepararci ad ultimare splendidamente lo stupendo concetto degli ultimi eletti di venti generazioni, il di cui compimento assegnò la provvidenza a questa generazione fortunata.<br />Sì giovani, l’Italia deve a voi un’impresa che meritò il plauso del mondo. Voi vinceste – e voi vincerete – perché voi siete oramai fatti alla tattica che decide delle battaglie.
== Le conseguenze ==
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{{Vedi anche|Questione meridionale|Piemontesizzazione|Brigantaggio postunitario italiano}}
[[File:Garibaldini Bresciani.JPG|miniatura|upright=1.3|1860. I reduci garibaldini bresciani dei Mille.]]
Agli ufficiali dei disciolti [[esercito delle Due Sicilie]] e della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie]] fu consentito di entrare nell'esercito e nella marina del Regno d'Italia mantenendo il medesimo grado. Per contro, coloro che rifiutarono di prestare giuramento in favore del nuovo sovrano, rimanendo fedeli a Francesco II, furono deportati nei campi di prigionia di [[Alessandria]], [[San Maurizio Canavese]] e nel [[Forte di Fenestrelle]] ove secondo
(inesistente) dei borbonici|pubblicazione = [[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]|url = http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/08/03/news/festrelle_e_il_genocidio_inesistente_dei_borbonici-40258542/|data = 3 agosto 2012|accesso = 26 aprile 2014|città = Torino}}</ref><ref>{{Cita news|autore = Alessandro Barbero|titolo = Ma Fenestrelle non fu come Auschwitz|pubblicazione = [[La Stampa]]|url = http://www.lastampa.it/2012/10/21/cultura/ma-fenestrelle-non-fu-come-auschwitz-ofDf0w18KemglYXas6yWQM/pagina.html|data = 21 ottobre 2012|accesso = 26 aprile 2014}}</ref>.
Per quanto riguarda i soldati borbonici, molti si diedero alla macchia, continuando a combattere per l'indipendenza delle Due Sicilie, e anche tra coloro che si unirono a Garibaldi durante la spedizione, infine, non mancò chi, come [[Carmine Crocco]], già soldato sotto Ferdinando II, poi fuorilegge
[[File:Cimeli proverbio toscano.JPG|upright=1.4|miniatura|Stampa popolare del 1860 che mostra le delusioni garibaldine: un Garibaldi pensieroso regge un foglio sui temi dell'armamento nazionale, liberazione di Roma e Venezia e i suoi decreti emessi a Napoli, a terra giacciono due fogli con i nomi di [[Nizza]] e [[Savoia (provincia)|Savoia]] ormai perse alla unità nazionale, tre volontari garibaldini, di cui due feriti, messi in disparte, volgono le spalle a un gruppo di notabili e reazionari [[Coda (acconciatura)#Coda dei nobili europei|codini]] che ballano, commentati col detto: "Il [[maestro di cappella]] è mutato, ma la musica è la stessa".|alt=|sinistra]]
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Lo stesso Garibaldi nel [[1868]] scrisse in una lettera a [[Adelaide Cairoli]]:
{{Citazione|''... Qui, o Signora, io sento battere colla stessa veemenza il mio cuore, come nel giorno, in cui sul monte del [[Sacrario di Pianto Romano|Pianto dei Romani]], i vostri eroici figli faceanmi baluardo del loro corpo prezioso contro il piombo borbonico! ... E Voi, donna di alti sensi e d'intelligenza squisita, volgete per un momento il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai cari vostri superstiti delle benedizioni, con cui quelle infelici salutavano ed accoglievano i loro liberatori! Ebbene, esse maledicono oggi coloro, che li sottrassero dal giogo di un dispotismo, che almeno non li condannava all'inedia per rigettarli sopra un dispotismo più orrido assai, più degradante e che li spinge a morire di fame. ... Ho la coscienza di non aver fatto male; nonostante, non rifarei oggi la via dell'Italia Meridionale, temendo di esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della spregevole genia che disgraziatamente regge l'Italia e che seminò l'odio e lo squallore la dove noi avevamo gettato le fondamenta di un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato.''|[[Giuseppe Garibaldi]] a [[Adelaide Cairoli]], [[1868]].<ref>Citato in ''Lettere ad Anita ed altre donne'', raccolte da G. E. Curatolo, Formiggini, Roma 1926, pp. 113-116.
