Alberto Bergamini: differenze tra le versioni

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|immagine = Alberto Bergamini.jpg
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|carica = [[Senato del Regno d'(Italia)|Senatore del Regno d'Italia]]
|mandatoinizio = 3 ottobre [[1920]]
|mandatofine =  
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|titolo di studio =
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|professione = giornalista
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|carica2= [[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana(Italia)|Deputato dell'Assemblea Costituente]]
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|mandatofine2=
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|legislatura3= [[Senatori della I legislatura della Repubblica Italiana{{NumLegRepubblica|S|I]]}}
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==Biografia==
===L'inizio della carriera===
Dopo una formazione basata sugli studi tecnici, seguiti dagli studi letterari, giovanissimo iniziò a collaborare con ''[[Il Resto del Carlino]]''. Nel [[1891]] passò al ''[[Corriere del Polesine]]'', quotidiano di [[Rovigo]] espressione del gruppo liberale-monarchico. Dopo pochi anni fu nominato direttore dai proprietari, gli agrari della provincia (febbraio [[1893]]). Le sue doti organizzative non passarono inosservate: nel luglio [[1898]]<ref>SecondoOttavio altreBarié, ''Luigi Albertini'', Torino, UTET, fonti1972, nelpag. 189973.</ref> [[Luigi Albertini]], segretario di redazione del ''[[Corriere della Sera]]'', che lo aveva conosciuto due anni prima (i due erano coetanei) ed aveva seguito negli anni l'evoluzione del suo giornale, lo segnalò a [[Eugenio Torelli Viollier]], che lo assunse. Bergamini andò a [[Roma]], dove affiancò [[Michele Torraca]], capo dell'ufficio romano del quotidiano milanese.
 
Nel [[1900]] Albertini, diventato nuovo direttore del ''Corriere'', lo chiamò a [[Milano]]. Bergamini lavorò al suo fianco come segretario di redazione, una figura di collegamento tra i giornalisti e la direzione (ruolo che svolse anche Albertini quando fu assunto nel quotidiano di via Solferino).
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Quando, nel [[1901]], i politici [[Sidney Sonnino]] e [[Antonio Salandra]] decisero di fondare un nuovo quotidiano liberal-nazionale a [[Roma]], chiesero ad Albertini un consiglio su chi mettere a capo del nuovo giornale. Albertini fece loro il nome di Bergamini, anche se ciò gli costò la privazione di un collaboratore cui teneva molto. Nel ''[[Il Giornale d'Italia (1901-1976)|Giornale d'Italia]]'' (il cui primo numero uscì il 16 novembre 1901) Bergamini ebbe il doppio ruolo di direttore e socio accomandante (cioè amministratore) (come Albertini al ''Corriere''). Con lui passò dal ''Corriere'' al nuovo quotidiano anche Domenico Oliva, già di stanza a Roma come deputato al Parlamento.
 
Bergamini è passato alla storia del giornalismo italiano per l'invenzione della [[Terza pagina]] e per l'adozione, in essa, del carattere tipografico [[elzeviro]]. La prima «terza pagina» uscì, il 10l'11 dicembre [[1901]], in occasione della prima della tragedia ''[[Francesca da Rimini (D'Annunzio)|Francesca da Rimini]]'' di [[Gabriele D'Annunzio]], con protagonista [[Eleonora Duse]], presso il [[Teatro Costanzi]] di [[Roma]]. All'entrata dell'Italia nella [[prima guerra mondiale]], il 3 giugno [[1915]] Bergamini fece richiesta al ministro della Guerra, [[Vittorio Italico Zupelli|Zuppelli]], per essere arruolato volontario. La domanda non ebbe accoglimento ed egli restò per tutta la durata del conflitto alla direzione del giornale.
 
Il 3 ottobre [[1920]] venne nominato senatore del Regno. Nei primi anni venti irruppe sulla scena politica nazionale il movimento fascista. Nonostante Bergamini mostrasse un iniziale interesse, non tardò a notarne la carica sovversiva. Ebbe presto uno scontro personale con [[Benito Mussolini]]. Il 31 ottobre Mussolini diventò capo del governo, neanche un mese dopo (23 novembre) moriva [[Sidney Sonnino]]. Oltre a lasciarlo solo alla guida del giornale, veniva a mancare a Bergamini un sostegno importante dentro i palazzi del potere.
 
===Il ritiro a vita privata===
{{Quote|Vennero aspre polemiche e attriti personali e molteplici col [[Benito Mussolini|capo del governo]]. Ebbi specialmente con lui dispute telefoniche reiterate che assunsero più volte il carattere di una vera rissa perchè lui trascendeva a intemperanze e ad ingiurie e dava ordini insolenti ai quali non mi potevo piegare e quindi rispondevo con lo stesso tono e le stesse ingiurie, e tutti coloro che, dalla mia camera di lavoro ascoltavano o immaginavano le reciproche contumelie, dicevano che egli avrebbe mandato ad arrestarmi. Il che, in verità, non avvenne ma eravamo ancora nel 1923... L'ultimo colloquio telefonico fu così violento e concitato che io, per farla finita, deliberai di andarmene|Testimonianza di Alberto Bergamini del primo febbraio 1945<ref>[[Archivio di Stato di Roma]], [http://ricerca.archiviodistatoroma.beniculturali.it/dm_0/asRomaxDamsHist9111/allegati//IT/ASROMA/AS9111/0003208/IT.ASROMA.AS9111.0003208.0001.pdf Corte d'assise speciale, Procedimento penale contro Amerigo Dumini e altri per l'omicidio dell'on. Giacomo Matteotti (secondo processo), num. 75, Esame dei testimoni (volume 79), 1945 - 1947, num. 11, ''Esame testimoniale di Alberto Bergamini in merito all'aggressione che subì all'epoca dei fatti'', 1945 febbr. 1, p. 20 verso].</ref>}}
Nel novembre [[1923]], dopo 22 anni ininterrotti nel ruolo di direttore ed amministratore del quotidiano, Bergamini si dimise: aveva capito che se avesse continuato in libertà il proprio lavoro sarebbe andato incontro a gravi inconvenienti personali con il Governo. Oltre a lasciare la direzione, cedette anche le sue quote della società editrice. Bergamini dichiarò che il ''Giornale d'Italia'' vendeva in media 300.000 copie<ref>Valerio Castronovo ''et alii'', ''La stampa italiana nell'età liberale'', Laterza, 1979, pag. 338.</ref>. Successivamente si accostò ai gruppi liberali facenti capo a [[Ivanoe Bonomi]] e ad [[Alessandro Casati]].
 
Nel novembre [[1923]], dopo 22 anni ininterrotti nel ruolo di direttore ed amministratore del quotidiano, Bergamini si dimise: aveva capito che se avesse continuato in libertà il proprio lavoro sarebbe andato incontro a gravi inconvenienti personali con il Governo. Oltre a lasciare la direzione, cedette anche le sue quote della società editrice. Bergamini dichiarò che il ''Giornale d'Italia'' vendeva in media 300.000{{formatnum:300000}} copie<ref>Valerio Castronovo ''et alii'', ''La stampa italiana nell'età liberale'', Laterza, 1979, pag. 338.</ref>. Successivamente si accostò ai gruppi liberali facenti capo a [[Ivanoe Bonomi]] e ad [[Alessandro Casati]].
Il 27 febbraio [[1924]] subì un'aggressione mentre rientrava in casa, rimanendo ferito da colpi di pugnale. Ritenendo di essere stato vittima di un delitto a sfondo politico, decise quindi di lasciare Roma. Il 20 marzo presentò le dimissioni da presidente dell'[[Associazione Nazionale della Stampa]]<ref>Il sindacato nazionale dei giornalisti, oggi Federazione Nazionale Stampa Italiana.</ref>(era stato eletto al vertice dell'organismo il 1º ottobre 1923) e si ritirò nella dimora collinare di Monte Folone (comune di [[Gubbio]]), venendo a Roma per recarsi al Senato soltanto in limitate occasioni. Nel [[1929]], insieme a [[Benedetto Croce]] e [[Francesco Ruffini]] criticò il [[Concordato]], votando contro la [[ratifica]] dei [[patti lateranensi]]. Nel [[1942]] riprende la residenza di Roma, in [[Piazza del Popolo (Roma)|piazza del Popolo]].
 