Delusi furono anche molti liberali che avevano riposto nell'unità d'Italia la realizzazione delle loro ambizioni, ma che si ritrovarono in una situazione politica sostanzialmente immutata; mentre il risveglio economico, garantito dalle politiche fiscali di Ferdinando II<ref>{{cita libro |cognome= Nitti |nome= Francesco Saverio |wkautore= Francesco Saverio Nitti |titolo= L'Italia all'alba del secolo XX: discoursi ai giovani d'Italia |anno= 1901 |editore= Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo |città= Torino-Roma |p= 118 }}</ref> e dalle floride condizioni del regno borbonico, cessò di colpo<ref>{{cita libro |curatore= [[Emilio Gentile]] |titolo= Carteggio 1865-1911|anno= 1978 |editore= Laterza |città= Bari |p= 65}}</ref>, non essendo l'economia del sud in grado di sostenere la concorrenza in regime di libero mercato e senza la protezione doganale. Le valutazioni sul buono stato delle condizioni dell’economia preunitaria borbonica non sono condivise da [[Giustino Fortunato]], che evidenzia come le spese erano rivolte in grande maggioranza alla corte o alle forze armate, incaricate di proteggere la ristrettissima casta dominante del regno, lasciando pochissimo agli investimenti per opere pubbliche, sanità e istruzione.<ref>
{{citazione|''"Eran poche, sì, le imposte, ma malamente ripartite, e tali, nell'insieme da rappresentare una quota di lire 21 per abitante, che nel Piemonte, la cui privata ricchezza molto avanzava la nostra, era di lire 25,60.''
''Non il terzo, dunque, ma solo un quinto il Piemonte pagava più di noi.''
''E, del resto, se le imposte erano quaggiù più lievi — non tanto lievi da non indurre il [[Luigi Settembrini]], nella famosa 'Protesta' del 1847, a farne uno dei principali capi di accusa contro il Governo borbonico, assai meno vi si spendeva per tutti i pubblici servizi: noi, con sette milioni di abitanti, davamo via trentaquattro milioni di lire, il Piemonte, con cinque [milioni di abitanti], quarantadue [milioni di lire].''
''L'esercito, e quell'esercito!, che era come il fulcro dello Stato, assorbiva presso che tutto; le città mancavano di scuole, le campagne di strade, le spiagge di approdi; e i traffici andavano ancora a schiena di [[Animale da soma|giumenti]], come per le plaghe d'Oriente.”''|}}</ref>
Anche il marxista [[Antonio Gramsci]] attribuì il manifestarsi della Questione meridionale principalmente ai molti secoli di diversa storia dell'Italia meridionale, rispetto alla storia dell'Italia settentrionale, come chiaramente esposto nella sua opera "La questione meridionale".<ref>Pag. 5
{{citazione|''La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni.<br />''
''L'invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l'unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.''<br />
''Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva un'organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d'Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell'industria.''|}}</ref>
Il patriota [[Luigi Settembrini]], mentre era rettore all'università di Napoli, disse agli studenti: «''Colpa di Ferdinando II! Se avesse fatto impiccare me e gli altri come me, non si sarebbe venuto a questo!''».<ref>[[Benedetto Croce]], ''Storia d'Italia dal 1871 al 1915'', Laterza Editore, 1966, p.287.</ref> Rimase rammaricato anche [[Ferdinando Petruccelli della Gattina]], che nella sua opera ''[[I moribondi del Palazzo Carignano]]'' ([[1862]]), espresse la sua amarezza nei confronti della negligenza della nuova classe politica.<ref>{{cita news|url=http://www.ilmediano.it/aspx/visArticolo.aspx?id=9923
Secondo alcuni critici i moti del 1860 e il Risorgimento furono l'espressione dalle classi colte e dalla borghesia e non dalle masse, con la conseguenza che nel meridione la mancata mediazione del governo paternalistico borbonico provocò un rafforzamento della classe dei proprietari terrieri e della locale borghesia, anche a danno delle classi contadine.<ref>Il Risorgimento Italiano, [[Denis Mack Smith]], cap. XXXVII - La Questione Meridionale, pag. 531</ref>
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Con l'unità si evidenziò il divario infrastrutturale, infatti su una rete complessiva di circa 90.000 km di strade della penisola, lo sviluppo della rete stradale del Centro-Nord era stimata approssimativamente 75.500 km rispetto ai 14.700 km valutati per il Meridione e isole.