Il 27 febbraio [[1924]] subì un'aggressione mentre rientrava in casa, rimanendo ferito da colpi di pugnale. Ritenendo di essere stato vittima di un delitto a sfondo politico, decise quindi di lasciare Roma. Il 20 marzo presentò le dimissioni da presidente dell'[[Associazione Nazionale della Stampa]]<ref>Il sindacato nazionale dei giornalisti, oggi Federazione Nazionale Stampa Italiana.</ref>(era stato eletto al vertice dell'organismo il 1º ottobre 1923) e si ritirò nella dimora collinare di Monte Folone (comune di [[Gubbio]]), venendo a Roma per recarsi al Senato soltanto in limitate occasioni. Nel maggio [[1929]], insieme a [[Benedetto Croce]] e [[Francesco Ruffini]] criticò il [[Concordato]], votando contro la [[ratifica]] dei [[patti lateranensi]]. Nel [[1942]] riprende la residenza di Roma, in [[Piazza del Popolo (Roma)|piazza del Popolo]].
 
===Il rientro nella vita pubblica===
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All'indomani della [[Liberazione di Roma]], il 7 giugno [[1944]] fu eletto presidente della FNSI. Ma pochi mesi dopo ricevette un attacco da parte del quotidiano del PCI ''l'Unità''. Ritenendolo lesivo nei suoi confronti, rassegnò le dimissioni. Il [[Psychological Warfare Branch]] (PWB) anglo-americano gli offrì la direzione del ''Giornale d'Italia''. Bergamini rifiutò perché la richiesta comprendeva anche il mutamento del nome del quotidiano.
 
Nel [[1946]] fu eletto all'[[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana(Italia)|Assemblea costituente]]; successivamente venne nominato senatore. Durante la campagna referendaria appoggiò la Monarchia. Nel [[1951]] pubblicò una ''Storia del «Giornale d'Italia»'', con nota introduttiva di [[Salvatore Valitutti]], in cui rievocò le circostanze che avevano prodotto la nascita del quotidiano e le vicende che ne avevano accompagnato la crescita. Dal 30 aprile [[1956]] al gennaio [[1962]] fu di nuovo presidente della [[Federazione Nazionale Stampa Italiana|Federazione Nazionale della Stampa]], mostrando fino ai suoi ultimi anni un estremo attaccamento ai problemi inerenti alla sua professione.
 
Dopo un malore che lo colpì mentre era nella [[biblioteca del Senato]]<ref>Giancarlo Tartaglia, ''Il giornale è il mio amore'', All Around ed., 2019, p. 274.</ref>, morì a Roma il 22 dicembre [[1962]].
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==Premi ed onorificenze==
{{onorificenze
|immagine=Order_of_Pope_Sylvester_BARVAT Order of Saint Sylvester Comm BAR.svg
|nome_onorificenza=Commendatore dell'Ordine di San Silvestro Papa
|collegamento_onorificenza=Ordine di San Silvestro Papa
}}
{{Onorificenze
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia (Casa Savoia)
|immagine = Ordine Civile di Savoia BAR.svg
|nome_onorificenzacollegamento_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia
|collegamento_onorificenza = Ordine Civile di Savoia
|motivazione =
|data = 15 settembre 1961<ref>https://archivio.quirinale.it/archivio//GIOVANNI_COLLI/SCATOLA_8/186_DIPLOMI_ONORIFICENZE_E_DECORAZIONI_DI_COLLI_1934_1980.pdf</ref>
}}
 
*[[Premio Saint Vincent per il giornalismo]], [[1959]].
 
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==Collegamenti esterni==
*{{collegamenti esterni}}
* Ferdinando Cordova, [http://www.sissco.it/download/biblio_digitale/Cordova_bergamini.pdf ''Bergamini e il fascismo''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20190712131933/http://www.sissco.it/download/biblio_digitale/Cordova_bergamini.pdf |date=12 luglio 2019 }}
 
{{Box successione
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{{Portale|biografie|editoria|politica}}
 
[[Categoria:Vincitori del Premio Saint -Vincent]]
[[Categoria:Direttori di quotidiani italiani]]
[[Categoria:SenatoriDeputati della XXVConsulta legislatura del Regno d'Italianazionale]]
[[Categoria:Deputati delladell'Assemblea ConsultaCostituente Nazionale(Italia)]]
[[Categoria:Deputati dell'Assemblea Costituente della Repubblica Italiana]]
[[Categoria:Senatori della I legislatura della Repubblica Italiana]]