La siderurgia della penisola presentava una produzione annuale di 18.500 tonnellate di ferro, delle quali 17.000 prodotte nel nord e solo 1.500 nel sud.
Con l'unità d'Italia venne estesa anche al Meridione la rete ferroviaria largamente presente nel Settentrione, infatti nel 1861 dei 2.520 km di ferrovie presenti nella penisola, solo 184 km si trovavano nel Meridione limitatamente alla zona attorno a Napoli, lasciando quindi Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria Sicilia e Sardegna senza ferrovie<ref name=autogenerato12>Vedi pag. 420-421
Venne avviato anche un programma di insegnamento scolastico per combattere l'analfabetismo, largamente diffuso nella penisola e che nel 1860 raggiungeva la percentuale più elevata nei territori del Regno delle Due Sicilie<ref>150 anni di statistiche italiane: nord e sud 1861-2011, Svimez, Il Mulino</ref>.
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=== Cavour e la spedizione di Garibaldi ===
{{vedi anche|Cavour e la spedizione di Garibaldi}}
Secondo il [[George Macaulay Trevelyan|Trevelyan]] la scuola interpretativa di cui [[Alessandro Luzio]] è un accreditato rappresentante, sostiene che il [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] aiutò e favorì la spedizione garibaldina fin dall'inizio, indipendentemente dalle pressioni dell'opinione pubblica e del re e, nonostante le diverse e dibattute interpretazioni, lo storico britannico ritiene assodato che l'aiuto fornito da Cavour a Garibaldi fu comunque fondamentale per la riuscita dell'impresa garibaldina<ref>Garibaldi and the thousand – [[George Macaulay Trevelyan]] – Longmans – Londra - 1909 – pagg. 5 (fine) e 6: ''“One school, of which signor [[Alessandro Luzio|Luzio]] is the able representative maintains that the great minister (Cavour) aided and abetted the Sicilian expedition from the first, not under compulsion from king and people, but as a part of his own policy […] but there can be no question that the assistance that he gave was absolutely indispensable to the success of the enterprise.”''
L'andamento della Spedizione garibaldina generava comunque la preoccupazione per sviluppi politico-istituzionali non prevedibili e convinse anche [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] che la rivoluzione in corso nel [[Regno delle Due Sicilie]] andasse fermata.
Con il trattato segreto di [[Chambéry]]<ref>Garibaldi and the making of Italy – G. M. Trevelyan – pag. 277, righe 14 e seguenti:
''”[...] Napoleon III, only two months after he had given his consent to Cavour’s invasion of the papal Marches. The secret agreement that he made at Chambéry was that the North Italian Army should invade and traverse the papal territory, so as to arrive at Naples in time to stop Garibaldi and ‘’absorb the revolution’’''.“
[[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] diede il via libera a Cavour per l’occupazione dell’[[Umbria]] e delle [[Marche]] pontificie per arrivare a [[Napoli]], anche con l’evidente intento di prevenire una possibile invasione del Lazio papale da parte dell’armata garibaldina, già tentata con la cosiddetta diversione di [[Callimaco Zambianchi|Zambianchi]] per provocare un'insurrezione nello [[Stato Pontificio]], terminata con il fallimento.
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{{vedi anche|Dibattito storiografico sulla Spedizione dei Mille|Revisionismo del Risorgimento}}
[[File:Briganti arruolamento 1861- IMI 25-05-1861.JPG|miniatura|upright=1.3|Arruolamento di briganti a Roma piazza Farnese.]]
La spedizione dei Mille è un passaggio obbligato per capire la storia dello Stato unitario italiano e ha generato diverse controversie su come sia stato concepito. Diversi storici vedono nell'impresa garibaldina il punto d'origine di fenomeni complessi come il [[Brigantaggio postunitario]], lo squilibrio nord-sud, l'[[emigrazione]] (assente nel Sud Italia prima dell'unità)<ref>[[Massimo Viglione]], [[Francesco Mario Agnoli]], ''La rivoluzione italiana: storia critica del Risorgimento'', Roma, 2001, p. 98</ref> e la cosiddetta "[[questione meridionale]]". [[Denis Mack Smith]] precisava però che nel [[Regno delle Due Sicilie]] le infrastrutture erano scarse, l'agricoltura e l'industria arretrate per scelta politica ed erano necessari passaporti anche per spostamenti all'interno del regno<ref>Italy: a modern history–Denis Mack Smith –University of Michigan–1959–pag. 3
«''La differenza fra Nord e Sud era radicale. Per molti anni dopo il 1860 un contadino della Calabria aveva ben poco in comune con un contadino piemontese, mentre Torino era infinitamente più simile a Parigi e Londra che a Napoli e Palermo; e ciò in quanto queste due metà del paese si trovavano a due livelli diversi di civiltà. I poeti potevano pure scrivere del Sud come del giardino del mondo, la terra di Sibari e di Capri, ma di fatto la maggior parte dei meridionali vivevano nello squallore, perseguitati dalla siccità, dalla malaria e dai terremoti. I Borboni, che avevano governato Napoli e la Sicilia prima del 1860, erano stati tenaci sostenitori di un sistema feudale colorito superficialmente dallo sfarzo di una società cortigiana e corrotta. Avevano terrore della diffusione delle idee ed avevano cercato di mantenere i loro sudditi al di fuori delle rivoluzioni agricola e industriale dell'Europa settentrionale. Le strade erano poche o non esistevano addirittura ed era necessario il passaporto anche per viaggi entro i confini dello Stato. In quell{{'}}''annus mirabilis'' che fu il 1860 queste regioni arretrate furono conquistate da Garibaldi e annesse mediante plebiscito al Nord.''»|Italy: a modern history – Denis Mack Smith - page 3}}</ref>. Anche [[Antonio Gramsci]] evidenzia la grande diversità delle condizioni socio-economiche presenti nella penisola italiana nel 1860 tra settentrione e meridione<ref>(“La questione meridionale - Il Mezzogiorno e la guerra 1, pag. 5),
Qualche corrente di pensiero ritiene che la spedizione dei Mille sia stata narrata in modo "[[agiografia|agiografico]]" dalla [[storiografia]] tradizionale.
Ciò, in particolare, a fronte al [[brigantaggio]] che fu ferocemente represso dal nuovo Regno d'Italia e a una presunta ''[[damnatio memoriae]]'' che sarebbe toccata alla dinastia borbonica. Nel decennio successivo all'unità, secondo alcune scuole storiografiche si scatenò nel meridione italiano una guerra civile<ref>{{cita libro|cognome= de' Sivo |nome= Giacinto |wkautore= Giacinto de' Sivo |titolo= Storia delle Due Sicilie, dal 1847 al 1861 |url= http://books.google.it/books?id=IE4IAAAAQAAJ&pg=PA64 |accesso= 29 settembre 2010 |anno= 1863 |editore= Tipografia Salviucci |città= Roma |p= 64 }} {{NoISBN}}</ref> per combattere la quale fu necessario l'impiego di un elevato numero di militari, secondo alcuni fino a 140.000<ref>[[Rosario Villari]], ''Corso di Storia'', [[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli|Laterza]]</ref>, la sospensione dei [[diritti civili]] ([[Legge Pica]]), nonché devastazioni e saccheggi di interi abitati (come a [[Pontelandolfo]] e [[Casalduni]]) come ritorsione alle violenze, spesso efferate, dei briganti,<ref>{{cita libro|cognome= Di Fiore |nome= Gigi |wkautore=Gigi Di Fiore |titolo= Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento |url= https://archive.org/details/controstoriadell0000difi |anno=2007 |editore= Rizzoli Editore |città= Napoli |isbn= 88-17-01846-5 |p=
Al riguardo si può sottolineare che il meridionalista [[Francesco Saverio Nitti]] affermò come il brigantaggio fosse un fenomeno endemico nel sud preunitario:
{{citazione|'' ... ogni parte d'Europa ha avuto banditi e delinquenti, che in periodi di guerra e di sventura hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge […] ma vi è stato un solo paese in Europa in cui il brigantaggio è esistito si può dire da sempre […] un paese dove il brigantaggio per molti secoli si può rassomigliare a un immenso fiume di sangue e di odi […] un paese in cui per secoli la monarchia si è basata sul brigantaggio, che è diventato come un agente storico: questo paese è l'Italia del Mezzodì''|Francesco Saverio Nitti, ''Eroi e briganti'', pagg. 9-33.<ref>Francesco Saverio Nitti ''Eroi e briganti'' (edizione 1899) - Edizioni Osanna Venosa, 1987
L'affermazione del Nitti sul brigantaggio come "''agente storico nel sud''" è confermata anche dal fatto che, non essendo in grado di fermare Garibaldi, il governo borbonico si rivolse al famoso bandito calabrese ''Giosafatte Tallarino''
Il Nitti prosegue precisando come i briganti del Sud preunitario fossero un gravissimo e insolubile problema per i governi borbonici:
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Un'altra contraddizione del revisionismo è la mancata considerazione del grande voto filo-sabaudo in occasione del [[Nascita della Repubblica Italiana|Referendum monarchia-repubblica]] del 1946, mentre il settentrione votò repubblica e tale voto filo-sabaudo del sud è particolarmente significativo, perché erano trascorsi solo 85 anni dall'unità, pertanto molti votanti meridionali al referendum avevano potuto ascoltare i racconti pre-unitari dalla viva voce dei nonni e dei genitori che li avevano vissuti in gioventù. Il revisionismo non considera anche che, con la proclamazione della repubblica fu il napoletano [[Achille Lauro]] a contribuire a fondare il [[Partito Nazionale Monarchico|Partito Monarchico]], che era molto votato a Napoli e nel Sud, divenuto poi [[Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica]] è esistito fino al 1972, quando si fuse con altro partito.
Lo storico inglese [[Denis Mack Smith]] ne "I re d'Italia", con riferimento al periodo storico che comincia dall'unità d'Italia, il periodo monarchico dal 1861 fino al 1946, scrive: "La documentazione di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata [...] Gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a [[censura]] o imporsi un'autocensura."<ref>[[Denis Mack Smith]], ''I re d'Italia'', [[Rizzoli]], 1990
Va comunque osservato che il brigantaggio anti-sabaudo, verificatosi dopo il 1860 nel sud continentale, non si verificò negli altri territori preunitari annessi del nord-est e del centro Italia, che pure subirono espropriazioni e imposizioni di nuove norme e tasse come il sud. Tale diverso atteggiamento nei confronti del nuovo assetto istituzionale unitario farà presto rilevare quel divario, poi noto come [[Questione meridionale]] e descritto dal meridionalista lucano [[Giustino Fortunato]] come segue: {{citazione| ''che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C'è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl'intimi legami che corrono tra il benessere e l'anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale''.|[[Giustino Fortunato]], Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, pp. 311,312}}Anche il politico e patriota torinese [[Massimo d'Azeglio]] aveva espresso il suo pensiero sulla diversità dei comportamenti delle popolazioni dei diversi territori pre-unitari annessi: {{citazione| [...]'' io non so nulla di suffragio, so che al di qua del [[Tronto]]<ref>Il fiume Tronto demarcava approssimativamente il confine fra l'ex-Regno di Napoli e lo Stato Pontificio e comunemente serviva da territorio di confine fra Italia settentrionale e meridionale.</ref> non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari.''|Massimo d'Azeglio, Scritti e discorsi politici, Firenze 1939, III, pp. 399–400<ref>{{cita libro|autore=[[Massimo d'Azeglio]]|titolo=“Scritti e discorsi politici”|editore=[[La nuova Italia]]|città=Firenze|anno=1939|p=416}}</ref>
}}
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L'interrogativo senza risposta è come mai, pur essendo a conoscenza della spedizione garibaldina con destinazione Sicilia, il Governo e il comando borbonico non si fossero preoccupati di selezionare e inviare contro Garibaldi i migliori generali e perché questi non si fossero proposti spontaneamente a tale compito.
Il de Cesare spiega come in quella situazione storica i generali borbonici fossero divisi da rivalità e gelosie, con tendenza a schivare le responsabilità per superare, come meglio si poteva, quel difficile momento, non essendo convinti che valesse la pena di battersi a rischio della vita o della reputazione per un re che non era amato, né temuto
{{citazione|Certo fu grave errore aver dato al Landi il comando di maggiore responsabilità, potendosi prevedere che la sua colonna avrebbe con maggiore probabilità affrontato il primo urto di Garibaldi; più grave errore d'averglielo dato nelle condizioni riferite; e massimo errore aver richiamato Letizia da Trapani, come fu colpa inescusabile e inesplicabile non aver fatto arrivare in tempo a Marsala i battaglioni chiesti dopo lo sbarco dei Mille.
Occorreva un solo governo, e ve n'erano due: a Napoli e a Palermo; occorreva un sol uomo a comandare, ed erano in tanti, sospettosi e gelosi l'uno dell'altro; occorrevano generali pieni di fede e desiderosi di battersi, e un Re amato e temuto, mentre Francesco II non era né quello, né questo; e dei generali, ciascuno cercava ripararsi dalla procella (procella = tempesta) come meglio poteva, schivando ogni responsabilità, perciò nessuno era veramente convinto che quello stato di cose valesse la pena di difenderlo, col sacrificio della propria vita, o della propria reputazione!|La fine di un Regno - vol. II, Raffaele De Cesare, pag. 211}}
</ref>.
Un esempio fu quello di affidare all'anziano [[Battaglia di Calatafimi#Osservazioni sul presunto tradimento del generale Landi|generale Landi]] il comando della colonna che, con maggiore probabilità, avrebbe incontrato la Spedizione garibaldina, nonostante egli non fosse in alcun modo all'altezza delle capacità militari di Garibaldi.
Discutibili erano anche l'assegnazione del comando delle truppe in Sicilia all'ultrasettantenne e in condizioni fisiche non idonee generale [[Ferdinando Lanza|Lanza]], oppure di affidare il comando delle truppe in Calabria al generale Vial, che non aveva alcuna esperienza militare.
Anche lo storico filo-borbonico [[Giacinto
<ref>{{Citazione|... Adunque se togli i gendarmi, gli invalidi, i collegiali, i mancanti e molti altri scritti sì né ruoli, ma inabili al servizio, consegue che l'esercito napolitano effettivo pronto a combattere non passava i sessantamila, su tutta la superficie del Regno.
... Gli uffiziali in gran parte né onesti, né sapienti, surti per favori, beneficiati oltre misura, avean grosse mercedi, croci cavalleresche, percettorie, collegi gratis a' figliuoli, e a' figliuoli e nepoti uffizii per grazia in magistratura, in amministrazioni, nelle finanze e nell'esercito. Fatto i Sardanapali all'ombra de' gigli, presero la croce sabauda piuttosto per iscansar fatiche, che per congiurazione. Non che congiuratori vi mancassero, ma i più subirono la congiurazione per codardia.
… Da più anni si sussurrava di furti grandi nella costruzione di legni, negli arsenali, sulle mercedi agli operai, sulle tinte de' bastimenti, e su vettovaglie, polvere e carbone.'' ...[ ]...''Ma il male interno era la mancanza di nesso tra gli uffiziali, i pensieri diversi, le avidità, le malizie, l'ignavia di ciascuno. Pochi eran buoni.|Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, [[Giacinto
Le tesi del [[Raffaele de Cesare|de Cesare]] tentano di spiegare l’abbandono del re, da parte della marina, adducendo vari motivi definiti: “'' … patriottismo estemporaneo o volgare egoismo …''”, “''febbre rivoluzionaria''”, “''o effetto delle tradizioni antidinastiche e dei ricordi di [[Francesco Caracciolo (ammiraglio)|Caracciolo]] e [[Gioacchino Murat|Murat]]''” … o tutti questi motivi riuniti insieme.<ref>La fine di un Regno – Parte seconda – [[Raffaele de Cesare]] – S. Lapi Editore – Città di Castello – 1900 – pp. 310-312
Il de Cesare cita anche, confutandola, la tesi che gli ufficiali della marina borbonica fossero tutti iscritti alla massoneria, spiegando che solo pochi lo erano, né si trattava di mancanza di fedeltà al re per corruzione o di volontà di tradire, bensì dell’effetto di una “''generale frenesia''” che tutti pervadeva in quel periodo, con la convinzione di essere fedeli al giuramento al re, anche mutando di parte, oppure di “''leggerezza ed inquietudine''” … che contraddistingueva la marina, un po’ come era nella sua tradizione, come già [[Francesco Caracciolo (ammiraglio)|Caracciolo]] aveva fatto nel 1799.
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Alcuni critici basano le loro supposizioni sui numeri degli schieramenti, sulla carta notevolmente a vantaggio delle forze borboniche, dimenticando che i garibaldini erano animati da un ideale per il quale erano disposti a sacrificare la propria vita e in un’epoca in cui le armi erano ancora tecnologicamente poco evolute, il grande idealismo ispirato da un forte sentimento patriottico svolgeva un ruolo molto importante e spesso determinante ai fini della vittoria sul campo tra opposti schieramenti.
A tale ultimo riguardo si sottolinea che, a Roma, [[Porta Cavalleggeri]] nel 1849 Garibaldi con i suoi volontari era riuscito a sconfiggere e mettere in fuga i ben più numerosi e famosi soldati francesi del generale [[Nicolas Charles Victor Oudinot|Oudinot]] e le tante altre battaglie vinte da Garibaldi, anche in Sudamerica, molto spesso in notevole inferiorità numerica, in particolare, in occasione della [[Guerra franco-prussiana]], vincendo la [[Battaglia di Digione#Terza battaglia di Digione|Battaglia di Digione]] e impadronendosi della bandiera del 61º Reggimento prussiano conservata a Parigi, Garibaldi con i suoi volontari è stato l'unico a vincere una battaglia contro l'[[Esercito prussiano]] che aveva sconfitto l'Esercito francese, lo stesso generale prussiano Karl Von Kettler affermò che se le armate francesi fossero state comandate da Garibaldi i Prussiani avrebbero perduto più di una bandiera
Per concludere si evidenzia anche che, con la nascita del [[Regno d'Italia (1861-1946)]], i generali e gli ufficiali, inquadrati nel Regio Esercito, in quanto provenienti dai territori dell’ex [[Regno delle Due Sicilie]] e quelli formatisi successivamente al 1861, hanno poi sempre mostrato fedeltà al [[Re d’Italia]] in tutte le guerre successive, già a partire dal 1866.
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Lo storico [[Raffaele de Cesare|de Cesare]] rappresenta come segue la situazione presente nelle forze armate borboniche all'epoca dei fatti: {{Citazione|''L'esercito e la marina furono rovinati, è vero, dalla Costituzione, che scompigliò ogni vincolo di gerarchia, ma anche da quello spirito d'indifferentismo, di tolleranza e di falsa pietà, radicato, anzi connaturato all'indole meridionale.''
''Compatimento scambievole, per cui era attutito il senso del lecito e dell'illecito, potendo la pietà per le persone farne perdonare i vizii, e anche le colpe. Se poi queste persone erano in conto di fedeli, allora si chiudevano tutti e due gli occhi.''
''Indifferentismo giustificato anche da questo: dall'opinione divenuta generale che il Regno delle Due Sicilie dovesse scomparire dalla storia, e che perciò non valesse la pena di riscaldarsi per una dinastia, la quale non aveva più difensori, né amici in Europa.''|La fine di un regno – [[Raffaele de Cesare]] – vol. II – p. 326<ref>La fine di un regno – vol. II – [[Raffaele de Cesare]] – p. 326
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=== Musica ===
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=== Illustrazioni e immagini ===
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* Gli acquerelli di [[Giuseppe Nodari]], giovane garibaldino dei Mille e valente artista non professionista (diventerà medico dopo la spedizione). I suoi taccuini con schizzi di personaggi, luoghi e avvenimenti, rappresentano una preziosissima testimonianza diretta. Non sono stati però pubblicati fino ad epoca recente.
* Le lastre di [[Eugène Sevaistre]], fotografo francese che si trovava a Palermo nel 1860. Le sue immagini documentano le barricate a Palermo e i danni dei combattimenti, con stampe stereoscopiche all'albumina.
* Le foto di [[Gustave Le Gray]], giunto a Palermo al seguito di [[Alexandre Dumas padre|Alexandre Dumas]].
== Note ==
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* {{cita libro|autore=Mariano D'Ayala|titolo=Vite degli italiani benemeriti della libertà e della patria morti combattendo|editore=Coi tipi di M. Cellini & c.|città=Firenze|anno=1868|url=https://archive.org/stream/bub_gb_bcS46ifkbJYC#page/n7/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=[[Alberto Dallolio]]|titolo=La Spedizione dei Mille nelle memorie bolognesi.|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=1910}}
* {{cita libro |cognome=de Cesare |nome=Raffaele|wkautore=Raffaele de Cesare |titolo=La Fine di un regno - vol.II |anno=1900 |editore=S. Lapi tipografo editore |città=Città di Castello|
* {{cita libro |cognome=de Cesare |nome=Raffaele|wkautore=Raffaele de Cesare |titolo=Una famiglia di patrioti - Ricordi di due rivoluzioni in Calabria|anno=1900 |editore=Forzani &C. tipografi del Senato|città=Roma|
* {{cita libro |cognome=De Gregorio |nome=Giuseppe |titolo=Sullo sbarco dei Mille a Marsala |anno=1907 |editore=Enrico Voghera |città=Roma |cid=De Gregorio}}
* {{cita libro|autore=[[Renata De Lorenzo]]| anno=2013 |titolo=Borbonia felix |editore=Salerno editrice |città=Roma| isbn= 978-88-8402-830-3|cid=DeLorenzo}}
* {{cita libro|autore=[[Giacinto
* {{cita libro |cognome=Del Boca |nome=Lorenzo |wkautore=Lorenzo Del Boca |titolo=Maledetti Savoia |anno=1998 |editore=Piemme |città=Casale Monferrato |isbn=88-384-3142-6}}
* {{cita libro|autore=Giovanni delli Franci|titolo=Cronica della campagna d'autunno del 1860 fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dall'Esercito Napolitano - Parte prima|editore=Per tipi di Angelo Trani|città=Napoli|anno=1870|url=https://archive.org/stream/bub_gb_PZaSPpUDag8C#page/n0/mode/2up}}
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* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web |url=http://www.ariannascuola.eu/joomla/dal-1848-al-1870/96-italia/233-la-spedizione-dei-mille-schema.html |titolo=Schema riassuntivo della spedizione |accesso=10 ottobre 2009 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20100206151025/http://www.ariannascuola.eu/joomla/dal-1848-al-1870/96-italia/233-la-spedizione-dei-mille-schema.html# |urlmorto=sì }}
* {{cita web|url=http://www.miol.it/stagniweb/mappe/val19-20.jpg|titolo=Mappa con l'itinerario dei Mille}}
* {{cita web|url=http://www.sapere.it/sapere/pillole-di-sapere/italia-150/unita-d-italia-la-spedizione-dei-mille-garibaldi.html|titolo=Unità d'Italia: Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille}}
{{Spedizione dei Mille}}
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